la ghigliottina dei ragionieri

Un governo senza politica diventa inevitabilmente un governo di ragionieri. L’ipotesi di accorpare i comuni sotto i mille abitanti e di abolire le province sotto i trecentomila abitanti di per sé non ha nulla di scandaloso. Il buon esercizio della democrazia non dipende dalle alchimie burocratiche, ma dalla qualità degli amministratori e prima ancora dalla qualità delle visioni che riusciamo ad avere del nostro futuro. Secondo il decreto governativo, non avremo più il consiglio comunale di Greci o di Monteverde, ma una figura monocratica, una sorta di borgomastro. Non è che cambi molto. Nei piccoli paesi spesso la politica non la fa nessuno, per il semplice motivo che c’è ben poco da fare, considerando l’esiguità delle risorse disponibili. Si può organizzare in vari modi la macchina amministrativa dei piccoli comuni, il vero problema è l’attenzione che si rivolge ad essi e di conseguenza la quantità di risorse. I piccoli comuni sono quasi tutti in montagna e il decreto del governo ancora una volta dice della nostra indifferenza verso la montagna. Come se fossimo solo un paese di pianura e di coste. La Camera ha da poco licenziato due leggi che nelle intenzioni dovrebbero favorire il ripopolamento. L’idea è lodevole, ma cadono le braccia quando si va a vedere lo stanziamento previsto: complessivamente sono 99 milioni di euro. Veramente un cifra indegna. E sono soldi che non arriveranno mai, perché è assai probabile che queste leggi si areneranno al Senato. E poi la storia italiana è piena di leggi inapplicate. La legge dell’8 giugno 1990 (la numero 142) prevedeva la costituzione delle «Città metropolitane», comprendenti dieci grandi città italiane: Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Reggio Calabria, Roma, Torino, Venezia. In parole semplici Giugliano e Napoli avrebbero dovuto avere lo stesso sindaco. In quel caso l’accorpamento sarebbe più che giustificato, basti pensare alle difficoltà di gestire l’emergenza rifiuti.
Ovviamente il decreto del governo sarebbe stato più accettabile se avesse previsto un taglio deciso degli scandalosi stipendi dei parlamentari nazionali e regionali. E invece si pensa di risolvere tutto con una piccola tassa di solidarietà per deputati e senatori e con la trasformazione dei loro viaggi in business class in voli in economy.
I ragionieri a Roma non conoscono la geografia. Oltre a essere in montagna, quasi sempre i piccoli comuni sono quelli più distanti dagli altri. In Irpinia ci sono alcune eccezioni, come Sorbo e Salza, ma pensate a quanto è lontana Monteverde da Aquilonia o Lacedonia, pensate a quanto è isolata Montaguto. Si può anche immaginare di eliminare assessori e consiglieri comunali, ma nel farlo bisogna dare un segnale politico molto forte, bisogna dire che la comunità nazionale vuole eliminare i comuni ma salvare i paesi. E per salvare i paesi occorrono politiche che mettano al centro dell’agenda le zone montuose e le zone marginali. Ci vuole un cambio di paradigma, un cambio culturale che faccia vedere i piccoli paesi come opportunità piuttosto che come problema. E questo non è un lavoro per ragionieri. E non è neppure lavoro che si può affidare ai borgomastri.
Bisogna rendersi conto che la crisi deve certo essere affrontata con misure contingenti, ma anche con una politica completamente diversa. Se un piccolo comune non è messo in condizione di produrre reddito, di sfruttare le sue risorse, che importanza può avere il fatto che abbia o non abbia il vicesindaco? E allora è il momento di aprire una grande vertenza dell’Appennino. Lo Stato dice che i comuni devono essere accorpati o devono consorziarsi. Ed è certo quello che si deve fare, consorziarsi per lottare, per rivendicare tutti insieme politiche di tutt’altro tenore. Si rifugga dalle solite furbizie italiche: già immagino qualche comune che truccherà i dati del censimento per sfuggire all’accorpamento. Si accetti la sfida di abbattere i campanili e la paesanologia così perniciosa per i piccoli paesi. Nello stesso tempo si chieda che il finanziamento previsto per le due leggi approvate alla camera a favore dei piccoli comuni sia quanto meno triplicato. Gli abitanti che sono rimasti nei piccoli comuni (quasi tutti anziani) non sono interessati ad avere il vicesindaco, ma un medico che abbia voglia di curarli e un ospedale nelle vicinanze, sono interessati a pagare di meno la bolletta del gas e della luce piuttosto che ad avere nuove panchine e piazzette ripavimentate, gli unici frutti della politica negli anni del suo miserabile declino.

franco arminio

3 pensieri riguardo “la ghigliottina dei ragionieri

  1. Il pezzo e’ in linea di massima condivisibile.Chiedere di più per i piccoli paesi e’ necessario oltre che indispensabile.La crescita di una nazione passa necessariamente per la legittimazione ,per il riconoscimento delle sue parti più lontane ,più vicine pero’ all’utopia del paesaggio perfetto.Il concetto di lontananza,di paesaggio perfetto non può essere ,ovviamente,solo geografico.Ne’ la vicinanza all’utopia può ,d’altro canto rappresentare la giustificazione dei piccoli paesi alla loro esistenza.I comuni sono concretamente la vera identità della nazione Italia ,sono l’istituzione per eccellenza ,quella a cui ,soprattutto in quelli piccoli ,si rivolge una “COMUNITÀ “.Ora togliamo tutte le giunte che vogliamo, accorpiamo i servizi e le dirigenze burocratiche,ma lasciamo che i paesi conservino la loro storia e la loro identità .

  2. comuni no, paesi sì. naik.
    le comunità non sopravvivono per l’anagrafe o per i traffici sulle licenze edilizie.
    più che abbattere i campanili bisogna abbattere le verande.
    inoltre l’eliminazione dei piccoli comunirende più netta e chiara l’urgenza di ripulire il territorio dai confini amministrativi e di cominciare a ragionare per fiumi, per alberi, per scuole. ad esempio unire i comuni che non riescono a formare la prima elementare, smi!, o la banda musicale…

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