Perché l’Unione Europea apra una stagione di sviluppo e di libertà sostanziali

UNIVERSITÀ DELLA VALLE D’AOSTA
INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO 2011-2012
Aosta, 27 febbraio 2012
Prof. Fabrizio Barca – Ministro della Coesione Territoriale

PERCHÉ L’UNIONE EUROPEA APRA UNA STAGIONE
DI SVILUPPO E DI LIBERTÀ SOSTANZIALI – Sintesi

Premessa
L’Unione Europea sta tornando a parlare di sviluppo. Anche grazie alla svolta compiuta dall’Italia.
L’occasione per dare corpo alla nuova fase esiste: la predisposizione dei Programmi Nazionali di Riforma; la programmazione del bilancio europeo oggi e per il settennio 2014-2020. Ma il rischio che l’approccio sia burocratico o tecnocratico è elevato: per l’impianto di Europa 2020 e la sovrapposizione dei processi di coordinamento aperto nell’Unione; per le confusioni sul concetto di sviluppo; per la mancanza di chiarezza sulla strategia di sviluppo.
Proverò a immaginare come evitare questi pericoli. Lo farò affrontando quattro quesiti.

 Politica: perché l’Unione Europea ha bisogno di una politica di sviluppo?
 Concetti: cosa sono sviluppo, sottosviluppo e trappola del sottosviluppo?
 Approcci: con quale approccio affrontare le trappole del sottosviluppo?
 Che fare: quali riflessi sull’azione dell’Unione?


Politica
L’unificazione dei mercati del lavoro del capitale e delle merci, la moneta unica, la rinuncia a strumenti nazionali per la promozione della competitività costringono l’Unione Europea a realizzare una politica di sviluppo in grado di offrire a tutti i propri cittadini l’opportunità di cogliere i vantaggi e di difendersi dalle minacce di questi cambiamenti, indipendentemente dal luogo in cui si vive.
E’ sulla progressiva identificazione dei cittadini di tutta l’Europa gli uni con gli altri, nel
presupposto che l’Unione si occupi ugualmente di tutti, che i padri fondatori dell’Europa hanno fondato il processo di unificazione. E’ ciò che Freud scriveva ad Einstein nel 1932 (se si fosse voluta evitare la catastrofe, anziché ricorrere dell’idealismo della Società delle Nazioni).
La crisi attuale mette a dura prova questa identificazione. Solo elevando progressivamente a livello europeo la responsabilità di promuovere uguali opportunità tra tedeschi e greci, tra ungheresi e inglesi, tra italiani e olandesi, la convivenza pacifica, giusta e prospera nell’Europa può essere mantenuta e sviluppata.
Concetti
Per compiere un passo in avanti occorrono prima di tutto concetti chiari:
 Sviluppo è assieme crescita e inclusione sociale, laddove per crescita si intende la piena e
sostenibile realizzazione delle potenzialità di reddito medio di un territorio, mentre per
inclusione sociale si intende la quota dei cittadini di un territorio che, nei molteplici aspetti
della propria vita (oltre e prima del reddito, la salute, il senso di sicurezza, l’istruzione, la
qualità delle relazione con gli altri, la qualità dell’aria, ecc.), sia al di sopra di livelli
socialmente accettabili (e quindi continuamente ridefiniti) per tali aspetti. 2
 Per sottosviluppo si intende essere al di sotto del proprio potenziale di crescita ovvero che la
quota di popolazione socialmente esclusa sia “eccessiva”.
 Per trappola del sottosviluppo si intende che il sottosviluppo è persistente e stabile, ossia
che nella società non vi sono forze endogene adeguate che tendono a superare questo stato;
può avvenire per tre ragioni: perché le classi dirigenti sono incapaci, sono contrarie o non
sono sufficienti a realizzare l’uscita dalla trappola.
Approcci
Si sono sedimentati nell’esperienza internazionale, europea e del nostro paese cinque distinti approcci per promuovere lo sviluppo e per uscire dalle trappole del sottosviluppo. Ognuno di essi introduce una dimensione rilevante, ma solo l’ultimo appare adatto ad affrontare in modo moderno la crisi in atto.
L’approccio delle istituzioni perfette utilmente sottolinea il ruolo delle regole e delle istituzioni (dei mercati prima di tutto), ma muove dall’assunto che esistano “istituzioni ottime”, indipendenti dai contesti e riduce la politica per lo sviluppo al trapianto sistematico di quelle regole. L’errore di questo approccio è duplice e sta nel fatto che l’efficacia di regole e istituzioni dipende dai contesti e soprattutto che nessuna burocrazia o tecnocrazia, privata e pubblica, possiede le conoscenze sufficienti per disegnare queste istituzioni.
L’approccio delle agglomerazioni perfette utilmente sottolinea, valorizzando l’antica intuizione di Alfred Marshall, che le agglomerazioni di persone e di imprese producono, specie nel capitalismo, esternalità positive e rappresentano un fattore fondamentale di sviluppo, ma argomenta che tali agglomerazioni devono essere guidate da grandi conglomerati privati di interessi, stante la limitata conoscenza delle organizzazioni statuali. Anche qui l’errore è duplice: si ragiona come se le agglomerazioni possibili siano prodotte da processi naturali e siano uniche e non siano invece fortemente influenzate da fenomeni accidentali e da determinante azione statuale; le decisioni dei grandi conglomerati privati di interessi non costituiscono una “sintesi equilibrata della complessità”,
frutto di un aperto confronto di una moltitudine stakeholders, ma riflettono piuttosto limitati e particolari interessi.
L’approccio redistributivo utilmente sottolinea i possibili effetti negativi delle agglomerazioni sullo sviluppo, ma offre come rimedio il mero trasferimento di risorse finanziarie dalle aree ricche alle aree povere. E’ una strada che non può portare al superamento delle trappole, o a promuovere
sviluppo, per due ragioni: perché rimuove completamente il tema della “conoscenza”, cioè di chi sappia cosa fare per promuovere lo sviluppo; perché il mero trasferimento di risorse finanziarie crea incentivi perversi nelle aree destinatarie fino ad aggravare il sottosviluppo.
L’approccio comunitario pone finalmente l’accento sul ruolo delle conoscenze e sul fatto che la consapevolezza di queste conoscenze e le preferenze locali rappresentano un fattore primario di sviluppo, ma conclude che l’uscita dalle trappole del sottosviluppo può derivare da processi deliberativi locali, con un ruolo minimo dei soggetti esterni. Pure avendo innovato rispetto agli approcci precedenti e avendo prodotto in particolari contesti risultati di rilievo, questo approccio è destinato a effetti limitati o addirittura perversi per due ragioni: perché assai di rado i soggetti locali hanno da soli in mano le “chiavi del proprio futuro”, essendo invece necessario che le loro conoscenze si integrino con conoscenze esterne, di natura generale; perché alto è il rischio di quella deriva auto-segregazionista che Amartya Sen vede nell’esclusivo affidamento sui valori locali, che è invece bene siano rimessi sempre in discussione da valori esterni. 3
E siamo così all’approccio rivolto ai luoghi, che raccoglie le lezioni apprese attraverso le altre strade. Questo approccio ritiene che:
 Le istituzioni sono tutt’altro che uniche e i contesti ne influenzano l’efficacia.
 Gran parte della conoscenza necessaria per lo sviluppo deve essere prodotta attraverso un processo deliberativo conflittuale che coinvolga gli attori locali e gli attori esterni, pubblici e privati.
 I valori locali sono importanti ma lo sviluppo richiede aperture a quella view from nowhere che risale ad Adam Smith.
Su queste basi l’approccio rivolto a luoghi suggerisce, non solo di tenere conto dei contesti, non solo di disegnare interventi integrati e non mono-settoriali, ma di fare ciò attraverso una combinazione di forze endogene e esogene. Le forze esogene sono necessarie per portare all’attenzione di un territorio conoscenze e valori esterni e per destabilizzare gli equilibri del territorio che bloccano lo sviluppo. Nascerà, inevitabilmente fra forze endogene e esogene un “conflitto”, ma se governato appropriatamente esso potrà essere costruttivo e innovativo.
Che effetti ha sulle persone una simile politica rivolta ai luoghi? E’ bene chiarirlo per evitare equivoci.
Esistono due errori che le politiche per lo sviluppo possono compiere. Il primo è quello di tentare di trattenere le persone nei luoghi compensando monetariamente il loro malessere; una strada sbagliata che fiacca le persone e la loro libertà e le spinge a privarsi delle opportunità che migrare offre. Il secondo errore, ancora più odioso, è quello di spingere le persone a migrare attraverso politiche che cinicamente si definiscono “guidate dal mercato” e che inducono la crescita di megalopoli senza affrontare il tema dell’inclusione sociale. Entrambi gli errori sono evitati dall’approccio rivolto ai luoghi che, mirando ad accrescere l’istruzione, la partecipazione democratica nelle decisioni, la decenza abitativa, la cura dell’infanzia e degli anziani, i servizi collettivi delle imprese, mira ad accrescere la libertà sostanziale di ognuno di decidere se restare o partire.
Che fare Nel tornare a porsi la questione dello sviluppo, l’Unione europea rischia di cadere in almeno due degli approcci sbagliati prima richiamati. Quello delle istituzioni perfette, applicando con venti anni di ritardo sull’ormai superato Washington consensus la logica delle regole perfette, uguali per tutti, delle raccomandazioni scritte da tecnocrati per tecnocrati. E l’approccio opposto, quello che affronta i problemi redistribuendo fondi alle stesse classi dirigenti che sono la causa del sottosviluppo. Esiste invece per l’Unione europea l’alternativa di ricorrere all’approccio rivolto ai luoghi sia nei processi di coordinamento aperto, sia nell’utilizzo del proprio bilancio.
Per quanto riguarda i processi di coordinamento aperto, imperniati oggi nei Programmi Nazionali di Riforma e nel semestre europeo di bilancio, si tratta di evitare un’impostazione vecchia meramente settoriale – la ricerca, la mobilità, l’occupazione – e disegnare invece per ogni area dell’Unione un Progetto che, individuate le opportunità esistenti, costruisca itinerari di sviluppo la cui attuazione sia affidata ai singoli territori, ma secondo standard nazionali ed europei. E si tratta di tramutare la predisposizione di quei Programmi Nazionali di Riforma in un confronto vivace che mescoli e raffronti conoscenze e preferenze.
Per quanto riguarda il bilancio europeo per il settennio 2014-2020, si tratta di rafforzare i grandi programmi europei per la ricerca e l’innovazione e si tratta di riformare la politica di coesione (oltre 4 il 40% del bilancio) lungo le linee che abbiamo indicato e che la Commissione europea sta progressivamente adottando:
 Semplificazione dei programmi operativi da incentrare su risultati attesi quantificabili e  azioni ben descritte.
 Misurazione e comunicazione dei risultati attesi e di quelli via, via ottenuti e costruzione di uno spazio moderno di pubblico dibattito che utilizzi le nuove tecnologie.
 Previsione nei programmi e nei progetti di condizionalità e meccanismi incentivanti
appropriati.
 Previsione di occasioni alte di confronto politico in sede europea sui risultati effettivamente conseguiti.
 Rafforzamento delle risorse umane impegnate, a cominciare da quelle della Commissione europea. Sono questi i principi che Governo ha scelto di iniziare ad anticipare nel Piano di Azione Coesione con cui ha inteso riscattare il Paese dall’attuale posizione di fanalino di coda nell’uso dei Fondi europei. Sono i principi che l’Italia sta promuovendo attraverso alleanze con i paesi più interessati al rinnovamento del bilancio europeo, a cominciare da Gran Bretagna e Polonia. Sono i principi la cui attuazione potrebbe pragmaticamente imprimere una svolta nell’efficacia e al tempo stesso nella visibilità del bilancio europeo.

23 pensieri riguardo “Perché l’Unione Europea apra una stagione di sviluppo e di libertà sostanziali

  1. la pubblicazione di questo post mi fa sperare che la fase adolescenziale del blog volga al termine e che la “lunghezza” delle idee sia confortata da una metrica piuttosto che dalla spensieratezza delle autodefinizioni.

  2. la pubblicazione di questo post mi fa sperare che la fase adolescenziale del blog volga al termine e che la “lunghezza” delle idee sia confortata da una metrica piuttosto che dalla spensieratezza delle autodefinizioni.

  3. Il silenzio su questo documento mi peoccupa non poco.Eppure ci riguarda ma molto da vicino comunque.Specialmente nella parte che si interessa dei “valori locali”, dei “contesti culturali dei territori”, “l’approccio rivolto ai luoghi”, “la combinazione di forze endogene ed esogene” , “la questione dello sviluppo” e quant’altro……nella programmazione economica e politica nazionale ed europea.C’è sicuramente un cambio di metodo, di stile e di analisi ma ci riguarda al di là delle differenze (non ideologiche) culturali che si confrontano nell pensare efare politca?La paesologia ( di cui l’unico titolare è Franco) per noi è una estetica, un’etica o una politica? Io mi sono esposto già molto per evitare di considerarla una filosofia per non cadere per “debolezza” nella ideologia.Certo dobbiamo chiarire una buona volta il possibile e corretto rapporto con la politica politcata e le politiche istituzionali per non cadere in un collateralismo acritico o una sottomissione e omologazione psicologica.Ma un documento del genere va considerato degno di discussione su questo Blog con argomentazioni non aforistiche ma analitiche e articolate. “Hic Rhodus hic salta!” avrebbero detto i nostri pratici antenati (o colonizzatori!?) latini.
    mauro orlando

  4. la paesologia è l’occhio contemporaneo sulle cose, sulla vita e sul nostro ambiente di vita e sviluppo. Un occhio che non si accontenta di guardare ma vede ed analizza il profondo del nostro presente.
    mario perrotta

  5. la paesologia è l’occhio contemporaneo sulle cose, sulla vita e sul nostro ambiente di vita e sviluppo. Un occhio che non si accontenta di guardare ma vede ed analizza il profondo del nostro presente.
    mario perrotta

  6. Mario, penso che anche breivik attribuisce queste qualità al proprio occhio. non funziona.
    Ma la colpa è di quel diavolo di mauro e con la sua perenne domanda sulla paesologia. Ingiungo al titolare del brevetto di dare una risposta DEFINITIVA.

  7. Mario, penso che anche breivik attribuisce queste qualità al proprio occhio. non funziona.
    Ma la colpa è di quel diavolo di mauro e con la sua perenne domanda sulla paesologia. Ingiungo al titolare del brevetto di dare una risposta DEFINITIVA.

  8. quando ti chiedi cosa è la Paesologia, sei gia’ lontano dal significato e dalla possibilità di poterla, un giorno, comprendere. Mi convinco che, come diceva Ungaretti della Poesia, appartiene alla categoria del mistero.

  9. quando ti chiedi cosa è la Paesologia, sei gia’ lontano dal significato e dalla possibilità di poterla, un giorno, comprendere. Mi convinco che, come diceva Ungaretti della Poesia, appartiene alla categoria del mistero.

  10. La definizione di sviluppo lascia ancora campo ad ambiguità di fondo. La piena e sostenibile realizzazione del reddito medio della popolazione di un territorio deve chiarire che il fuoco centrale delle attività deve puntare su strategie ed azioni schiettamente vincolate a politiche ambientali. per esempio non basta dire che dalle pale eoliche devono guadagnarci anche i comuni, ma bisogna prima di tutto definire quante ne possono essere installate. Non basta dire che i trafori sotto le Alpi non vanno fatti, ma bisogna prima di tutto adeguare i progetti e le scelte tecniche alle natura profonda dei contesi ed alle conoscenze reali di chi i territori li vive.Non basta dire che bisogna puntare sulle rinnovabili mettendo pannelli fotovoltaici dappertutto, ma bisogna avviare impellenti obblighi legislativi che mettano al centro l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio, Non basta dire “Stop al consumo di suolo”, ma è necessario comprendere che alcuni territori vanno svuotati e che è opportuno capire di altri territori qual’è la loro capacità do carico., e potrei continuare.

  11. La definizione di sviluppo lascia ancora campo ad ambiguità di fondo. La piena e sostenibile realizzazione del reddito medio della popolazione di un territorio deve chiarire che il fuoco centrale delle attività deve puntare su strategie ed azioni schiettamente vincolate a politiche ambientali. per esempio non basta dire che dalle pale eoliche devono guadagnarci anche i comuni, ma bisogna prima di tutto definire quante ne possono essere installate. Non basta dire che i trafori sotto le Alpi non vanno fatti, ma bisogna prima di tutto adeguare i progetti e le scelte tecniche alle natura profonda dei contesi ed alle conoscenze reali di chi i territori li vive.Non basta dire che bisogna puntare sulle rinnovabili mettendo pannelli fotovoltaici dappertutto, ma bisogna avviare impellenti obblighi legislativi che mettano al centro l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio, Non basta dire “Stop al consumo di suolo”, ma è necessario comprendere che alcuni territori vanno svuotati e che è opportuno capire di altri territori qual’è la loro capacità do carico., e potrei continuare.

  12. luca, concordo pienamente con te: “non basta dire che”. Le politiche valide per tutti i luoghi non funzionano e mi lasciano freddo le parole d’ordine che pretendono di descriverle (decrescita è una di queste).

    Ciò detto, c’è un altro punto, altrettanto dirimente, dove tu dici che bisogna “adeguare i progetti e le scelte tecniche alle natura profonda dei contesti ed alle conoscenze reali di chi i territori li vive”.

    Questo è un approccio che – per quanto molto di moda e per quanto largamente adombrato da quello che franco definisce il ‘primato dei luoghi’ – espone al rischio del localismo, cioè al rischio di definire e elaborare politiche di corto respiro, poco utilmente ‘delimitate’ da un piccolo territorio, e male informate alla logica delle interconnessioni e delle reti.

    Prendo dal post perché non saprei dire meglio “Su queste basi l’approccio rivolto a luoghi suggerisce, non solo di tenere conto dei contesti, non solo di disegnare interventi integrati e non mono-settoriali, ma di fare ciò attraverso una combinazione di forze endogene e esogene. Le forze esogene sono necessarie per portare all’attenzione di un territorio conoscenze e valori esterni e per destabilizzare gli equilibri del territorio che bloccano lo sviluppo. Nascerà, inevitabilmente fra forze endogene e esogene un “conflitto”, ma se governato appropriatamente esso potrà essere costruttivo e innovativo”.

    Questo approccio – a ben pensarci – non segna un limite per i luoghi e le loro comunità quanto invece l’opportunità di definirsi mutuamente come forze esogene per altri contesti.
    Che è come chiedere alla paesologia di giocare non solo in casa ma anche in qualche ‘stimolante’ trasferta.

    1. sono in sintonia. non penso ami che le soluzioni devono essere di corto respiro, anzi è l’esatto contrario, Io credo che sia utile studiare esempi paradigmatici realizzati in regioni e stati virtuosi dell’Europa. Questo è anche un modo per rilanciare e finalmente definire l’idea politica e confederata di Europa.

  13. luca, concordo pienamente con te: “non basta dire che”. Le politiche valide per tutti i luoghi non funzionano e mi lasciano freddo le parole d’ordine che pretendono di descriverle (decrescita è una di queste).

    Ciò detto, c’è un altro punto, altrettanto dirimente, dove tu dici che bisogna “adeguare i progetti e le scelte tecniche alle natura profonda dei contesti ed alle conoscenze reali di chi i territori li vive”.

    Questo è un approccio che – per quanto molto di moda e per quanto largamente adombrato da quello che franco definisce il ‘primato dei luoghi’ – espone al rischio del localismo, cioè al rischio di definire e elaborare politiche di corto respiro, poco utilmente ‘delimitate’ da un piccolo territorio, e male informate alla logica delle interconnessioni e delle reti.

    Prendo dal post perché non saprei dire meglio “Su queste basi l’approccio rivolto a luoghi suggerisce, non solo di tenere conto dei contesti, non solo di disegnare interventi integrati e non mono-settoriali, ma di fare ciò attraverso una combinazione di forze endogene e esogene. Le forze esogene sono necessarie per portare all’attenzione di un territorio conoscenze e valori esterni e per destabilizzare gli equilibri del territorio che bloccano lo sviluppo. Nascerà, inevitabilmente fra forze endogene e esogene un “conflitto”, ma se governato appropriatamente esso potrà essere costruttivo e innovativo”.

    Questo approccio – a ben pensarci – non segna un limite per i luoghi e le loro comunità quanto invece l’opportunità di definirsi mutuamente come forze esogene per altri contesti.
    Che è come chiedere alla paesologia di giocare non solo in casa ma anche in qualche ‘stimolante’ trasferta.

    1. sono in sintonia. non penso ami che le soluzioni devono essere di corto respiro, anzi è l’esatto contrario, Io credo che sia utile studiare esempi paradigmatici realizzati in regioni e stati virtuosi dell’Europa. Questo è anche un modo per rilanciare e finalmente definire l’idea politica e confederata di Europa.

  14. @ paolo e luca:
    Nella visione profonda sulle cose, non si fa riferimento ai localismi. Sarebbe sufficiente “ri-ascoltare” i reali bisogni di una comunità evitando di seguire le mode del momento.

  15. @ paolo e luca:
    Nella visione profonda sulle cose, non si fa riferimento ai localismi. Sarebbe sufficiente “ri-ascoltare” i reali bisogni di una comunità evitando di seguire le mode del momento.

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