Testimonianze Provvisorie

“Il mio viaggiare prevede un continuo ritorno a casa, come se il vedere avesse bisogno di essere continuamente messo a punto dalla scrittura”
Franco Arminio

Sono appena tornato a casa dall’incontro di Firenze, alla Facoltà di Architettura, con Franco Arminio. Oggi, ho conosciuto Franco, ci siamo stretti la mano dopo altre strette, meglio chiamarle vertigini, umorali, che ho imparato a conoscere qui e che sento di avere in comune con lui e con voi.
Arrivato in ritardo per una colpevole consuetudine personale, pensavo di trovare davanti a me una presentazione di Terracarne che volgeva già al termine. La scena che mi si presenta è infatti la seguente: in una stanza nè grande nè piccola con libri ai lati, chiusi dentro vetrine polverose, si erano radunati studenti, dottorandi, professori universitari di Architettura e curiosi. Io, come dicevo, in ritardo. Franco conversava serenamente con i partecipanti, in un clima tutt’altro che serioso o peggio, accademico. Vengo subito incuriosito dall’atmosfera, per via che essa testimoniava l’incontro di due saperi, quello accademico d’un sapere spesso distante anni luce dalla realtà e quello “carnale” dell’esperienza quotidiana della paesologia per come la intende e la incarna, appunto, Franco. Dopo pochi minuti mi si chiarifica l’asincronia tra me e il resto della sala: l’incontro “ufficiale” non era ancora iniziato.
Dunque, poi l’incontro inizia. Per una abitudine appresa da bambino-spettatore alle partite di basket al palazzetto dello sport di Montecatini Terme, la mia attenzione continua a concentrarsi più sugli spettatori dell’evento che sull’attore o gli attori, e mi sembra di percepire la sincera curiosità nell’accogliere un estraneo del sapere scientifico come un poeta, scrittore, o “umanista delle montagne” quale è Franco, che emergerà poi in domande appassionate a lui rivolte, insieme ad altre che erano maggiormente caratterizzate dall’impulso a testimoniare se stessi che la testimonianza stessa di Franco ispira.
Vengono proiettati due video, un cortometraggio e Terramossa, guida sentimentale all’Irpinia, che mi colpisce per la volontà di dichiarare la bellezza ferita del disegno intatto d’una Irpinia sfuggita alla modernità: chi ha inseguito il mito del progresso è andato altrove, lasciando dietro a sè case vuote, un letto disfatto e un mazzo di foto di fotografie sbiadite. Il silenzio prolungato dalle musiche fiocamente albeggianti ha una sua fierezza, una fierezza capace di domarsi, aspettarsi, riconoscersi, raccontando il paesaggio, o il sentimento del paesologo nei luoghi della sua geografia umorale. E percepisco subito cosa rende la paesologia qualcosa di più prossima alla poesia che all’etnologia: la capacità di abitare la domanda, risiedere nel vortice emotivo della propria testimonianza, più che indagarla. Scorrono le immagini, docili al ritmo lento di quei luoghi, rifiutando di approssimarsi al breve incedere di tanti presunti palazzi della scienza che tanto teorizza ma poco tocca: un sapere spesso senza fibre rosse, ossia a contrazione lenta. Paesologia è come sboninarsi il cuore col vento delle cose, invece che cercare la verità nelle cose. È abitare la ferita, una cronaca incendiaria che non si cura della ricostruzione, ma della cenere viva. O questo è quello che la paesologia che è in ogni stato in luogo mi ha chiesto oggi di comprendere, per la mia, di cenere viva.
Di oggi resta una testimonianza, in un debole inizio di primavera, una sentinella di bellezza residua. Oggi in sala abbiamo tutti parlato e poi scherzato, per oltre due ore. Immagino che altrove non sempre sarà così e i silenziosi spettatori andranno per la maggiore, chissà con quale peso di domande, o con quale volontà di testimonianza, o sospinti senza traccia verso una giornata qualsiasi, impermeabili alla paesologia.
Franco ha scritto che “non si loderà mai abbastanza chi fiuta il calore residuo delle esistenze e delle cose che furono”, ma oggi un minuscolo granello di calore è stato portato al gigantesco altare della Comunità Provvisoria per eccellenza, quella terrestre.
Salutando all’uscita chi dalla portineria mi aveva indicato con gentilezza la stanza dell’incontro, ho notato in essi lo stesso sguardo, ed anche Firenze poi, nella strada verso casa, è indifferente a questo focolare di parole mattutino, eppure mi dico che “forse è il tempo di capire che ognuno di noi è l’unica cosa che non c’è in questo mondo gremito di tutto, la cosa che a nessuno manca” ed allora stamani non sarà stato niente, ma mi dico ancora e con più forza e follia: “E avanti allora, avanti ancora nella gentilezza dell’aria e del niente”, e se la paesologia è “un modo di stare al mondo facendosi tentare continuamente dall’impensato, un modo di stare qui connettendosi ad altre strampalate lietezze che ancora vagano per il mondo”, queste sono quelle che stamani vagavano per Firenze, dalle parti di Piazza della Santissima Annunziata: un attimo di bene, di terra, di carne e di niente.

Foto di Gabriele Basilico
Foto di Gabriele Basilico

14 pensieri riguardo “Testimonianze Provvisorie

  1. “la capacità di abitare la domanda, risiedere nel vortice emotivo della propria testimonianza, più che indagarla.”
    senza lasciare il solco dei sacramenti, si può essere solo in comunione con questa frase

  2. caro
    avevo letto in treno la tua testimonianza, ora l’ho riletta qui a casa del “comunitario” donato salzarulo (domani presento terracarne a cologno).
    è bello quello che hai scritto. mi fa sperare che in fondo anche l’autismo corale è solo apparenza…..le comunità provvisorie hanno senso, o almeno ha senso continuare a cercarle.
    un abbraccio anche agli amici che hanno commentato questo testo

    p.s.
    stasera a milano c’era mauro orlando. ero contento di senterlo fiero di me…..

  3. forse non è comunque apparenza, ma si può scalfire, insieme. in questo non posso permettermi di non credere, anch’io ho bisogno della mia religione umanistica. grazie a te e Fabio delle comunioni condivise, io cerco di entrare con piedi leggeri in stanze d’altri, per imparare, e non lo dico per retorica, ma perchè ci credo davvero in questo sguardo diverso al mondo. spero di vedervi tutti presto, io intanto imparerò a conoscervi, andrò in cerca della mia paesologia. e buon viaggio, Franco.

  4. tutto molto bello, caro Luca. ti ho immaginato mentre leggevo…. sono orgoglioso di averti avvicinato a questa esperienza, che come in tutte le cose oneste è fiera di contraddizioni. un abbraccio

  5. Franco ,mi aveva incuriosito favorelmente di questo scritto,sono tornato a casa con la voglia di leggerlo.L’attesa curiosa non è stata disillusa.Ti avevo apprezzato già in altre circostanze …..ora sono felice per la nostra piccola comunità paesologica sparsa per l’italia.Milano e la libreria Utopia è stato un altro bel momento di emozioni e idee.Milano è una città pretenziosa ma curiosa culturalmente.La serata nella sua leggerezza e profondità ha rappresentato il senso più vero e vivo di quello che intimamente e esitenzialemente alcuni di noi pensano di franco e della “paesologia”……La comunità provvisoria irpina c’è . è viva e ….lotta per noi
    Sabato uuna conferma e nuovi e vecchi amici ancora a Milano! Ho rivisto con piacevole amicizia Donato…..discreto e profondo comunitario in Lombardia….

  6. sfoglio la posta e trovo questo scritto. Non so chi sia carusopascoski e questo è un bene. Non posso essere influenzato in alcun modo, se non dalle parole …

    è un incedere lento, delicato …

    sembra una lettera scritta a penna, come quelle di una volta …

    quelle che, più di skype, avevano la capacità di trasudare emozioni e di stabilire una calda vicinanza …

    da poco tempo abito questa comunità.

    giravo intorno ai post di Franco Arminio, senza farmi completamente catturare …
    da oggi, mi sento immerso …

    paolo costanzo
    Latina

  7. Antonio, non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi portato da queste parti.
    E grazie per le belle parole di tutti. Sto cercando di trovare una mia dimensione qua dentro, ma questo lavoro di ricamo fine e attento mi diverte perchè sono sempre in cerca di un modo diverso di vivere e guardare le cose e qui l’ho trovato davvero e mica per ridere.
    Sarebbe tutto più facile se fossimo più vicini, ho avuto la prova provata di questa sensazione ieri, ascoltando per due ore, e non leggendo, Franco. So che sarebbe così per ognuno di voi.
    Mentre che sia un luogo difficile perchè onesto e vivo, contraddittorio, è un piacevole obbligo morale. Le strade note sono già state battute, a noi restano i sentieri di senso.

  8. ” Le strade note sono già state battute, a noi restano i sentieri di senso.”

    Le strade note son già state battute
    non restan a noi che i sentieri di senso…

    Un bel distico alessandrino per aprire o chiudere un componimento in versi…. Me lo annoto.

  9. Le strade note son già state battute
    non restan a noi che sentieri di senso.

    No, questo distico è già di per sé un componimento conchiuso, perfetto nella sua sintesi. Un ottimo viatico per chi vuole percorrerli quei sentieri, con l’interezza del sé.

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