cicli di rivolta, e rivoli

di Luca Sessa

Quando nuove istanze emergono fra nuovi uomini in nuovi tempi, è difficile inventarsi di sana pianta contenuti e forme insieme. La loro rappresentazione è sempre inevitabilmente un processo che combina reazione e imitazione, configurando così una particolare struttura a generazioni sovrapposte e scaglionate delle rivolte. Nei cicli, le generazioni ultime tipicamente e quasi per dovere biologico-evolutivo contestano i contenuti dei padri; ma per veicolare il contenuto nuovo usano i modi che i padri hanno trasmesso loro insieme al contenuto che poi li ha saturati – difficile fare di meglio nello strappo.

Così nel decennio scorso al consumismo dei beni materiali di fine millennio era succeduto sull’onda protratta della stessa opulenza quello dei beni immateriali, che metteva sullo stesso piano di shopping delle maniere di essere il mondo e il negozietto sotto casa, i riti di una cultura e la palestra della danza, l’eterogeneità delle organizzazioni vitali e la fruibilità del proprio menù da tempo libero. Nello stendere il ventaglio velato delle preferenze ciascuno non valutava, o valutava trascurabile, il proprio contributo a rendere il mondo, proprio e altrui, una vuota e vaga, e bassa, media.

Oggi invece, circa mezza generazione dopo, chi protesta ha paura di rimanere all’addiaccio dei consumi immateriali e veloci, di un certo costo complessivo, nella cui idea e pratica era cresciuto. Da un lato inizia a percepire non possano mai bastare, non aiutando davvero a trovare un fondo proprio; dall’altro teme di non avere più i mezzi per sostenerli, causa la crisi della finanziarizzazione globale. Che prima sosteneva tutti, ma che adesso ha smesso di essere rassicurazione su un flusso di beni materiali che sostenga possibilità. Chi protesta si augura un nuovo modello ma non sa quale. Lo vuole umano, ma il mondo è una palestra dove ancora alle 6 c’è danza del ventre, alle 7 balli popolari, alle 8 capoeira, a seguire tango, tutta la notte. Oppure è un computer dove c’è tutto questo in un tempo infinitamente inferiore, per ciascuno, e poi per tutti con l’iconcina di condivisione. Nel silenzio della notte che si inoltra, me li clicco da solo a casa quei posti di quei balli, tengo amici là, in mezzo canzoni e un paio di minuti di play a Chomsky che arringa gli altri occupiers, forse a Sidney. 90507 visualizzazioni. Velocemente saremo a Roma o a San Francisco il prossimo fine settimana. Lo spostamento immediato, via terra o aria, reale o virtuale, tipicamente concentrico con collezioni di frange di periferia come adorno, è l’unico riempitivo, ma a necessità di espansione costante. Dateci la benzina minima che ci sostenga la traiettoria.

La protesta oggi è una scatola con globalità, e ansia, quali unici contenuti comuni: la stessa globalità a punta di tastiera e di papilla gustativa, e forse la stessa ansia di un confine da superare, esportata dai padri come strumento di dominio sul mondo. Ma stavolta è con tecnologia wi-fi.

Tuttavia, in avanti non ci sono più mondi, e esausto questo non ci sono altri confini.

W la potente acqua di vita di Caposele.

4 pensieri riguardo “cicli di rivolta, e rivoli

  1. Quindi il mondo da cambiare è questo, ma il punto è sempre questo, che non si torna mai indietro e è improbabile poter rinunciare- tutti qui dentro- a certe abitudini, modi di essere che ormai sembrano essere parte integrante di noi. Mi sembra, a volte, che l’unica via d’uscita sia quella che, non so quanti anni o secoli fa, Svevo indicava nelle pagine finali della Coscienza.

  2. Io non credo che i mondi siano finiti qui. Pensiamo ai neutrini: ci hanno appena annunciato che l’universo funziona diversamente da quanto sapevamo.Ed essi, o meglio la scia di essi -perchè non si fanno vedere ancora- con la Relatività Assoluta, han fondato finora le nostre conoscenze e tutto il ‘900.
    Il mondo non era meno palestra quando dalla caverna toccava acchiappare il cinghiale scansando il bisonte; nè lo è stato meno poi. Quando tocca ricominciare daccapo, in verità, non si sta che riflettendo su ciò che si è trascurato, più o meno tutti. Nessuno può dire se lo strappo ci sarà, o ci sarà un rigetto di quei contenuti malati dell’epoca della betoniera.Ci sarà qualcosa o meno, intanto ci si pensa.Nel mio caso senza ansie ma con una forte determinazione alla trasformazione.

    1. Io penso invece che il mondo sia questo, solo che cambia il nostro modo di vederlo, o meglio la nostra capacità di vedere. I nostri occhi vedono altro e vedono di più. Ma questa, anche questa, non è una novità, perchè penso che ci siano anche adesso persone capaci di vedere cose che nornalmente non si vedono o che non tutti vediamo, così come ci sono in altre parti della terra persone che hanno occhi per cose che non neanche riusciamo a immaginare. Ma di questa limitazione occorre essere consapevoli se vogliamo andare oltre.

  3. ….e allora cerchiamoli i visionari; mettiamoci sulle tracce dei profeti dell’oltre, andiamo in pellegrinaggio laico al santuario extraurbano di un dio dell’ombelico che non è più un limite sulla pancia di ciascuno, ma solo il punto di partenza di una vite d’Archimede a cui legare il mondo intero.

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