CONTRO L’AVANGUARDIA DEL NULLA.


È vero, certo che è vero, che ci vorrebbe una rivoluzione, ma deve partire da noi stessi, la rivoluzione si fa quando tu, per primo, decidi di cambiare, e non è retorica. La rivoluzione si fa quando abbandoni la rete di protezione e fai vedere agli altri come si fa a buttarsi giù, rischiando anche di sfracellarsi,quando non si nuota in superficie, ma si decide di vedere il fondo, in apnea,coi polmoni che ti scoppiano e con la paura di non riuscire a risalire.

La rivoluzione si fa quando,passando per strada e vedendo un cane randagio, ti fermi e te lo porti a casa, quando ti fermi per ore a guardare un falco che caccia sui campi appena seminati di grano. La rivoluzione si fa quando, incontrando una bambina rom ai semafori, parcheggi e le dai da mangiare e, poi, le dai pure i soldi e la smetti con quei discorsi ridicoli sul fatto che quei quattro spiccioli alimentano il fenomeno. Il fenomeno, già, perché una bambina a un semaforo è un fenomeno, ma io, allora, preferisco dare i soldi a questo fenomeno piuttosto di sapere che, se torna a casa senza soldi, la picchieranno.

Preferisco svuotarmi le tasche per fare la spesa a un barbone della Stazione di piazza Garibaldi e dargli un letto dove dormire piuttosto che andare in piazza a gridare slogan di sabato pomeriggio e, casomai, se c’è il sole, piuttosto che andare ad abbuffarmi di porchetta e pizza e, nell’intervallo, parlare di clemenza, di cambiamento, di umanesimo delle montagne.

E preferisco prendere a schiaffi chi mi viene a parlare di debito pubblico e di democrazia. Prenderlo a schiaffi piuttosto che vederlo parlare per tre minuti in una trasmissione che dice di essere un servizio pubblico e, poi, mette gli operai e i precari sul trabattello e i politici e gli economisti su una bella sedia al centro della scena e li fa blaterare per ore e ore.

Ma voi li vedete gli occhi di quegli esseri? Li riuscite a vedere quegli sguardi spenti, disinteressati, smunti, svuotati, sfiniti, occhi galleggianti su un letto di arroganza e di “sapere”, simili ad un uovo fritto venuto male, tutti uguali, tutti in fila, impiattati e serviti, occhi che non hanno un grammo della bellezza di quelli di un vitello di tre mesi portato al macello mentre scivola sulla pedana dove gli spareranno in testa. Una vita nemmeno iniziata, immolata per farvi mangiare le vostre cotolette, il vostro ragù domenicale, mentre litigate con vostra moglie o cercate di farvi ascoltare dai vostri figli. E preferisco uscire all’aria aperta e farmi sventrare dagli occhi della gente piuttosto che dare appuntamento in una squallida stradina di campagna, al buio, con le macchine che passano e illuminano le facce e la paura perenne che qualcuno ti riconosca.

E preferisco urlare quando c’è da urlare e sputare quando c’è da sputare e scomparire quando c’è da scomparire.

Io voglio fare la rivoluzione ma la voglio fare solo con quelli che non ci penserebbero due volte a buttarsi da uno scoglio alto al posto mio, la voglio fare con chi ci mette la faccia e i soldi e la vita, la voglio fare pure con chi, se siamo al bar, fa a gara con me per pagare il caffé.

Voglio fare la rivoluzione con chi si incazza di fronte alla vergogna di questo commercio di facce e di nomi, di ragazzine che si vestono come trentenni e che ammiccano alle telecamere, di uomini che passano undici mesi all’anno in famiglia e il dodicesimo a Cuba o in Brasile o in Thailandia e ti dicono che, in quel mese, hanno contribuito a mantenere una famiglia.

E ancora di parole che vengono contrabbandate per ottenere plauso, di libri che vengono pubblicati e poi venduti nei supermercati con il quindici per cento di sconto, masturbazioni sull’io e ancora sull’io, su questo cazzo di io che mi ha francamente rotto i coglioni, che ha portato alla violenza, alla prevaricazione, alla concorrenza, alla lotta, alla gara, alla corsa.

A queste storie “d’amore” così complicate, con gente che pure la sua merda la fa pesare sul piatto, che non ha tempo, che deve sempre fare altro, correre altrove, che si preoccupa per un fittolina alla testa e non si commuove di fronte alla morte.

A queste donne e questi uomini che strombazzano di assenza di valori e di impegno e, poi, stanno tutti lì, nei centri commerciali, in fila come tante brave formichine, con la differenza che le formiche fanno qualcosa di utile per la loro comunità, e per la loro comunità lavorano tutta la vita e muoiono.

La rivoluzione non si fa scrivendo di volerla fare e mantenendo la propria vita al riparo dai “pericoli”, usando gli altri per i propri scopi, facendoli esporre, approfittando della loro generosità, del loro affetto, della loro lealtà.

Gli uomini e le donne di adesso, di questo adesso, quelli che, anche non ammettendolo, o dicendo il contrario, sono perfettamente attuali e “moderni” sono esseri informi, vacui, inconsistenti e, spesso, troppo spesso, piccoli,  con un cuore piccolo, con una mente piccola, molto più di quanto dicano, molto più di quanto vogliano far intendere.

È con questi che volete fare la rivoluzione?

La solitudine, ma meglio ancora l’isolamento, diventano una necessità, sottrarsi a questa specie di mercato delle vacche che è uno degli spettacoli più osceni e indegni che possano esistere.

Ci vuole una scelta di sottrazione e di selezione.

Io mi sono sottratta e mi sottraggo al mercato.

Inutile dire che è doloroso ma devo farlo perché ho capito che bisogna dare un segnale, che io per prima devo praticare l’orlo di quell’etica della quale tutti parlano, parlano, parlano, e poi ognuno si fa i cazzi suoi e chi si è visto si è visto.

Perché ci deve essere almeno qualcuno che ha la forza di agire diversamente, di opporsi a questo lento processo di disumanizzazione generale.

Perché ci deve essere qualcuno in questo mondo che dice no,e lo dice coi fatti, qualcuno che va avanti, anche a costo di rendersi ridicolo, di restare solo.

Eccola, non la vedete?, ecco l’avanguardia di questa umanità, l’avanguardia del nulla e della distruzione.

Ecco, ce li abbiamo di fronte a noi, quelli che hanno contaminato la terra, quelli che avvelenano l’aria, i nostri veri nemici,

Sono loro, l’avamposto della decomposizione.

Elda Martino

p.s. Questo è il mio ultimo intervento su comunità provvisorie. Abbraccio e bacio sulla fronte gli amici, quelli veri, quelli che incontro e che posso guardare negli occhi. Li continuerò a incontrare e continueremo ad essere insieme. Abbandono, invece, le finzioni, la menzogna assurta a modo di vita e le rappresentazioni di sé. Le lascio a chi si accontenta di questo per vivere

15 pensieri riguardo “CONTRO L’AVANGUARDIA DEL NULLA.

  1. Dare i soldi a chi li mendica sotto un semaforo non è rivoluzione. E’ l’apoeteosi del conformismo ignavo. Di quello che non difende il bambino agendo sul sistema di vantaggi che lo ha portato sotto quel verde e rosso, ma semplicemente lo affossa, assicurando a lui il merito di non far violentare quel bimbo, in quel giorno. Non dare soldi a quel bambino, magari davanti ai propri figli, che ti guardano stupiti perché qualcuno gli ha detto che così dovranno comprenderti nella sfera dei cattivi, fermarti davanti a quel semaforo, anche se gli altri ti ammazzano di clakson, per spiegare a loro perche lo hai fatto ed al bimbo perche stai chiamando i carabinieri è la vera rivoluzione. Ma sporcarsi di mondo non è cosa radical chic.

    1. i carabinieri…dio santo…radical chic…ma per favore…stiamo scherzando?
      mia nonna avrebbe detto: ” Signore,non peggio!”
      e, sempre come avrebbe detto mia nonna,: “Tiratevi la porta”.

      1. … Carabinieri: proletari pasoliniani chiamati a rappresentare lo Stato. Stato: istituto di beneficenza che permette laute tranquillità ed estraneazioni dal mercato al 99% di coloro che, in Italia, si definiscono artisti o intellettuali. Artista/intellettuale fuori dal mercato: radical chic

  2. ..la scelta del silenzio per non assecondare il mondo…

    Così si concludeva la sezione finale de IL MIGLIORE DEI MONDI, libro di poesie di Felice Piemontese, Manni Editore.Ma qui il “chiamarsi” fuori, è un silenzio che parla, e che dice più di mille e mille parole.

    Ci si chiama fuori per esserci e per poter esserci, sempre.

    Non c’è altra rivoluzione che questa.

  3. questo scritto della Elda che si annuncia come “ultimo” nel nostro blog è come sempre essenziale per la nostra esperienza comunitaria che ci permette continuare il nostro viaggio contro gli stereotipi,i sensi comuni e le indifferenze che ci rende prigionieri del deserto della speranza e dei sogni che ci allontana dalle reali comunicazioni e dalle sincere relazioni con il mondo delle persone, delle cose e …della terracarne.E’ l’indifferenza il peggiore dei sentimenti freddi che ci costringe in una solitudine arida e pietrificata, che nulla ha ache fare con la solitudine interiore, creatrice e ci costringe all’isolamento..Nella indiffrenza si inaridisce e si esaurisce una qualsiasi comunità provvisoria interpersonale o di destino che potrebbe rendere vivibile e degno di costruire e pensare una vita vissuta anche nella dolore, al margine, nella provvisorietà ,nell’angoscia ,,nella sofferenza o nella disperazione vitale che ci indica sopratutto nel dono amicale il suoeramento dei labirinti del nostro egoismo che ci fa vivre anche il dolore ela soffrenza altrui come qualcosa che ci interessa molto da vicino come il destino comune anche nostro.Una comunità del cuore che va aoltre alla comunità di cura in cui siamo capire e vivere come nostra anche la fragilità degli altri.Un destino comune come esperienza complessa,difficile, affasciante ma anche inquietante.In questo senso mi inquietano e mi affascinano le parole profonde e sofferte della Elda e nel mio caso mi incitano a continuare con testardaggine e ripetitività la nostra esperienza comunitaria in Irpinia anche a costo di testate dolorose e insopportabili.Ed ho pensato ad un riferimento umano e storico che mi confortasse non solo con bellissime e profonde parole ma con azioni e fatti storici che veramente hanno determinato situazioni e cambiamenti “rivoluzionari” interiori ed esteriori…..sto parlando di Gandhi……

    Prendi un sorriso,

    regalalo a chi non l’ha mai avuto.

    Prendi un raggio di sole,

    fallo volare là dove regna la notte.

    Scopri una sorgente,

    fa bagnare chi vive nel fango.

    Prendi una lacrima,

    posala sul volto di chi non ha pianto.

    Prendi il coraggio,

    mettilo nell’animo di chi non sa lottare.

    Scopri la vita,

    raccontala a chi non sa capirla.

    Prendi la speranza,

    e vivi nella sua luce.

    Prendi la bontà,

    e donala a chi non sa donare.

    Scopri l’amore,

    e fallo conoscere al mondo.

  4. “Numerosi sono quelli che si immergono interamente nella politica militante, nella rivoluzione sociale. Rari, rarissimi, quelli che per preparare la rivoluzione se ne vogliono rendere degni”.
    Letto oggi su Repubblica e mi pare che è il punto di elda, da cui mi tengono lontani i suoi toni quando diventano vanamente prescrittivi. Rendersi degni di una qualche rivoluzione è una ambizione giusta e libera …

  5. Ecco: ?…”dio santo!” ….e con questo hai ridetto tutto. Me lo ripeto sempre, Inutile parlare alle porte chiuse. Ma spero di nn imparare mai

  6. all’arrivo dei carabinieri il bimbo disse……

    il mondo è morto. facciamoci le condoglianze l’uno con l’altro. il mondo degli umani, degli uomini e delle donne è morto dopo un’agonia di centinaia di anni. forse è morto un giorno di febbraio del 1600, mentre giordano bruno bruciava sul rogo a campo de’fiori. o forse era già morto prima, quando la peste nel xiv secolo dimezzò la popolazione europea. o forse è morto un poco dopo, quando eleonora pimentél de fonseca fu impiccata senza mutande a piazza mercato mentre il popolo dei lazzari napoletani e sanfedisti le guardavano sotto il vestito. no, il mondo è morto molto prima, quando la logica ha preso il sopravvento in maniera strisciante e subdola sull’istinto. quando in nome della nostra presunta superiorità di specie, abbiamo iniziato ad allevare e ad uccidere, quando abbiamo deciso di costruire mura intorno alle città, insediamenti puzzolenti di merda e di piscio dove ogni spazio delimitava una solitudine, una casa abitata da altri morti che litigavano con i vicini per il confine, per le pecore, per la proprietà. la morte è un evento definitivo, e noi abbiamo bisogno solo di eventi definitivi, unici, senza scampo. per troppo tempo abbiamo creduto di poterci salvare, mentre invece non c’era alcuna salvezza e già stavamo morendo. abbiamo usato la filosofia per convincerci che sapevamo pensare, che sapevamo usare la testa e che, quindi, eravamo vivi. nella nostra testa non eravamo noi a muoverci, ma i vermi, le sinapsi erano il loro strisciare, la terra che spostavano. gli occhi già non c’erano più, e quello che abbiamo visto era solo una rappresentazione consolatoria, un’immagine che ci eravamo costruiti ad arte. siamo bravissimi a prenderci in giro, a illuderci della nostra vitalità curiamo i nostri corpi, produciamo merci, le acquistiamo e così ci riempiamo la vita. ma quale vita? la vita non c’è più in questo mondo, è fuggita via, è andata a nascondersi quando ha visto come volevamo usarla, che commercio intendevamo farne, come pensavamo di esporla, di metterla in ridicolo, di svilirla. il mondo è morto quando l’ultimo lupo è stato ucciso e appeso per la gola nel paese più disperso degli appennini. quando i pescatori hanno smesso di lottare alla pari con i tonni nel canale di sicilia, quando abbiamo costruito i lager dove alleviamo i polli che poi le nostre mamme danno da mangiare, slavati, bianchi, ai bambini, bianchi e slavati pure loro, senza anima, senza cuore, destinati a diventare altri morti e ora solo in fase di coma irreversibile. nessuno grida più, nessuno piange veramente, nessuno si abbraccia con vero calore. facciamo il funerale a questo nostro misero mondo. scambiamoci frasi su come eravamo buoni e bravi. portiamo lunghi vestiti neri adatti al lutto e stiamo in silenzio. spegniamo le comunicazioni, annulliamo le parole, che restino solo pochi gesti semplici e poche, pochissime cose, quelle essenziali. smettiamo di correre, tanto siamo morti, non facciamo progetti, non investiamo denaro. i morti non le fanno queste cose. i morti sono composti, silenziosi, dignitosi e veri, qualità che abbiamo perduto da troppo tempo per poterci definire vivi. solo la morte può renderci di nuovo belli e furenti. la morte non è una cosa brutta, la morte è pulizia, è rinascita e inizio. non ci ha uccisi nessuno, siamo morti da soli, guardando il nulla, pensando al futuro, accumulando o dissipando, muovendoci o stando fermi, a letto, per strada, vicino a un camino o ad una festa. nessuno ci ha ammazzati, o tutti. ora possiamo organizzare un bel funerale, un funerale di stato, un funerale mondiale. e poi stare fermi, immobili, austeri finalmente, finalmente dignitosi e innocenti. torneranno le selve sui nostri mostri, sulle strade, sulle case, e negli stessi cimiteri. e torneranno altri uomini, insieme agli animali, ai rovi. ed è chiaro che tutto questo noi che siamo morti non lo potremo vedere. ma dobbiamo lasciare questo mondo, dobbiamo liberarlo dalla nostra ingombrante presenza, togliergli le mani dal collo, lasciarlo respirare. si riorganizzerà più velocemente di quanto crediamo, il mondo, perché non è nostro, non lo è mai stato e solo noi abbiamo creduto di poterlo comprare. ma l’aria non si compra e nemmeno il vento, il mare, la neve. non si compra tutto questo immenso splendore del quale noi non partecipiamo, mai abbiamo saputo partecipare. smettiamola di agitarci e fissiamoci nella nostra posizione di defunti, sorridenti come gli etruschi, ieratici come gli egizi. scegliamo quella che più ci piace e diamoci pace perché siamo morti, finalmente e inesorabilmente morti.
    (elda martino)

    elda è sempre emozionante leggere e rileggere ciò che scrivi……..grazie

  7. sono senza parole…ma come si fa a dire cose del genere su chi non si conosce?
    comunque, amici, volevo salutarvi.
    direi che l’epilogo non è dei più confortanti, ma confido in voi.
    elda

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