Homo Radix 2012

Tiziano Fratus x Comunità Provvisorie

Valle d’Aosta – Morgex, il larice millenario

Inizia un viaggio in Italia alla ricerca di alberi secolari, monumentali, semplicemente straordinari e dei paesaggi che li ospitano. Un uomo (o una donna) radice circola ogni giorno alla ricerca delle proprie radici, che si modificano, si sviluppano, marciscono e poi rinascono, continuamente. Il cercatore di alberi che vive dentro questo corpo scandaglia, osserva, descrive, cerca di catturare qualche frammento di realtà e la rigenera in quel piccolo percorso esistenziale, iconografico ed editoriale che sono i “taccuini per cercatori di alberi”. Nessun altro luogo come le Comunità Provvisorie mi è sembrato più opportuno, una concentrazione di punti di vista e di idee che vanno a caratterizzare quella paesologia coniata da Franco Arminio, a cui, chi scrive, si permette di accostare con umiltà l’alberografia.

Prima tappa è la Valle d’Aosta, una regione ricca di alberi secolari, un paesaggio alpino attraversato da un doppia cerniera di asfalto, ferro e travi di faggio, ovvero la strada che sfiata dal canavesano e si incunea a sud est, a Point-Saint-Martin, per poi salire, raggiungere il centro (Aosta) e proseguire a ovest e a nord ovest, verso La Salle e Morgex e Courmayeur. La ferrovia venne costruita negli anni Ottanta del XIX secolo. Successivamente venne aggiunta l’autostrada, la via più rapida ma assai costosa, credo l’autostrada più costosa d’Italia.

L’albero più vecchio della regione è un larice europeo (Larix decidua), che svetta a quasi duemila metri sulle montagne di Morgex. Arrivati nel paese si seguono le indicazioni per località Villair, dove si può parcheggiare in una piccolissima piazza; da qui inizia una lunga camminata che i migliori camminatori potranno percorrere in un paio di ore, chi scrive ne ha impiegate tre. Le abitazioni sono inequivocabilmente un salto nella manualità delle generazioni passate, legno e pietra. Si arriva ad un pontile sul torrente dove le frecce indicano le località che da questo punto si possono raggiungere: Alpe Licony (1884 m, 2h 15m), Pianta monumentale (1910 m, 2h). Costeggiando il torrente si arriva ad un bivio, a destra stradina sterrata che porta ad un vicolo cieco, a sinistra strada asfaltata che sale e che dovete imboccare. Le abitazioni scompaiono, si annunciano frassini, noci, aceri campestri, robinie, pioppi neri, larici, pini silvestri, e poi alcuni pioppi tremuli, che in autunno potrete notare per il color rosato, salmonastro, delle foglie. Salendo ci si inoltra in un bosco di pini punteggiato di corvi neri gracchianti. Sotto il cielo limpido ascolterete il vociare del traffico che risale la vallata, nel cui indistinto fragore si possono individuare uno scavatore o il richiamo d’un gallo. La salita è faticosa, lo penso più volte prima di raggiungere la meta. Gli individui che incrocerete per strada vi saluteranno. I forestieri, soprattutto se urbanizzati, al contrario non vi guarderanno in faccia. Ad un certo punto si raffigura la quadratura d’una abitazione, un casotto in cemento, pini neri, abeti rossi, e qualche pensiero osceno, come un piatto fumante di gnocchi al Castelmagno. Alcuni alberi sono cresciuti contorti sfuggendo alla prese dei sassi. L’edificio segnala il passaggio di consegna fra un bosco misto e il lariceto. Fontana, acqua freschissima che sgorga, tetto in pietra di lesena. Un bivio: a sinistra è segnalato il lago di Licony, 1h, 1884 metri, mentre Morgex è indicata a 45 minuti. Una freccia in legno segnala PIANTA MONUMENTALE / ARBRE MONUMENTAL. Per giungere quassù ci ho impiegato due ore. Ma la fatica vera inizia adesso, si sale, si abbandona la strada ad una nuova freccia per la pianta monumentale indicata a 40 minuti. Una stradina sterrata penetra la selva delle alpi, un bosco misto di conifere. Pini silvestri secolari e dispettosi. Salendo mi troverò a terra, sdraiato, e più volte, conquistato dalla conformazione geologica e impassibile della montagna. Bella la natura, bella mi dico… il vento sfronda le foglie ingiallite di alcune betulle. Le creste delle montagne sono già imbiancate, in autunno. Nella mia testa bussa improvvisamente Barnabo, che mi sorride con un mestolo di legno nella mano destra. Riprendo l’ascesa. Grilli che cantano nell’erba secca, ingiallita. Un pino s’è schiantato a terra, sfaldato dall’interno, come esploso, una miriade di frammenti ricoprono un’aria di diversi metri quadri. Fa impressione. Sento la cima, anche se la cupola vegetale che mi ricopre non permette di avere una visione chiara del panorama. Mi ritrovo a transitare sotto la chioma piangente di un grande abete rosso, il più grande che mi sia capitato di avvicinare, per dimensione del tronco. Le pigne che raccolgo e che annuso a occhi chiusi sono lunghe fino a venti centimetri. Un lago di pini accumulati nel corso dei decenni circonda il punto di presa a terra del tronco, nuotando riesco ad avvicinarmi, lo abbraccio tre volte prima di riuscire a coprire la circonferenza della base. E’ cresciuto inclinato, mi pare sui venticinque metri di altezza ma da sotto è davvero complicato farsi una reale idea della misura. A occhi – ho dimenticato il solito centimetro da sarto che mi ostino ad usare durante le mie alberografie – direi che la circonferenza del tronco si aggira sui quattro metri e mezzo, forse cinque. Davvero un gigante della specie. Pochi passi avanti ed ecco spuntare il larice, la sua massa non abnorme ma decisamente maggiore rispetto agli altri alberi della cima, un fascio di raggi di sole piove dall’alto e ne illumina completamente la chioma ingiallita. Questa è la stagione dell’esibizionismo, per i larici. Non è spettacolare come i tre giganti della Val d’Ultimo in Trentino (2200 anni ciascuno), e nemmeno come il gigante buono di Pietraporzio, in Piemonte (“soltanto” 650 anni), ma è comunque un patriarca della terra che gli uomini hanno stimato in mille anni. Le misure ufficiali sono riportate nell’immancabile targhetta in ferro arancione che la Regione Valle d’Aosta ha posizionato ai piedi di tutti i monumentali, 505 cm la circonferenza del tronco (a petto d’uomo, ovvero a 130 cm da terra) e 30 metri di altezza. Come tutti i larici monumentali è cresciuto leggermente inclinato. A otto metri di altezza il tronco emette le prime branche laterali. Le ramificazioni più basse sono state spezzate. Lo avvicino, lo accarezzo, ne annuso la corteccia che sa di resina. La chioma è larga. Gli giro intorno. Lo fotografo un po’, non prima di aver chiesto il permesso. Quindi cedo, mi siedo sulle sue radici, e ascolto la natura che parla, parla, parla.

Tiziano Fratus
www.homoradix.com

7 pensieri riguardo “Homo Radix 2012

  1. È bello questo approssimarsi ad un albero come ad una persona cara. Ripensavo agli alberi paesologici incontrati di recente: la quercia di Aquilonia, il tiglio di Rocca e quello di piazza convento a Bisaccia, i pini di Montefredane…come un albero anche un paese ha le sue radici, si può trapiantare e come un albero non sempre sopravvive.

    1. La roverella di San Vito è spettacolare. Gli altri alberi non li conosco, purtroppo.
      Tutto muta, anche un albero se lo trapianti inizia ad acquisire elementi diversi da prima, la terra cambia, la composizione chimica cambia, e l’albero cresce in un modo nuovo, che impara lui stesso a coordinare. Il sole riscalda sezioni diverse del tronco e delle ramificazioni, il vento batte in altri punti…
      quante variabili

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