viaggio nelle marche

dal manifesto del 1-6-2012

franco arminio per gli amici paesologi di tutta italia….

L’ultima volta che avevo viaggiato sull’autostrada adriatica avevo visto con dolore tutte le colline invase dalle case. Adesso che è maggio il verde pare aggiustare le cose. Il paesaggio non mi esalta ma neppure mi irrita. E un po’ anche questo è il clima che sento nella mia testa.
La prima cosa che vedo all’arrivo a Urbino è una piazza piena di giovani con una bottiglia in mano. Bottiglie grandi, di vino o di birra. Salvatore Ritrovato, il professore che mi accompagna, dice che il giovedì sera gli studenti hanno questa abitudine di dedicarsi all’alcool. A me adesso la visione pare ancora più strana e questi ragazzi più che studenti mi sembrano ultras del Liverpool (in ogni caso sono un centinaio, su una popolazione studentesca ben più vasta, in ogni caso meglio bere in piazza che tappati in casa o nei locali). Forse è una considerazione da vecchio, ma sono decisamente colpito dalla visione. E poi c’è la storia del giovedì. Siamo abituati a legare il bere al fine settimana. Al mio paese i barbieri si ubriacavano la domenica, perché il lunedì erano in ferie.
Andiamo a cena. Il professore mi racconta dell’impoverimento dell’università. Lo ascolto con attenzione, ci scambiamo gli affanni, alla fine sento la sua solitudine e la mia. È la solitudine che non sarà mai lenita dalla giostra degli incontri. È il sentimento di essere staccati dai luoghi in cui si vive e i luoghi stessi ormai sembrano appoggiati al mondo come carta da parati. Pare che sia venuto meno un ancoraggio profondo che forse una volta era assicurato dal sacro. Parliamo tanto di economia, ma forse il problema di quest’epoca è teologico. Abbiamo un chiesa di mestieranti, ben lontani dal poter raccogliere lo smarrimento di un’umanità troppo affollata e troppo zavorrata di merci. Avremmo bisogno di una politica che abbia allo stesso tempo una dimensione mondiale e una dimensione locale, una capacità di vedere nello stesso tempo le questioni di una vallata e quelle di un continente. Siamo entrati nell’epoca dei luoghi e in ogni luogo dobbiamo essere fermi e fluidi, umili e ambiziosi, dobbiamo pensare come può pensare dio e come può pensare un mosca.
Visita mattutina al museo dentro il palazzo ducale. Se ogni mattina si potesse cominciare la giornata vedendo tanta bellezza sarebbe un gran fortuna. Scrivo questa frase perché non me ne viene una migliore.
Il mio incontro con gli studenti all’università fila liscio in una bella atmosfera: parlo a persone che già conoscono il mio lavoro. Parlo senza il cuore in gola, senza tremore alle gambe. Spero di non diventare un mestierante.
Il professore decide che il pomeriggio mi vuole portare a vedere un luogo paesologico. Viene con noi anche Franca Mancinelli, una brava poetessa marchigiana. Arriviamo a Saludecio e andiamo a vedere un museo dedicato a Garibaldi. Dopo la visita facciamo un breve giro nel paese che ha pochi abitanti ed è pieno di murales dedicati alle invenzioni del novecento.
Comunico al professore che questo paese non è per niente paesologico. È compatto, senza fessure. La sua desolazione non mi offre squarci. Possiamo tornare tranquillamente a Urbino. In fondo Saludecio ha solo riacceso la mia allergia primaverile.
La serata a Urbino prevede un altro incontro. Ci sono molte persone, tutti studenti. Urbino non è una città, è un campus universitario: nel centro storico ci sono solo novecento residenti.
La serata finisce al bar, dove viene fuori l’idea di creare un consolato di paesologia. Lo guiderà Federica Cavalli, una ragazza che ha fatto una tesi sul mio lavoro.
Mi sveglio presto per avviarmi verso Macerata. La sera devo presentare il mio ultimo libro di prosa a un festival che si chiama “Macerata racconta”. A pranzo incontro tra gli altri Ginevra Bompiani. Parliamo di libri. Mi dice che il calo delle vendite non è attestato al venti per cento, come si pensava, ma al trenta.
Dopo pranzo giro in città. C’è l’animazione del sabato pomeriggio, ma in questa città l’animazione non è mai clamorosa. Macerata mi dà l’idea di un luogo che procede a velocità di crociera, un luogo che preferisce il freno all’acceleratore. Ho l’impressione che le Marche accentuano il mio straniamento. L’apparente tranquillità del paesaggio e delle persone forse nascondono una lenta e definitiva e mai curata malattia. Una discesa inavvertita dai più verso una lenta morte. A Napoli o a Palermo la morte è ancora cruenta e visibile, a Urbino è strisciante. L’occidente marchigiano, con la sua quiete assurta a stile di vita, lascia filtrare da sotto una mai sopita cultura papalina che porta a una vita protesa a proteggersi da ogni eccesso. Se la Calabria è un reparto di terapia d’urgenza, le Marche sono una corsia di lungo degenza. La modernità ha avuto sviluppi diversi in ogni luogo e ora finisce diversamente in ogni luogo. Qui è una fine ovattata, lenita dalla dolcezza delle colline e da una dignitosa distribuzione di beni e servizi. Una mia frase a cui sono sempre stato affezionato è questa: la vita se non è terribile ti sfugge. Adesso me ne viene un’altra simile: il cuore batte perché è infilzato da un pugnale invisibile. Non ci sarebbe la vita se ci fosse la pace.
L’incontro serale è molto affollato. Pare che i festival funzionino più delle presentazioni singole. L’unico problema è che gli eventi si susseguono e mi fanno cenno che dobbiamo terminare l’incontro quando mi ero appena riscaldato. Sembra che sia il mio destino di questi giorni: questa terra mi affievolisce i crateri, butta sabbia sulle faglie, smussa le montagne che mi porto dentro, mette silicone sui crepacci, mi allontana dall’orlo in cui sono abituato a muovere le mie giornate: il mondo non si sente col palmo della mano, ma con la punta delle dita.
Il giorno dopo mi avvio verso sud. La prossima tappa è Grottammare. Qui devo parlare col filosofo Roberto Mancini. L’incontro è organizzato da un’associazione che si chiama Luoghi comuni ed è animato da due donne molto impegnate, Mary Pazzi e Olimpia Gobbi.
Mi è venuto a trovare da Fermo un altro mio amico, il poeta Adelelmo Ruggieri. Parliamo passeggiando vicino al mare. Mi racconta la sua sfiducia nella scrittura, come se fosse sfebbrato da un’infatuazione. Mi parla del suo rapporto lacerante col tempo che passa. Forse si sente come mi sentirò io fra dieci anni.
A Grottammare l’incontro si svolge in una sala molto ampia che si riempie per oltre la metà. È una bella platea, ci sono tante persone impegnate in questi territori. I concetti del filosofo ben si fondono con le mie visioni paesologiche. Ho la sensazione di avere davanti un’Italia che lentamente sta guarendo, perché comincia a prendersi cura di se stessa, senza badare più di tanto alle rugginose manovre della politica istituzionale. Oppure è semplicemente un’altra illusione, queste persone non troveranno un luogo per raccogliersi veramente e le spinte all’aggregazione resteranno sempre più deboli di quelle che disgregano.
Il giorno dopo l’ultimo appuntamento marchigiano è con gli studenti a Ripatransone. Sono un po’ stanco, ho solo il lirismo della stanchezza, neppure i sontuosi attacchi di panico di una volta. Le opere d’arte nel palazzo che ci ospita danno veramente l’idea che l’Italia è un grande tesoro. La sala dedicata a Vittore Crivelli mi dà un entusiasmo solitario, in punta di piedi, qualcosa che mi prende di striscio e non arriva nel focolaio del grigiore che intristisce le giornate di tutti.
I ragazzi presentano un lavoro di progettazione in un’area dismessa. Lo fanno in una maniera incoraggiante. Speriamo che l’amministrazione comunale ne tenga conto e che il lavoro dei ragazzi non si risolva solo in un esercizio. Mentre dico questa frase temo che tutto si perderà nel nulla, i sindaci veramente coraggiosi sono pochissimi.
La discussione è molto viva e verte tutta sul concetto di modernità. Mi colpiscono le argomentazioni di uno studente che considera troppo utopiche le mie idee sulla fine della modernità. Secondo lui l’orrore che abbiamo di fronte è in qualche modo solo una stazione a cui seguiranno altri orrori. Il ragazzo ha l’aria di aver domato da poco un suo disagio antico, forse nelle sue frasi c’è più verità che nelle mie.
Dopo le parole andiamo a vedere l’area dove hanno lavorato. Noto che molte ragazze hanno dei bei volti, ma corpi un po’ fuori forma. Il percorso di ritorno verso la piazza è in salita e loro sono in affanno come me.
Ormai ho finito i miei impegni. Dobbiamo solo trovare un ristorante per mangiare e poi posso partire verso casa. Siccome è lunedì, quasi tutti i ristoranti sono chiusi. Ne troviamo uno a Grottammare molto affollato. Sono quasi tutti operai. Il luogo non ha l’aria di un’osteria, non ha addobbi antichi, è arredato come un ufficio pubblico. La professoressa che è con me prende una pasta al sugo dall’aria poco invitante. Io me la cavo con un’insalata e carne ai ferri. Mentre mangiamo parliamo speranzosi di Alba, il nuovo soggetto politico nato tra i rami di una sinistra che fa fatica a rintracciare il suo tronco. Fuori piove, è ora di partire.
Nel viaggio di ritorno il pensiero va ai tanti tir che incrocio. Vista dall’autostrada quella che stiamo vivendo è una strana crisi. Si sposta di tutto, come se il mondo fosse un perenne trasloco. Leggo le scritte con attenzione minuziosa. Il mondo interno è in una sua penombra quieta, non mi assilla, come ha sempre fatto. Continuo a pensare al viaggio marchigiano. Penso ai ragazzi di Ripatransone: è bastato mostrare qualcuna delle mie crepe perché mi mostrassero le loro.
Mi piace scivolare sull’autostrada mentre vagano nella mente le immagini degli incontri che ho avuto. Ecco i ragazzi di Urbino con le bottiglie in mano. Non so se in questo modo si procurano l’ebbrezza di cui parlava Baudelaire. In verità non so nulla neppure della mia vita, so che vado in giro, so che spesso mi annoio, so che mi stanco, so che qualche volta sono contento, ma sempre per poco, sempre con la sensazione che lo sfinimento è l’unico pane comune che ci resta.
Ogni volta che penso a Macerata, mi viene in mente il poeta Remo Pagnanelli, morto suicida molti anni fa. Me lo immagino in cammino in quelle strade, in anni in cui sembravano terribili cose ben più lievi di quelle che abbiamo vissuto dopo.
Mi piace il pacato disordine con cui spuntano le immagini nella mente. All’altezza di Termoli mi torna in mente il paese di Valentino Rossi in cui sono passato di ritorno da Saludecio. Tutti gli alberi erano fasciati col numero 46, ovunque segni per ricordare al passante che il pilota è uno di loro. Non so se in un paese del sud potrebbe mai capitare la stessa cosa. Da noi qualunque forma di successo è vista con sospetto. Al mio paese l’ammirazione è bandita.
Vedo anche la gola del Furlo e un fiume verdissimo che ci scorre dentro. Penso alla visita che ho fatto nello spaccio aziendale delle Hogan e delle Tods (in realtà si vendono anche maglie, camicie, giubbini e pantaloni). Si viene qui per risparmiare rispetto ai negozi, ma i prezzi sono comunque altissimi, tipici di quelle merci che godono di un prestigio superiore alle loro qualità.
Arrivo al mio paese e la zona dove abito mi pare più disordinata del solito. È sempre così quando torno da qualche viaggio che dura più di un giorno. Il nostro luogo è quello che ci appare quando ci stiamo dentro o quello che ci appare quando torniamo da un viaggio?
A cena parlo delle Marche a mia moglie e ai miei figli. Non è un luogo di eccessi. Non ci sono posture eroiche. Le scarpe di Della Valle e i quadri di Crivelli. La bellezza del paese alto a Grottamare e il disordine della parte bassa. Le Marche sono un polso attraversato da tre arterie: la ferrovia, la statale adriatica e l’autostrada. È un ottimo luogo per vedere a che punto è la nostra febbre. La diagnosi è strana, fausta e infausta allo stesso tempo, stiamo guarendo e ci stiamo aggravando. Sembra di stare in un mondo morto e sembra di stare in un mondo che sta trovando la via per liberarsi dei morti che lo hanno dominato. Forse dipende dall’arteria che si tasta.

5 pensieri riguardo “viaggio nelle marche

  1. Grazie del post, ci sono ottimi spunti tra impressioni e riflessioni a densità barisferica.
    Paesologia a mo’ di reportage pulsante :-)), Gaetano affettuoso, come sempre!

  2. ti sembra normale scrivere “le ragazze hanno bei volti ma corpi un po fuori forma”?
    Il paesaggio dei corpi deve essere omologato alle diete e alla forma fisica della pubblicita’?
    Trovo onesto che tu l’abbia scritto se l’hai pensato, ma indica che hai qualche stonatura da risolvere dentro di te

  3. Durante il prossimo viaggio nelle Marche le consiglio di visitare Civitanova alta. E’ un borgo che accoglie tutti in un modo inaspettato. Ed è il luogo dove ho lasciato il cuore.
    Una foggiana che ha vissuto 17 anni nelle Marche

  4. Abito a Sant’Angelo in Vado,vicino a Urbino..(Municipi o romano con bellissimi mosaici) poco fa x la prima volta l’ ho conosciuta e ho commentato il suo articolo sulla crisi ecc.VEda facendo quel commento e parlando dei GIOVANI e della CULTURA in parte avevo come esempio URBINO. Lei ha visto e capito …qualcosa…ma l’analisi è ben poca cosa…se si vuole un cambiamento… Bisogna utilizzare:COME ??COSA ??…QUANDO …PERCHE’????Sicuramente avra’ un metodo ..una prassi che mi piacerebbe conoscere

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