Emilio (Un amore divino)

pubblichiamo in esclusiva il secondo dei racconti inediti di maria teresa di lascia, gentilmente concessi dal fratello franco

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Emilio giunse una mattina di primavera non ancora avanzata; l’aria era mite, sebbene a tratti fosse percorsa da un brivido, come un trasalimento per il ricordo della cattiva stagione.
Elsa lo intravide appena, mentre dava le ultime disposizioni alle impiegate del centralino.
Le centraliniste erano tre, e ciascuna di esse era stata sua paziente. Erano giunte al centro con un fardello di dolori sul punto di diventare malattia del corpo oltre che dell’anima, e lei le aveva curate con sollecitudine.
– E’ andata a pettinarsi? – domandarono, mentre ritirava la posta. Elsa sorrise scontenta: non riusciva a trovare un parrucchiere che non fosse volgare.
I capelli erano il suo cruccio, benché chiunque la vedesse non avrebbe immaginato che la mattina, prima di uscire di casa, ella vi dedicasse tante attenzioni. A volte, perfino, usava lavarli cospargendoli di una lacca arricciante che la lasciava inanellata in una maniera di cui poi si vergognava, essendo per natura riservata.
– No, disse. Ho fatto tutto da sola: i miei soliti pasticci! aggiunse sorridendo e scompigliandosi con le dita.
Tuttavia, quella mattina le sembrava di avere fatto meglio di altre volte e, uscendo di casa, aveva guardato la propria figura dentro lo specchio dell’ascensore. Aveva indossato un pantalone bianco con una camicia di seta bianca a righine azzurre e un maglione bianco, di linea sportiva che la vestiva morbidamente. Devo dimagrire, aveva pensato con un sospiro di afflizione, poiché la spiritualità che circolava libera dentro di lei non bastava a trattenerla di fronte al cibo. Mangiava troppo, lo sapeva; e sapeva anche di farlo per ragioni avverse al suo limpido cuore e ai sentimenti di cui esso era colmo: sentimenti d’amore per ogni creatura sofferente.
Emilio entrò nello studio e Elsa lo guardò con i suoi calmi occhi bruni, dove si poteva scorgere solo benevolenza.
Emilio cominciò a parlare tenendo immobile il capo, grande per il resto del corpo, come osservò Elsa, ma bello e nobile nella struttura. Sembrava, Emilio, mentre parlava rigido e impettito, un’antica effige romana: la testa di un orgoglioso imperatore, uscita dal conio di qualche popolo piegato per sempre alla sua forza.
Senza volerlo, e con il trasporto che le era proprio, Elsa aveva già aperto dentro di sé il canale vuoto dove lasciava che gli altri passassero per poterli meglio ascoltare. – E’ forte questo ragazzo, pensò rabbrividendo. Eppoi non è un ragazzo: avrà almeno trentacinque anni!
– Forse dovrei continuare con il mio analista – diceva Emilio. Ma mi sembra di perdere il nostro tempo e di burlarmi di lui: non riesco ad affidarmi a qualcuno! Sono medico io stesso… Ho tre specializzazioni! Per me non è facile trovare chi sappia dirmi cose che ancora non so! Per questo sono venuto qua: non conosco la vostra medicina, forse non vale nulla o forse vale moltissimo, ma non la conosco, non posso intervenire per correggere, criticare, oppormi…
Emilio continuava a parlare tenendo il capo fermo in una rigidità innaturale e Elsa provò un’acuta compassione. Quanto deve soffrire! – pensò. Tutto in lui esprime il disagio della creatura che ha paura: tutte le sue conoscenze scientifiche non gli servono a nulla in questo ed in altri momenti della vita. Egli è solo un corpo irrigidito dal dolore e dalla paura… Paura, maledetta paura: nient’altro che mancanza d’amore!
– E quando hai cominciato ad accusare questo disturbo? – domandò dolcemente, ubbidendo all’istinto di dargli del tu. Ma certo, si disse mentre ascoltava la propria voce porre le domande, certo che poteva parlargli così intimamente. Non era egli un medico, uno dei tanti giovani che si presentavano ogni giorno alla sua scuola per apprendere l’arte di rendere sani i malati?
Sii semplice! – disse a se stessa. Egli è solo una persona bisognosa di aiuto!
Elsa sospirò aggiustandosi sulla poltroncina e alzò lo sguardo sereno verso il giovane paziente.
– Sono quasi due anni che soffro, rispose Emilio, mentre nelle sue pupille compariva l’umidore delle lacrime. E’ un sentimento terribile quello che provo, scusate! – disse asciugandosi con la punta delle dita. Ma, soprattutto, vorrei muovere il collo senza provare questo dolore straziante…
– No! – disse Elsa. Non scusarti di nulla! Prova invece a concentrare la tua mente su un pensiero dolce, positivo: su un pensiero d’amore che ti consoli! Hai una compagna, una fidanzata… qualcuno che ami, il pensiero della quale possa inondarti di calore andando a sciogliere quel nodo intorno alla gola che vuole soffocarti, e che hai legato tu stesso strettamente con le tue mani, con i tuoi pensieri…
– No, fece lui, completamente conquistato dal suono di quelle parole e abbandonato ad esse come un naufrago alle acque della risacca che vanno senza sforzo verso la terra. No, ripeteva piangendo dolcemente, non amo nessuno al punto che il solo pensiero basti a scaldarmi: io non riesco ad amare fino a un simile punto! – e mentre diceva queste parole, scuotendo il capo senza accorgersi, gli sembrava che quella incapacità fosse il centro doloroso di tutto se stesso, e che adesso finalmente aveva ammesso il suo male e avrebbe potuto guarire per sempre.
Elsa gli prese le mani nelle sue e sentì che dentro il suo cuore di donna solitaria scendeva un miele caldo che la inebriava colmandola di delizia. Oh Dio, pensò. Come sei grande ogni volta che ti trovo!

Emilio cominciò a venire al centro tutti i giorni; si sedeva in sala d’aspetto fino a quando una delle impiegate del centralino non lo annunciava ad Elsa. In quei pochi minuti di attesa, egli provava un sentimento impalpabile di quiete che lo lasciava insieme deliziato e timoroso e, d’altronde, da quando aveva conosciuto Elsa gli sembrava che le cose stessero tornando al loro posto. Di notte, gli incubi non lo svegliavano più con i loro orrori, e il giorno lavorava – curava gli altri perfino – come fosse tornato il medico brillante d’un tempo.
Elsa non gli aveva prescritto nulla: solo amore, era stata la sua ricetta, ed egli l’aveva guardata incredulo, eppure già tenacemente convinto.
All’uscita dell’ultimo paziente, egli entrava nella stanza e si sedeva di fronte a lei, avendo alle spalle l’aria sottile della sera e i rumori attenuati della città. – Com’è andata oggi? – chiedeva Elsa con una luce appassionata negli occhi, ed egli rispondeva: meglio! – mentre un largo sorriso gli apriva il volto. – Oh, diceva allora Elsa, così voglio vederti tutti i giorni: colmo d’amore al punto che sgorghi senza che tu neanche lo voglia…
– Mi sento come un bambino – rispondeva Emilio con una strana commozione dentro.
Poi, uscivano insieme e andavano a fare lunghe passeggiate con la macchina; si accorsero di guidare nello stesso incauto modo, come fossero invulnerabili e non potesse accadere loro nulla di male. Giungevano in qualche luogo magnifico e inaspettato e si fermavano coi finestrini abbassati e il tettuccio apribile della macchina che guardava il cielo sopra di loro. Allora Emilio raccontava le sue avventure; ne aveva avute tante, con donne bellissime che si erano innamorate pazzamente e che egli aveva amato all’inizio, ma poi non più. – Capisci Elsa, le diceva guardando un punto lontano della notte, mentre i grilli cantavano la loro eterna canzone. Era come se un dèmone crudele mi obbligasse a fare loro del male: sapevo ogni volta che non si trattava della donna che avrei voluto per tutta la vita, eppure non smettevo di torturarla fino a quando diveniva la mia schiava…
– Com’è la donna che vuoi per tutta la vita? – domandava Elsa sommessamente. Lo sai?
– Sì lo so, rispondeva Emilio. O meglio, non lo so: è la ragione dei miei incubi credo. Quando faccio del male ad una donna, quando piange per me e io non so più cosa fare, ma voglio scappare senza incontrarla per tutto il tempo che mi rimane da vivere, sogno un uomo col volto coperto che m’insegue con una falce. Allora io corro e corro, ma rimango nello stesso punto; e infine l’uomo mi raggiunge e mi stacca la testa dal collo con un colpo secco di falce. Mi sveglio atterrito perché devo rimettermi la testa sul collo, e per un poco la cerco nel letto ma sono cieco e vado a tentoni…
– Forse, lo interrompeva Elsa dolcemente cercandogli la mano con la sua, quello che vuoi è un amore diverso dal semplice scambio fisico. Forse vuoi un’intimità più profonda, un amore così alto e appassionato da non avere bisogno della carne: da vedere in essa solo un mezzo e non il fine del tuo amore!
Parlavano così ed Emilio sentiva che il suo cuore si apriva; e anche, sentiva salire dentro un pianto, come se non avesse mai atteso altro che di trovarsi a piangere dinanzi a lei.
Poi, pensava che avrebbe voluto appoggiare il capo dolente sul suo seno materno e, poiché il loro rapporto era sincero e non si nascondevano nulla, egli le esprimeva il suo desiderio ed Elsa sorrideva con gli occhi splendenti di luci. – E’ come se lo avessi fatto – gli rispondeva stringendogli la mano. Lo senti il mio amore che ti penetra. Lo senti dentro di te? – sussurrava appassionata.
– E tu? – chiedeva Emilio. Com’è stata la tua vita mia cara Elsa?
Allora Elsa raccontava del marito, dell’unico uomo che ci fosse stato nella sua vita; un uomo bello e intelligente con il quale era stata felice per molti anni, senza che neanche un’ombra li dividesse. Due corpi e una sola anima erano stati, poiché il senso vero della vita è che tutto è uno, ed Elsa aveva sempre cercato l’unità delle cose.
Ma un giorno il marito si era ammalato e inutilmente Elsa aveva cercato di guarirlo. Inutilmente aveva chiesto aiuto a tutti i medici che conosceva. Vi prego, supplicava, vi prego di curare mio marito! Egli non è più in sé: non accetta di lasciarsi curare da me e si sta facendo del male, soffre senza consolazione…
Ma nessuno le credette fino in fondo. C’è un solo punto di verità nelle cose: essa è dinamica e bisogna coglierla nella forza del suo cambiamento.
Suo marito lasciò la casa un mattino presto e portò con sé la cameriera portoricana che stava con loro da dieci anni e che aspettava un figlio da lui.
– Non mi ero accorta di nulla. A svelarmi ogni particolare fu mia figlia che aveva capito da tempo e taceva, aspettando che io mi decidessi a vedere. Piangeva mia figlia; era molto arrabbiata con me. Diceva che la colpevole ero io, e che il padre scappava con la cameriera perché io non voglio vedere il male nelle persone e le rivesto di una luce insostenibile… Diceva che gli uomini hanno timore di me, della superiorità che coltivo dentro me…
Ma non è vero! Io sono una donna semplice e se in questi anni non ho più avuto un uomo accanto è perché non l’ho trovato…
Emilio pensava che Elsa fosse bellissima così addolorata com’era e che gli sarebbe piaciuto portarla con sé in barca nelle giornate lunghe e assolate dell’estate che stava per venire. – Vuoi venire in barca con me quest’estate, le domandò trasognato. – Sì, rispose Elsa semplicemente.

Elsa capiva che al Centro parlavano della sua amicizia con Emilio, benché nessuno le dicesse nulla e tutti si prodigassero in gentilezze eccessive che, ella pensava, celavano un disagio crescente.
Il pensiero che potessero dubitare della sua onestà, le attraversava la mente lasciandola sbalordita e insieme colma di una determinazione inflessibile al silenzio.
A volte, tuttavia, quando la felicità straripava dal suo cuore, Elsa comprendeva che non era facile per nessuna delle creature di cui aveva cura, immaginare la natura e la forma del suo legame con Emilio. Lei stessa, infatti, lo scopriva un attimo dopo l’altro e la notte si svegliava restando a lungo a pensare e a ringraziare Dio per tutto l’amore che provava.
Certo, Elsa amava Emilio e se qualcuno glielo avesse chiesto con la medesima innocenza con cui ella viveva i propri sentimenti, non avrebbe esitato a rispondere: Sì! Con tutta l’anima! E mai, mai, prima di allora, una frase tanto abusata, tanto ingiustamente declamata dagli innamorati di ogni tempo e luogo, avrebbe riacquistato l’antica eco perduta
Con tutta l’anima Elsa lo amava: un’anima che tremava di tenerezza, che si colmava di trasporto, che la inondava di emozioni dolcissime e di un sentimento insieme così appassionato e assoluto che nessun gesto umano, nessuna carezza della pelle, nessun bacio delle labbra avrebbero potuto saziare.
Per questo, per questo solo – perché entrambi capivano che non erano i corpi ad avere fame, perché sentivano, mentre trascorrevano insieme i giorni e le notti, che per loro non ci sarebbe stata nessuna consolazione dei sensi – per questo solo, essi non erano amanti nella carne, né avrebbero mai provato lo smarrimento e il vuoto che seguono al suo consumo.
Tuttavia, se l’amante è colui che porta su di sé le stimmate dell’amore, essi erano amanti senza scampo e i pensieri che Elsa rivolgeva ad Emilio erano i pensieri che una donna volge verso l’uomo che ama con tutta se stessa.
Bruciava in quelle notti, Elsa, di castità e al mattino aveva gli occhi splendenti: due stelle brune. Si lavava tutta velocemente e si asciugava guardandosi il corpo grande e alto; i seni prosperosi sulle spalle piccole, le braccia lunghe e belle che finivano con le mani maculate dal tempo. Qualche macchia le era comparsa anche sulla fronte, ma si trattava di una traccia impercettibile, completamente negata dalla luce del volto: una luce che le veniva dall’anima. Elsa si vestiva scegliendo con cura fra i suoi abiti, alcuni dei quali vecchissimi, ma sempre molto belli, e si aggiustava i capelli che aveva deciso di lasciare crescere e di portare fino alle spalle, qualche volta anche con uno chignon. Sui capelli continuava ad essere molto indecisa, sebbene non chiedesse ad Emilio come avrebbe dovuto acconciarsi, ma si lamentasse a volte di essere sempre spettinata.
Le giornate, adesso, erano una lunga felicità ed Elsa guardava il volto di Emilio, che le era sembrato subito tanto bello e segretamente intimo, come se lo avesse sempre conosciuto o come se, infine, egli fosse tornato da lei dopo una lunga separazione. Così, poiché Elsa pensava che l’armonia che regola il mondo si manifesta nel cuore dei puri, le accadeva sempre più spesso di pensare che il suo amore per Emilio non nascesse dal caso o dalla bestiale fatalità che sconvolgono la vita di ogni essere umano, ma piuttosto da un Destino alto ed amico; da una Volontà benefica e superiore.
Anche Emilio pensava confusamente le stesse cose, giacché egli non era più interessato a comprendere del mondo quel che si vede ma, ripeteva attonito e turbato, solo le cose che si muovono fra il cielo e la terra.
Andavano, Elsa ed Emilio, ovunque insieme, senza che gli sguardi della gente riuscissero a raggiungerli col bieco conformismo che uccide ogni sentimento. Ma, soprattutto, essi andavano a pregare con un gruppo di persone dalla meravigliosa spiritualità: individui che non giudicavano l’amore dall’età o dal sesso, ma solo dalla luce con cui sapeva esistere.
In mezzo a loro, Emilio si sedeva col volto segnato dalla sofferenza e insieme da un sentimento trepido, e parlava lungamente con chiunque si avvicinasse a lui. Vedi! – diceva. Io credevo che per guarire le persone bastasse leggere molti libri ed essere il più bravo di tutti! Che stupido ero! Ciò che tutti vogliamo, ed è questa la ragione per la quale ci ammaliamo, è essere amati! Potremmo guarire le persone solo con le carezze: carezze colme di calore, di affetto, di tenerezza. Io voglio imparare a guarire così: con l’amore!
Elsa lo ascoltava in silenzio, e nel suo volto attento e adorante affiorava una meravigliosa gratitudine. Aveva saputo fin dalla prima volta che lo aveva visto, che Emilio cercava l’amore di Dio, e che lei stessa era il mezzo prescelto per raggiungerlo. Non c’era fra loro alcun possesso né dominio, solo un grande, sterminato rispetto; un grande, sterminato amore.
Così, quando Emilio le presentò la donna con cui aveva intrattenuto una relazione negli ultimi due anni e dalla quale non riusciva a staccarsi, Elsa lo guidò dolcemente verso la scelta, rivelandogli l’inutilità di una simile abitudine e le ferite cocenti di una tale educazione.
Infine, Emilio non ebbe più nessuna donna e parlava di amore con il furore di un predicatore e gli occhi pieni di compassione e di rinunce che accendevano il desiderio in chi lo ascoltava. Possibile – si chiedevano – che egli dominasse la carne fino a quel punto; possibile che egli potesse appiccare il fuoco negli altri, con il racconto delle bassezze al cui richiamo non ubbidiva più, e intanto i suoi occhi si fissassero negli altrui occhi con una dolcezza estenuante e torbida, come il tormento di una carezza proibita. No! – egli diceva lentamente – non è la carne che mi consola della mia paura; sarebbe così facile e così inutile penetrare in un corpo sconosciuto e cercare quello che non vi trovai mai… No! La saliva, l’odore, l’amplesso, l’orgasmo perfino, non sono altro che attimi di una stessa solitudine, a volte disperata! La vicinanza è un’altra; un’altra è l’intimità – diceva, mentre il calore saliva e un’ondata di attrazione umida come un sudore, attirava verso di lui altri corpi.
All’inizio Elsa lo guardò senza capire, sebbene avesse sentito dentro di sé uno strano tremore, come un segnale di pericolo che scompare rapidamente, lasciando però nell’incertezza, nel dubbio. Severamente Elsa si disse che non aveva il diritto di giudicare e che forse Emilio si stava spingendo su confini dove lei non aveva mai saputo andare, essendo forse egli più coraggioso e migliore di lei. Sentì, tuttavia, una forzatura nei propri pensieri e, non desiderando avvilire se stessa oltre il necessario, pensò che egli aveva bisogno di una ricerca più profonda, in qualche modo più cruenta e sanguinosa della sua.
Era la prima volta da quando lo conosceva che le accadeva di dovere giustificare a se stessa qualcosa di lui che le apparisse tanto distante dall’amore che gli portava. Elsa sentiva, infatti, in quel suo nuovo parlare, un che di diverso e di estraneo, come una nota stridente che la lasciava al tempo stesso sconcertata e solitaria. Erano, le sue parole, non più dette anche per lei, ma declamate da solo, in un furore fanatico che la escludeva, scacciandola lontana.
A Emilio non disse nulla, ma accortamente cominciò ad ascoltarlo come avrebbe fatto uno sconosciuto che lo incontrasse per la prima volta.
Con doloroso sbalordimento scoprì che egli non stava più sui ghiacciai dov’erano giunti insieme, e che le vette da cui parlava non erano più le loro, ma altre e diverse dalle sue; e forse non erano neanche vette, ma abissi torbidi dove egli guazzava solo, sotto gli occhi affascinati dei suoi ammiratori.
Per un momento provò la tentazione di accusarlo, di svelargli il tradimento, d’altronde l’unico che egli potesse farle, e desiderò ribellarsi ad un simile abbandono con parole e lacrime cocenti.
Invece tacque, e trascorse molti giorni nel silenzio, lasciando che il dolore la visitasse con il suo corteo di pensieri, e di notte pianse, bagnando le lenzuola profumate. A tratti un’ondata di sofferenza più acuta la faceva trasalire; allora sapeva di stare patendo la sottile lacerazione dell’orgoglio ferito, della delusione e, perfino, la rivincita dei sensi così lungamente negati. Poi, una mattina, si alzò molto presto e scrisse una lettera.
” Emilio caro, cominciò. Avevamo promesso l’uno all’altra che mai, fra le nostre anime, ci sarebbero stati segreti o distanze insuperabili. Eravamo andati insieme a cercare Dio, essendo questo il solo modo concesso ai nostri sentimenti di esistere senza dubitare di noi stessi, senza dovere conoscere l’amarezza del pentimento o l’umiliazione dei corpi: questi corpi che hanno occupato di sé tanta parte della tua vita e il cui dominio tu stesso non tolleravi più.
Per questo, solo per questo, rompendo ogni schema e logica ordinari, con l’animo di una giovinetta e gli occhi di una bambina, io ho vissuto accanto a te, con la leggerezza dei miei sessant’anni che non contano: nell’amore vero non contano!
Ma tu, benché abbia smesso di frequentare la carne con la carne e mi sia stato compagno nei luoghi luccicanti della solitudine – i luoghi semplici e fanciulli della mia innocenza – frequenti adesso la carne in un modo che mi è sconosciuto; ed è forse sconosciuto anche agli altri esseri umani. Da questo modo, che tu forse pensi sublime, io desidero metterti in guardia: esso è un modo egoista e protervo che centuplica il tuo orgoglio di maschio. Se prima ti atterriva essere un uomo, adesso hai lanciato la sfida e vuoi diventare un semidio. Tu pensi forse che Colui che ama senza distinzioni, amerà te di più per questo orgoglio che ti colma; perché stai lottando per diventare il suo preferito, e a tal punto lotti e ti compiaci della tua battaglia, che i gesti umani ti fanno orrore, dici; e solo Lui ti placa.
La verità è che nei luoghi dove abita Dio non c’è lotta, e fino a quando non ti sarai arreso e non avrai deposto il tuo orgoglio, dovrai combattere ancora e ancora con l’assassino che porti dentro te”.
Elsa si interruppe sconvolta: non poteva scrivergli simili cose senza provare per lui la pietà necessaria; avrebbe aspettato ancora.
Partì per qualche giorno e disse alle centraliniste di avvertire Emilio che non l’avrebbe trovata; lasciò un recapito telefonico al quale egli chiamò ogni sera, allarmato di sentirla così serena e, insieme, tanto distante. Parlando egli diceva “noi”, e Elsa non provava più quell’acuta pienezza che, in altri momenti, l’aveva trascinata in luoghi impenetrabili; luoghi dove ella si era sentita ripagata di ogni rinuncia. Luoghi che forse erano il Paradiso degli amori divini.
Infine si chiese se anche questa volta avesse fatto ciò di cui sua figlia la accusava; se avesse rivestito Emilio di una luce insostenibile, costringendolo a fuggire per quella strada in cui ella stessa lo aveva guidato.
Per un attimo tremò per lui e per la sua testa che sarebbe definitivamente rotolata nel letto; poi con un sospiro profondo pensò che Dio perdona ogni creatura. Avrebbe perdonato anche Emilio.

3 pensieri riguardo “Emilio (Un amore divino)

  1. In bici si scorgono alla velocità giusta gli sguardi dei passanti, sono pochi gli sguardi affamati d’amore, pedalando stasera pensavo anche un poco a questo triste racconto letto prima di uscire.
    Senza amore il pluff del sole arancione inghiottito dal mare e le mongolfiere in atterraggio sono quasi incolore.

  2. quando ero giovane pensavo che sarebbe stato tutto più semplice se una lampadina sui nostri corpi accendendosi avesse segnalato inequivocabilmente che si stesse provando amore…troppo difficile da riconoscere se no.

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