inedito di di Renzo Paris
La vidi spuntare dalla curva dei Bussi.
Mi colpirono le borchie lucenti e le
colorate fettucce che svolazzavano
al vento dei pioppi. Era una delle prime
Vespe del Celano. Mio padre, che non amava
il cambio della marce, si fermò rumoroso,
accanto al muretto di Campitelli dove
mangiavo un po’di caci, attendendo.
Avevo dieci anni e lui ne aveva quaranta.
Con le mani strette al suo petto e la testa
poggiata sulla schiena, imboccammo
strada Quattordici come fosse la cruna
d’un ago. “Attraversiamo il Fucino, ti piace?”
mi disse, “raggiungiamo Trasacco per servizio.”
Nell’anello lunare del Dio ci vennero incontro
maghi e cantori. Tra palafitte millenarie, ecco
i barconi imperiali. L’onda, la vitrea onda
virgiliana non era altro che luce. E poi
la danza delle rane dei formoni, l’elegante
sgusciare delle bisce tra zone più erbose.
Ad ogni ponte chiedevo il nome e quando
arrivammo a quello più alto, mio padre
gridò: “Pippo Mingone!” Trasognati
contadini schioccavano la frusta sui loro
traini scheletrici e i cavalli al trotto
nitrivano al nostro passaggio polveroso.
Era uno dei primi mattini del mondo e Trasacco
ci accolse con l’odore delle sue stelle.
Mio padre entrava in casolari bui mentre
io fingevo di saper guidare la Vespa,
sdraiandomi a serpe lungo il sellino nero.
Le donne gli offrivano liquori impastati.
Al ritorno fischiettava una canzone di
guerra, mentre ammiravo quella terra fina
fina, che era un piacere calpestare e
ripensavo al gioco dei Quattro Cantoni,
a zompacavallo, a ruzico, ai giochi di noi
mussulmani di Campitelli.
Quante volte ho rifatto quella traversata
ma non ho più visto quelle rane, né le bisce,
né cavalli e traini; è cambiato perfino
il colore del Fucino, la trasparenza del
mondo. Che fine hanno fatto quei pastori
che con il bastone sul collo e le mani
penzoloni, ultimi giganti, incedevano tra
i pioppi verso la Conca. E’
rimasta la storia del terribile dio,
degli imperatori, dei principi ma chi
mi ridarà il sorriso ironico di mio padre
che aveva inventato per me il nome dei ponti!
A bocce ferme posso dirvi, statene certi,
negli occhi del bambino appena nato,
l’infanzia del Mondo non è ancora perduta.
Poeta, narratore e saggista, Renzo Paris è nato a Celano (AQ) nel 1944. Vive a Roma. Ha pubblicato romanzi: Cani sciolti (Transeuropa, 1988, tradotto in Francia), Frecce avvelenate (Bompiani, 1974), Filo da torcere (Feltrinelli, 1982), Le luci di Roma (Theoria, 1990), Squatter (Castelvecchi, 1999), Ultimi dispacci della notte (Fazi, 1999, tradotto in Germania). Ha raccolto le sue poesie in Album di famiglia (Guanda, 1990). Nel 1988 ha pubblicato un libro autobiografico sul ’68 (Cattivi soggetti, Editori Riuniti), nel 1995 Romanzi di culto (Castelvecchi) e un anno dopo la biografia di Alberto Moravia Una vita controvoglia (Giunti). Ha tradotto e commentato le poesie di Corbière, Apollinaire, Prévert. Insegna Letteratura francese all’Università di Viterbo. Per minimum fax ha pubblicato Ritratto dell’artista da vecchio. Conversazioni con Alberto Moravia (2001). I suoi ultimi libri , entrambi editi da Hacca , sono “La vita personale” e “La banda Apollinaire” .
http://www.hacca.it/hacca/prodotti/prodotto.php?idProdotto=93
La poesia di Paris si dispiega con eleganza nel cuore di chi legge . E’ una lunga striscia di terra su cui viaggiano i ricordi ma anche gli incantesimi, gli “strappi a mani tese dai propri cari”, di luziana memoria ; e il canto che apre nel ricordo i sentieri che giungono verso la propria (la nostra) terra amata .
Le paludi di Celano, meno infide della presunta modernità.
Al castello di Celano, c’era nonna Agatina, e non c’è più. Si passava per Gioia e Pescasseroli e ritorno se volevamo fare una gita di famiglia.
Sono di Sora, ma la Valle Roveto la facevo in bici e non ho mai saputo attraversare quel tunnel lungo da Capistrello verso il dentro.
E così questa geografia di appiedati pensieri veloci mi è cara e rimasta intorno.
No, l’infanzia del Mondo se coincide con la propria, non è mai perduta.
Pur non apprezzando lo stile “prosastico” devo dire che un’emozione liquida me l’ha causata. Aquilano e marsicano, aldilà di campanilistici screzi, sono fatti della stessa pasta, della stessa cultura.
E se posso permettermi di aggiungere due parole alla chiusa di Paris,
(“A bocce ferme posso dirvi, statene certi,
negli occhi del bambino appena nato,
l’infanzia del Mondo non è ancora perduta.”)
direi anche che l’infanzia del Mondo non è perduta fintanto che vive il bambino dentro al poeta.
Proprio necessario pubblicare con mondadori? non c’era una piccola casa editrice, da qualche parte, a cui appoggiarsi?
steno
proprio necessario che lei scimmiotti il nome d’arte del famoso regista del passato?
Amici, ci sono delle poesie che sembrano racconti e racconti che sembrano poesie.
Trovare il giusto bilanciamento non è sempre facile.
Renzo Paris è un poeta che non rifugge dai ricordi e dalle occasioni e ha il coraggio di proporre scritti spontanei o evocativi, scrive con gioia: la gioia dei bambini che denota l’incompiutezza ma ci fa pensare al gremito, al bottiglione che un tempo si riempiva alla fontanella…
Saluti affettuosi a tutti, Gaetano Calabrese.