“una speranza dentro di me, una speranza di cambiamento e di utopia”.

…….ricordo a tutti gli amici che questo non è e non vuole essere un blog letterario.
siamo qui per cercare nuovi modi di stare insieme, nel reale e nel virtuale……

franco arminio
 

Gentili amici,

oggi ho riaperto il pc con una speranza dentro di me, una speranza di cambiamento e di utopia.

In questi giorni ho pensato e ripensato all’ esperienza nascente delle comunità provvisorie ( nome orribile, me lo si permetta…sembra una cosa da saldi di fine stagione…, in più, perdonatemi, la parola communitas non ha un plurale, è già un nome collettivo, pluralizzarlo significa tradirlo due volte, nel significato e nella forma).

Ho riflettuto a lungo e bene, ne ho avuto modo anche data la mia situazione di inoperosità forzata.

Queste righe di seguito specificano meglio ciò che ho brevemente sintetizzato in quello che, sic stantibus rebus, sarà il mio unico commento sul nuovo blog. Prendetele come le riflessioni assolutamente amichevoli di un’inattuale, Nietzsche mi perdonerà per questo spostamento di genere……….

1) non considero né posso considerare le persone ( così come tutti gli esseri viventi) come dei mattoncini sostituibili con altri diversi, né posso pensare che un trauma come la fine di un’esperienza in cui avevo creduto possa essere risolto con leggerezza o con superficialità. L’autismo attinge proprio da questi principi, l’idea che la persona, l’uomo o la donna non siano unici ma semplici oggetti dell’Utile assurto a legge e, quindi, consumatori, fruitori di ciò che si produce, chi siano e come siano non conta, l’importante è che ci siano. Scusatemi, ma che questa operazione rischi di andare a finire lungo una linea del genere mi pare più che evidente.

1bis) la paesologia è condizione necessaria ma non sufficiente per la fondazione di una comunità, essa, in quanto scienza arresa- splendida definizione- non ha fondamenta stabili, di conseguenza i “pilastri” di questa eventuale vicenda vanno ben individuati e riconosciuti prima di esporsi pubblicamente. Bisognerebbe guardarci in faccia e dirci tutto quello che c’è da dire, senza finzioni e senza retropensieri e senza atteggiamenti fasulli. Alla base di questa esperienza dovrebbe esserci la verità, la pietas e la constatazione dell’inesorabilità e l’irreparabilità del mondo così com’è ora.

1ter) fare comunità è compiere un esodo irrevocabile, senza più presupposti né condizioni di appartenenza o di individualità, essere sì, ma essere quodlibet, essere qualunque, singolare ma senza identità; fare comunità è la costruzione collettiva di un corpo comunicabile.

2) quando qualcosa finisce c’è bisogno di un periodo di elaborazione e di silenzio anche. Se questo “fermo” non c’è, non viene naturale, non scatena anche dispiaceri e sconforti, allora forse vuol dire che ciò che è finito non era veramente sentito e che ciò che verrà partirà da presupposti di scarso amore, di ancor più scarsa attenzione. L’usa e getta è uno dei tipici automatismi dell’autismo corale. non possiamo fare come gli struzzi, i lutti vanno elaborati e non scotomizzati.

2bis)non si tratta di sostituire una macchina vecchia con una nuova, si tratta di fondare ( e vedete che dico fondare e non ri-fondare) una comunita’, una communitas, un luogo di scambi reciproci, di reciproci riconoscimenti. Si tratta di metterci in dubbio, di guardare oltre l’orlo, di andare “fuori” e non di creare semplicemente un nuovo “brand”. Ho trascorso gli ultimi due anni nella cp a dire che c’era bisogno di un “mutamento nel cuore”, voi cosa ne pensate? Basta cambiare logo e luogo per essere diversi? Ho i miei dubbi.

2ter)non rischiamo di fare errori già commessi? Io non ho mai creduto alla teoria del chiodo scaccia chiodo e le modalità con cui questa nuova creatura sta nascendo mi sembrano da discutere e da analizzare in profondità. Tutta questa fretta ossessiva di dire “Ehi! Ci siamo! Non siamo spariti…” , ma perché? E a quale scopo, a quale scopo “comunitario”?
L’esposizione è urtare contro un limite e toccarlo, l’esposizione è rischiare di ferirsi anche, di farsi male, non comunicare banalmente la propria presenza al mondo dell’Utile.

2quater) l’idea di attrarre altre esperienze quando ancora non abbiamo capito COME vogliamo essere noi è solo un modo per annacquare e allontanare la vera questione, una questione che da mesi ci stavamo e ci stiamo trascinando dietro.

3) ci sono fra noi persone che tanto hanno dato e fatto, persone che si sono spese davvero, franco prima di tutti, ma anche altri, coi loro modi e il loro modo di essere, il loro quodlibet. Non è molto corretto nei riguardi di tali amici ripartire senza un cambiamento sensibilmente reale e tangibile, a cominciare dalla modalità, dalla lingua, dai pensieri, dalle visioni e dai rapporti tra noi, senza avere la massima cura di una vera nuova considerazione, un modo nuovo di guardare l’altro da sé.

3bis) Fondare un “luogo” comunitario significa mutare prima di tutto se stessi, senza certezze, senza l’idea di essere migliori o di essere diversi a priori. Siamo disposti a partire dalle nostre singolarità, ad annullarle in un singolare senza identità? Altrimenti qual è la differenza? qual è la differenza tra i convegni fiume e le scampagnate e questo nuovo modello?

4) vogliamo essere una comunità o un posto come tanti altri? vogliamo essere persone che si incontrano occasionalmente o vogliamo fare parte di un’esperienza veramente innovativa? veramente “rivoluzionaria” e utopica? vogliamo essere folli o vogliamo semplicemente farci vedere, esporre le nostre mercanzie e farci dire quanto siamo bravi e quanto siamo buoni rispetto ai cattivi che stanno dall’altra parte?è questo quello che vogliamo o vogliamo provare a “volare”?

4bis) se la paesologia e la comunità sono un’esperienza “politica”, allora bisogna uscire dall’indifferenza della politica per come è condotta e usata e abusata adesso, bisogna abbandonare l’indifferenza verso le persone e per le persone, a cominciare da chi ci è più vicino, a cominciare da chi ha fatto affidamento su di noi, a chi a noi si è affidato. abbandoniamo i ben noti provincialismi che ci portano a dare più valore a chi è estraneo o nuovo e facciamo i conti con chi c’è, c’è stato e c’era già, poi apriamoci agli altri, ma non come si apre un supermercato, bensì come si può tenere aperta una porticina minuscola nella quale, per entrare, bisogna faticare e insistere

5) punto , forse, più importante di tutti: il problema non è l’essere ma il COME, il come essere. e su questo io non ho visto ancora nessuna vera apertura per un dibattito, a parte le considerazioni di Salvatore d’Angelo e alcuni contatti che ho avuto con Sergio Pagliarulo e Mauro Orlando, per uno scambio che faccia tremare sul serio le fondamenta di certezze stratificate dal tempo, dalle abitudini di ciascuno di noi e dalla vita.

Spero di non avervi annoiati con le mie riflessioni e auguro a questa creatura una lunga vita e buona fortuna.

Vi saluto e abbraccio con affetto chi sa abbracciare, chi sa avvertire la gioia e il dolore del Mondo, quello vero, quello con la EMME maiuscola…

elda

Cara Elda ,

per quanto tempo mi sono speso ed addolorato nel tentativo di “scavare nelle parole” in cerca della luce, della fragranza, della musica, della voce di chi le scriveva per non far perdere il ricordo di sè.

Le tue parole scritte mi hanno emozionato e sconvolto ma hanno dato senso ai miei dolori e alle mie gioie della nostra bella avventura comunitaria.

Le tue parole, credimi, hanno senso eccome almeno per me che  mi hanno  educato a imprigionarle nella logica e nel realismo più rigido. Comunque io ancora credo nella parola perchè credo negli altri non indiscriminatamente ora….e per ringraziarti voglio farti dono delle parole di una “donna” che ho molto amata e cercata che cantava il suo struggimento d’ amore con queste parole

“….i vezzi di leggiadre corolle…./ e l’olio da re ,forte di fiori/ che la tua mano lisciava/ sulla lucida pelle;/ e i molti letti/ dove alle tenere fanciulle ioniche/ nasceva amore delle tua bellezza/ “.

Leggere le tue parole mi hanno creato un tale disagio e senso di inadeguatezza che per commentarle prendo in uso le parole di un commntatore delle poesia-canto di Saffo ”

C’è una qualità sottile, una quasi struggente parentela tra tutti quelli che un istinto misterioso chiama avivere e ad esprimere la verità profonda del proprio essere: e che paradossalmente li guida, nello stesso istante in cui dedicano ogni forza acercare una comunicazione totale con gli altri, ad avvertire i limiti insuperabili che fanno inestricabile parte della loro impresa bella ed angosciosa.

I poeti e il loro impegno di esistere: cercare di dire tutto e tutto il vero, e scoprirsi isolati in una sfera di indicibile – nonostante la sapienza del dire- esperienza interiore. Lei come struggente persistenza vitale, di carne di sangue. Accesa dal balenare delle dolcezze che erano, che fino alla fine continueranno ad essere, il tutto: il condiviso tutto che possiamo, al più e al massimo, avere su questa terra” (G. Mascioni, Lo specchio greco, Mondadori)

Sono parole che ho sentito mie e che sentivo  ti riguardassero mentre leggevo il tuo scritto ed ho capito che non possiamo ulteriormente sprecarle in spazi comunicativi che non recuperino il senso , l’amore (koinonìa) per il bello che circolava come incenso nelle comunità dei “thiasi”e delle “eterie” della nostra civiltà ellenica

……ma le più belle parole che ho letto in questi scambi epistolari sono: Elda ti vogliamo tanto bene e non farci mancare le tue parole e la tua persona..

Con un affetto immenso e inesprimibile

Mauro

12 pensieri riguardo ““una speranza dentro di me, una speranza di cambiamento e di utopia”.

  1. Lioni, 21 Novembre 2011, ore15:17

    Elda, Mauro e Amici tutti, ho letto tutto d’un fiato;
    dico che sono qui con voi, e voi in me!

    Improvviso, alé:

    SONO QUI…

    Sono qui,
    assetato d’amore per amarvi,
    per dirvi che nel grigio
    della mia anima inquieta
    la vostra voce
    mi cinge di pace…

    Sono qui per avere il delirio,
    della luce attesa, paziente
    per avere nella mente
    la ragnatela dei vostri occhi,
    dove il brivido della gioia
    fuga dubbi e noia,
    per pagare il debito alla vita
    che mi fate inspirare…

    Sono qui per rinvenirmi
    nel canto,
    fuori dallo sbando,
    dell’incredulità…

    Sono qui a prendere
    il profumo delle vostre parole,
    la saggezza del cuore
    che conosce tutte le ragioni
    della sete,
    per le mete che additate,
    per la corda doppia che mi date
    nell’arrampicata,
    per arrivare all’orizzonte
    oltre il sogno
    della vetta inviolata…

    Sono qui per il bacio
    che mi date,
    per il vostro fiato
    che fa rifiatare
    il mio pensiero…

    Vi abbraccio, vostro Gaetano :-))

  2. Gaetano, sempre generoso e prodico di parole che parlano e gridano le emozioni leggere del semtimento amicale sia quando grida con la voce del dolore e del disamore sia quando cerca i nodi intrigati e controversi del senso nel gioco tra pensiero e realtà.Solo i poeti sanno costringere le parole a diventare creature viventi anche quando immerse in un silenzio profondo e particolare combattono con la superfice rumorosa di epoche al tramonto.Teniamoli d’acconto e ascoltiamoli con religiosa curiosità e tremore ma senza timore come i nostri padri e profeti biblici ascoltavano il silenzio del Dio come “una voce di silezio sottile”.

  3. EULà…CI SONO ANCH’io piccolo , piccolo che da qua giù vi saluta. Tempo fà lessi che gli umani nella loro vita al massimo riescono ad avere una relazione con max 150 persone di cui solo una decina amici veri e pochissimi veri amori uno o al massimo due.

    Be la comunità umana pare che partirebbe da questi numeri inutile affannarsi…….?

    Semmai doremmo pensare di realizzare diverse piccole conunità…..a tema?

    Sarebbe bello mettere insieme persone che condivido un sogno e lo possono praticare insieme?

    A me servirebbe come al solito un pezzo di terra ed una casa….vi anticipo che non ciò un euro, ma tanta voglia di tornare alla terra buia e vedere di nuovo le stelle.

    Basta poco, che ne pensate?

    cia Nanos

    P.S. sono in via di ristrutturazione.

  4. L’INVITO

    di Oriah Mountain Dreamer (Oriah Sognatore delle Montagne) Anziano Indiano.

    A me non interessa sapere quel che fai per vivere.
    Io voglio sapere per che cosa soffri,
    e se osi sognare di incontrare la passione del tuo cuore.
    A me non interessa sapere quanti anni hai.
    Io voglio sapere se rischieresti di sembrare un pazzo per amore,
    per i tuoi sogni, per l’avventura di essere vivo.
    A me non interessa sapere quali pianeti sono in quadratura con la tua luna.
    Io voglio sapere se hai toccato il centro del tuo proprio dolore,
    se sei stato aperto ai tradimenti della vita
    o se ti sei ritirato e chiuso per paura di ulteriore dolore!
    Voglio sapere se puoi stare con la gioia , la mia o la tua;
    se puoi danzare selvaggiamente e lasciare che l’estasi ti riempia fino alla punta delle dita
    e delle dita dei piedi senza ammonirci di stare attenti,
    di essere realisti, o di ricordare le limitazioni dell’umano.
    A me non interessa se la storia che stai raccontando è vera.
    Voglio sapere se puoi deludere l’altro per essere vero con te stesso.
    Se puoi sopportare l’accusa di tradimento e non tradire la tua anima.
    Voglio sapere se puoi essere fedele e quindi affidabile,
    Voglio sapere se puoi vedere la bellezza anche quando non è carina tutti i giorni,
    e se puoi nutrire la tua vita della Sua presenza.
    Voglio sapere se puoi vivere con il fallimento, il tuo e il mio,
    e ancora ergerti sulla riva di un lago e gridare all’argento della luna piena ,”Si!”
    A me non interessa sapere dove vivi o quanti soldi hai.
    Voglio sapere se puoi alzarti dopo una di pena e disperazione,
    addolorato e ferito fino alle ossa, e fare ciò che c’è da fare per i figli.
    A me non interessa chi sei e perché sei qui.
    Voglio sapere se starai al centro del fuoco insieme a me e non ti ritirerai.
    Non mi interessa sapere dove o cosa o con chi hai studiato.
    Voglio sapere che cosa ti sostiene dall’interno quando tutto il resto cade giù.
    Voglio sapere se puoi stare da solo con te stesso,
    e se veramente ti piace la compagnia che dai nei momenti vuoti.

  5. Avevo commentato in modo articolato e con l’attenzione che meritano le parole di Elda, ma una digitazione sbagliata mi ha fatto svanire tutto, scrivendo io in diretta e non avendo salvato il tutto.

    Vuol dire che riproverò con maggior calma, perchè le questioni poste meritano un contributo altrettanto sincero, soprattutto sugli aspetti in cui mi differenzio dalla sua impostazione, non per contrapporrmi, ché condivido in toto la tensione etica del suo intervento, ma per arricchirci davvero di un nuovo inizio, dove ciascuno possa e debba esercitare il proprio esserci, come co-partner a tutti gli effetti di una comunità che sia la somma di tante comunità atomizzate sul territorio.

    Già nasce qui la prima differenza/ricchezza con quanto affermato da Elda : no, in latino esiste il plurale di communitas, ed è “communitates” LE COMUNITA’, che , certo, è parola collettiva, ma fornita di plurale, perchè plurali e diverse sono le comuinità che agiscono sul territorio.

    E dunque io penso a uno STATUTO DI TIPO FEDERATIVO di queste Comunità, che agiscono liberamente sul territorio. Va da sé che penso alle comunità che non accettano l’attuale stato delle cose.

    Ci si federa con chi ha in comune la voglia di cambiamento ATTRAVERSO IL LINGUAGGIO DELLA BELLEZZA E L’AGIRE DIALETTIZZANTE e non CONFLITTUALE :per capirci, non l’idea che noi siamo i buoni e tutti gli altri sono cattivi, no; noi siamo tuttalpiù quelli che vogliono dare un contributo al cambiamento magari provando a stare bene tra di noi, con il rispetto e l’attenzione che ciascuno di noi merita.

    Ciascuno di noi con la propria identità e il proprio percorso, ciascuno dei quali è diverso e tale dev’essere, non deve annullarsi in una unità o in un corpo collettivo indistinto.

    Questo corpo collettivo per me deve brillare delle particolarità e diversità che lo compongono; parti che NELL’AGIRE, NEL FARE, NEL FARSI DEL PRESENTE IN DIVENIRE si arricchiscono di esperienza e dunque di riflessione e di elaborazione teorica,; e che serva, quest’ultima, semplicemente a calibrare il grado di consonanza e di armonia che saremo in grado di produrre.

    A questo deve mirare la tensione etica, la tensione all’utopia, alla rivoluzione del modo di essere e pensare. A questo e solo a questo, non a nuovi assoluti, a nuove unicità, all’uno.

    Mi stanno bene le visite ai paesi, il turismo della clemenza, il consociarsi attraverso uno statuto federativo; così come federativo dev’essere il riverbero sul blog.

    Sul blog mi sta bene, anzi benissimo la letteratura, ma altrettanto bene le voci dalle comunità che lo compongono. Soprattutto le voci dei tanti editori-postatori che ancora poco intervengono.

    Che ciascuno sia leader di questo esserci, senza riserve e retropensieri. Che eserciti con senso di responsabilità e di dono la sua funzione di “leader orizzontale” e soprattutto che la eserciti davvero, partendo dalla propria undividualità e unicità.

    Mi sta bene, anzi benissimo, che ciascuno possa esprimere la propria creatività ed esprimersi per ciò che sa fare e sa dare.

    Assumiamo ciascuno una quota di responsabilità e di impegno, con cuore sgombero da retropensieri.

    Che ciascuno porti la propria dote di idee e di progetti, esaminiamoli assieme e costruiamone insieme alcuni, con allegria e voglia di star bene. Tra i significati di communitas c’è anche quello di “affabilità”.

    Ne anticipo una che non è mia, ma di Antonio Moresco, e che faccio mia, perché è bellissima:

    Perchè non lavoriamo intorno al progetto di “STELLA D’ITALIA”? Cioè incontrasi tutti a L’ Aquila, a giugno prossimo, partendo a piedi ciascuna comunità dal proprio territorio e convergere tutti li, da nord, da Sud, da Est e da Ovest del Paese, a rilanciare su basi nuove il progetto di una nuova unità nazionale ?

    Ma c’ è tempo per approfondire.

    Intanto parliamone, alimentiamo la discussione sollecitata da Elda, nella speranza che il suo sia il primo di tanti e altri lucidi commenti, non l’ultimo. Assieme a quelli di tanti altri.

  6. Questa mail è stata scritta in luglio ed era indirizzata a un gruppo ristretto di amici. Onestamente non so quanto possa interessare i lettori del blog, ma voglio molto bene a Mauro e ho fiducia nella sua capacità di giudizio e di valutazione.
    C’è da dire che, da allora, non ho cambiato idea e che le mie perplessità restano le stesse.
    Volevo salutare Enzo che non vedo da mesi e, al tempo stesso, ringraziare Gaetano, sempre accorato e gentile. Inoltre voglio dire grazie a Salvatore, da un lato per la sua vicinanza che, in questo periodo, mi ha confortata non poco, dall’altro perché le sue riflessioni mi portano sempre oltre me stessa e il mio piccolo modo di pensare.
    Il progetto di Moresco lo conosco per essere stata a Castiglioncello con Franco alla presentazione di “Tribù d’Italia”, non mi convinse allora e non mi convince adesso per diversi motivi, primo fra tutti la base di partenza, fortemente escludente e “letteraria”, di quella proposta,che aveva molto poco di quel rimando al pensiero di Pasolini a cui il gruppo de “Il primo amore” sostiene di rifarsi. Ma questa è la mia personale posizione che deriva da un’osservazione diretta dei soggetti coinvolti e delle loro modalità di comportamento rispetto a ciò che è “altro da sé”. Diciamo che io preferisco continuare il mio lavoro con “gli ultimi della terra” e con la terra stessa, ossia col Mondo dell’inattuale , del non contemporaneo. In questo periodo nel quale imperversa una stitica polemica sul postmodernismo ( termine che mi fa orrore quanto l’aggettivo “moderno”), ognuno deve fare le sue scelte di campo, la mia è rivolta verso cose piccole ma utili, gesti semplici ed essenziali, possibilmente nascosti. Le grandi adunate occasionali non mi interessano, preferisco il tocco ruvido di una mano che ringrazia.
    Riguardo alle questioni linguistiche sul plurale e il singolare,la mia formazione mi porta sempre alle origini dei nomi e delle cose. Senza voler sollevare oziose questioni esegetiche, nel latino arcaico il sostantivo “communitas” non aveva un plurale, lo ha acquisito solo in epoca repubblicana.
    Ma ciò che più conta è che “communis” è colui che condivide scambievolmente un dono e non un peso, e questo dono è il dono che di sé si fa agli altri, ogni santissimo giorno, ogni momento della nostra esistenza. Mentre, attenzione!, “immunis” è colui che è ingrato, cioè colui che non mette in comune il “munus” ricevuto, il beneficio, il dono che gli è stato fatto.
    Forse bisognerebbe pensare a un mondo nel quale le parole tornino ad avere il loro più profondo significato, invece di essere contrabbandate e violentate. Forse, o forse no. Forse è meglio continuare su questa china nella quale tutti parlano di tutto, tutti si indignano o dicono di indignarsi, tutti ciarlano di impegno, di lotta ma, poi, quando ti giri per vedere chi hai a fianco, spesso, troppo spesso, ti trovi da solo. D’altra parte questa è o non è l’epoca in cui è stato inventato il “legittimo impedimento”?
    vi abbraccio e vi auguro una vita degna del suo significato.
    e.m.

  7. Cara Elda,

    sono nd’accordo su quanto dici che “forse bisognerebbe pensare a un mondo nel quale le parole tornino ad avere il loro più profondo significato, invece di essere contrabbandate e violentate. Forse, o forse no. Forse è meglio continuare su questa china nella quale tutti parlano di tutto, tutti si indignano o dicono di indignarsi, tutti ciarlano di impegno, di lotta ma, poi, quando ti giri per vedere chi hai a fianco, spesso, troppo spesso, ti trovi da solo. D’altra parte questa è o non è l’epoca in cui è stato inventato il “legittimo impedimento”?”

    e mi pare che le mie perorazioni vadano in questa direzione. Dunque, in questo c’è consonanza. Anzi, aggiungerei, citando un adhit coranico che “solo dio sa con esattezza cosa c’è nel cuore e nelle intenzioni di ogni singolo uomo”; a noi quindi non resta che fidarci e concederci fiducia l’un l’altro.

    Per il resto, e per le iniziative, si può e si deve pensarla diversamente.
    Si realizzano le cose che comunemente amiamo e/o ci convincono, ci mancherebbe.

    Ciò detto, spero di ritrovarti ancora qui a commentare e a stare tra noi, a condividere un po’ di vita in comune. Come fa un vero leader naturale. E tu, ça va sans dire, lo sei a tutti gli effetti.

    Anch’io ti abbraccio e ti auguro una vita degna del suo significato.

    Alla prossima

    sda

  8. che c’è che non ti piace nella parola moderno? anch’essa deriva dal latino, hodie, cioè oggi. ah già, dimenticavo che siamo inattuali…

  9. Sergio, mi meravigli..proprio tu, che dovresti conoscere bene Nietzsche. L’inattualità nicciana non va intesa come “occhio rivolto al passato”, ma come “non in linea” col modo prevalente di pensare e agire del tempo presente (nel presente nicciano). Dunque non è una lettura di retroguardia, ma inattuale in quanto “molto in avanti” rispetto al presente del tempo. E mi pare che Nietzsche abbia avuto ragione, su molte cose e per molti versi, almeno secondo me.
    Magari Elda intendo questo per “inattuale”…
    Absit iniuria verbis..

  10. Il richiamo a Nietzsche e alle sue “Considerazioni di un inattuale” mi sembrava più che ovvio, sia per il termine “inattuale” che per “moderno”.
    La prossima volta sarò più chiara. A volte si eccede in sintesi per paura di apparire didascalici…
    In ogni caso, l’inattualità, come qualità, io la riferisco non al mondo “dell’Utile”, ma a ciò che se ne sta altrove, a quello che qualcuno chiamava “Lo Spirito del Mondo”.
    Grazie,Salvatore, come sempre.
    e.m.

  11. – Voi siete il fiato che fate rifiatare il mio pensiero – sìì e sempre di più, Gaetano vostro debitore, sempre 🙂

  12. La speranza e la richiesta d’amicizia mi portano a fare delle incursioni corsare negli scritti della Elda per il desiderio di evocarla ed averla sempre tra di noi.Essa per tutti noi ha rappresentato il paradigma del ‘dono’ come richiesta di attenzione e cura dell’altro frutto non di presunte qualità naturali e di genere o a presupposti di tipo essenzialistico o moralemnte universali ma alla consapevolezza da parte dei soggetti-persone della loro insufficienza,dipendenza,precarietà,vulnerabilità……provvisorietà e gratuità…….tibi gratias agamus …Edda.

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