quest’anno le rose non smettono di sbocciare

Il dottore, la farmacia, la posta, il cimitero. Per gli anziani del paese questi sono i punti cardinali che ogni giorno segnano la rotta.

Come un albero anche un paese ha le sue radici e si può trapiantare, ma come un albero non è detto che sopravviva.

In città il freddo ha una trama macchinosa, qui sull’altura non c’è verso che lo trattenga.

Qui ci si arrende ogni giorno, è una resa eroica come quella di un seme che non rinuncia a mettere radici anche se un destino ventoso l’ha lasciato in alto, ai bordi di un cavalcavia.

Qui si può fare a meno di tante cose ma non dell’inverno. I paesi sono chiusi in una busta di plastica, e solo il freddo li può liberare. Quest’altura senza il suo inverno è un cane randagio senza pulci, solo apparentemente più sereno.

La città si è seduta e da tempo ha voltato le spalle all’altura, non gira più la testa perché teme per la sua cervicale.

Venite, c’è posto. L’appello al mattino lo fa il vento, poi avrete tutto il tempo per imparare a tenere in equilibrio il paese sul vostro corpo teso.

14 pensieri riguardo “quest’anno le rose non smettono di sbocciare

  1. Belle Fabio. ti accarezzano l’anima come le curve del formicoso.
    Forse bisogna lavorare per far trovare ai paesi un pò di orgoglio, un pò più di umanesimo. La città è attorcigliata in una spirale di bisogni inappagati e assolutamente superflui.Ma nel DNA di questa spirale sono nascosti aminoacidi di resistenza.Prima o poi saranno visibili.A presto.

  2. La scrittura di Fabio è così stimolante che ti attraversa fermentando. Come in un loop, l’essenza poetica torna indietro in altra forma; qui sotto le rendo un mio personalissimo omaggio :

    IN ALTURA

    Dottore farmacista posta cimitero
    Punti cardinali sulla rotta degli anziani

    Qui in altura il paese affonda radici
    Trapiantandole come alberi nel freddo
    Ma non sa se sopravvive senza trame
    macchinose

    In alto ai bordi d’un cavalcavia
    Arresi ogni giorno come radici
    Di semi a un destino di vento

    Questo noi siamo in altura

    Frigidi eroi in seno all’inverno
    Paesi prigionieri del proprio liberatore
    Chiusi in un pugno o in una busta
    di plastica

    Già cane randagio ormai senza pulci
    Rigida nella sua cervicale la città
    S’è seduta in fondo alle pianure
    Voltando le spalle a noi dell’altura

    Qui il vento fa l’appello al mattino

    Ma c’è tempo per tenere in equilibrio
    Il paese sul corpo teso di voi che l’amate…

    Venite non indugiate c’è posto in altura.

    S. D. A. , 25 . 1. 2012

  3. “Qui si può fare a meno di tante cose ma non dell’inverno. I paesi sono chiusi in una busta di plastica, e solo il freddo li può liberare”.
    Grazie per questa splendida immagine.

  4. “Venite, c’è posto. L’appello al mattino lo fa il vento, poi avrete tutto il tempo per imparare a tenere in equilibrio il paese sul vostro corpo teso”.
    …io questa frase la metterei come sottotitolo-invito “paesologico” al nostro Blog…… nella speranza che molti (ma buoni) risponderanno all’appello del vento per equilibrare il proprio corpo e…..l’animo…..

  5. “Qui ci si arrende ogni giorno, è una resa eroica come quella di un seme che non rinuncia a mettere radici anche se un destino ventoso l’ha lasciato in alto…” le parole di Fabio come una metafora della vita, che ci sprona con parole che vanno dritte al cuore, a non gettarsi via…….Grazie Fabio !

  6. che abbisso che c’è tra il nostro fabio e quel pover uomo del direttore del corriere del mezzogiorno, marco de marco, che l’altro ieri ironizzava sui nostalgici del sud e dei paesi abbandonati, alludendo a franco arminio. che banalità, che posizione supina ai benpensanti, quando dice che tutti in fondo aspirano a vivere nelle solite metropoli del nord del mondo…

  7. Vivo in una pseudo “città”, dormo in uno pseudo “paese”. Sicuramente in una conca la prima, nella pancia di un’altura il secondo. Non nella prima, ancora meno nel secondo ho mai vissuto una comunità. Mai della prima, soprattutto del secondo ho mai avuto nostalgia. In entrambi, il rimpianto non si sarebbe dedicato ai luoghi, ma alla pressione che la gente esercita sui propri orinatoi. E questa pressione non la sopporto più. Per spiegarne il perché dovrei dire di politica, di economia, di gestione degli interessi, ma ho imparato che sono argomenti che la gente gode nel relegare dove non servono. Se mi immergessi su questa strada, sarei capace nell’immediato di produrre differenze, purismi, ortodossie, speranze che sembrano attendere dietro un angolo progettato, la costruzione di muri inconsciamente sperati. Se avessi tempo e delusioni in meno non ne farei un problema, ma se la saggezza si misura in anni non voglio fare dubitare del perché. Spiego solo perché, per me, il vuoto che Fabio riesce a rendere poetico, non è un valore, ma il manifesto di una sconfitta. “In altura c’è posto”, ma non solo. Trovi tanti posti, con tanto posto, anche in pianura, in riva al mare, nel cuore di una periferia, quasi dovunque nel Sud. Sono troppi i posti liberi nel cuore di comunità sconfitte dal loro stesso silenzio, sono troppe le comunità che vincono la loro guerra contro se stesse. Ecco perché c’è sempre tanto posto. Il posto scarseggia solo in città. La città non può scoprirsi “seduta”, la città nasce come luogo privo di responsabilità attiva, la cittá nasce come luogo dei “seduti”. Come campo (quindi pianeggiante) di riunione di coloro che ambiscono vivere senza lo sforzo di sfidare l’appello del vento stando in piedi. Nei formidabili sommergibili atomici della Russia post-staliniana, una delle preoccupazioni maggiori era il controllo della capacitá dei marinai più deboli a continuare le interminabili missioni subacquee senza boicottarle. Senza che danneggiassero gli impianti della loro culla/prigione, costringendo alla emersione e quindi all’attracco. Come quei marinai, la gente delle alture, delle spiagge, delle campagne, delle botteghe, ha progressivamente boicottato i suoi territori, le proprie attivitá svuotandole di passione civile, inquinandoli di superfluo, allontanandoli dalle logiche di sostenibilità fino a rendere giustificabile l’emersione della voglia di scapparne. La città, così, è quel luogo affollato, riempito dai marinai delle piccole comunità, la cui mancanza di passione per una vita che non volevano ancora subire, li ha resi ammutinati. Ecco perché dubito sia da loro che possano rinnovarsi ipotesi di ri-vita per i luoghi in cui c’è tanto posto. “Più avanti c’è posto” è l’esortazione del bigliettaio, ma solo per coloro che sono saliti consapevoli di dover pagare un biglietto.

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