nel sogno di un’altra politica

metto qui un editoriale uscito oggi su il manifesto

Si parla della crisi, senza il coraggio di dire cos’è in crisi. I partiti vogliono uscire dalla crisi con la crescita. Sembra una cosa ovvia e invece è una scelta molto complicata. Bisogna crescere per mantenere un certo tenore di vita. I governi ragionano come se fossero individui. La politica si sta riducendo sempre più alla manutenzione dell’egoismo. Ho molti amici di sinistra a cui parlare della necessità di inumare il capitalismo pare una follia. Quello che una volta era il conflitto di classe adesso è diventata la guerra delle vanità contrapposte: si preferisce contestare il vicino di casa, si preferisce parlare male delle persone che abbiamo intorno, piuttosto che organizzare la lotta ai padroni del mondo. Questi padroni a volte vanno in disgrazia, vedi Berlusconi, e la sinistra non sa approfittarne per provare a costruire una democrazia senza padroni.
Il capitalismo è intimamente morto, ma prima di morire ha stordito anche la sinistra. E allora ci troviamo in una stagione con gli occhi chiusi. E l’occidente sta diventano una macchina della decomposizione. Una macchina che mostrando ogni giorno i suo effetti ha il potere di far pensare che non c’è spazio per nient’altro. E invece bisogna dire ogni giorno che la felicità e il capitalismo sono forze antitetiche. I mercati finanziari non contano più dei mercati rionali; un ragazzo che si iscrive all’università dovrebbe prima frequentare una bottega per imparare a fare qualcosa con le mani; ci vorrebbe un reddito di cittadinanza garantito per tutti, ma più alto per chi vive nei paesi; i giovani che ne fanno richiesta dovrebbero poter disporre di un pezzo di terra. Alle prossime elezioni ci vorrebbe un partito che facesse proposte di questo tipo. Un partito che candidi non chi sa parlare, ma chi sa guardare. Un partito che consideri le elezioni e il governo solo un aspetto della sua azione. Un partito che lavori sui concetti, sulle proposte, sulle tecnologie del buon governo, ma che lavori anche per stimolare un pensiero poetico collettivo. È il sogno che si sposa alla ragione. Dove sta scritto che la politica deve essere unicamente estenuante mediazione per comporre interessi diversi? Questo è sicuramente un ferro del mestiere, un ferro insufficiente senza un lavoro radicale proteso a costruire uomini che siano fuori dalla logica sviluppista, dalla visione del mondo come una cava da sfruttare. C’è sempre il rischio di agitare vaghezze e misticismi e narrazioni inconcludenti, ma una politica che non sa correre rischi è completamente inutile e non a caso è tutta sottomessa ai poteri economici.
È ora di rivedere questa storia che il potere corrompe e che uno scrittore dovrebbe stare lontano da ogni forma di potere. Nell’Italia dell’autismo corale non è la passione civile il cuore della faccenda, ma le passioni incivili. Alcuni stanno molte ore al giorno davanti al computer e al telefonino e non si sognerebbero mai di entrare in una sezione di partito: la politica viene fatta con qualche mi piace su facebook, c’è un interesse molto superficiale alla vita pubblica. Sicuramente nei prossimi mesi ci sarà più partecipazione, ma senza impeti rivoluzionari non succede niente, non solo nella vita politica, anche in quella personale. Ecco la novità della nostra epoca: l’estremismo e il rigore non sono una scelta tra le tante, sono l’unica scelta possibile. La rivoluzione non è una cosa per conquistare un palazzo. Più semplicemente è il modo migliore di consumare il tempo che passa. Allora o si è rivoluzionari o non si è niente. Non ci sono vie di mezzo, non ci sono indugi tollerabili. Bisogna fare tutto e subito, bisogna cercare l’impossibile e quando lo abbiamo trovato cercarlo ancora. Alle prossime elezioni sarebbe bello se ci fosse un partito che avesse la rivoluzione nel suo nome. E se non c’è, nulla è perduto. Cercatevi qualche amico, qualche luogo dove la rivoluzione si lascia fare comunque. È assurdo davanti a una prospettiva come questa disquisire tra i partiti esistenti e quelli che stanno arrivando. Bisogna immaginare che possa esistere questo ed altro. La politica che c’è ha bisogno di una sola cosa: la politica che non c’è.

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

8 pensieri riguardo “nel sogno di un’altra politica

  1. Mi chiedo come sia possibile che i governi non si rendano conto che la parola crescita equivalga oggi alla parola distruzione (e autodistruzione). Continuare a parlare di crescita, ad auspicare la crescita, a lavorare per la crescita, vuol dire davvero non avere il senso della finitezza: finitezza del pianeta, delle risorse, di se stessi. Non rendersi conto che nella situazione attuale l’unica salvezza possibile è un piano (planetario?) di ragionata decrescita, non è solo una grave attestazione di miopia politica, ma soprattutto, da parte dei governi, una dichiarazione di guerra globale, un irreversibile tutti contro tutti, la morte definitiva di qualsiasi senso etico del progresso umano.

  2. Franco ci parla del coraggio radicale di non rottamare la parola “rivoluzione” dal vocabolario politco……Dobbiamo pensare per non disperare che possa esistere o essere pensata una possibile
    nuovo modo di fare economia.Si parla di economia ‘noetica’. Una possibile nuova situazione in cui le visioni, i miraggi, le speranze segrete e inconfessabili, le introflessioni integrali, i mutismi e gli arresti incondizionati, le resistenze estreme e l’estrema inarticolazione dell’inoperoso diventano la prassi possibile per vivere e pensare i “piccoli io” e “i piccoli paesi” dell’abbandono, e dei “terremoti”,delle emergenze o delle urgenze naturali o meccaniche. Essa, grazie alla sua razionalità metapoietica, fa dell’inespresso,del fantasioso,del sogno,delle visoni e del non pianificabile il suo oggetto perspicuo, che non lega le proprie sorti e le sue finalità alla esplosione consumistica e sublimazione riproduttiva o agli autoritarismi teologici del mercato attraverso lo spreed .
    mauro

  3. diffido della parola sogno, che la lingua madre chiama alla stessa maniera del sonno (per gli stranieri: suonno).
    Se avessi l’ascolto che non ho, suggerirei “il segno di un’altra politica”.
    Il segno a occhi aperti, of course…

  4. bravo paolo. questa è notevole! siamo nella civiltà del segno. la paesologia non vuole cancellarla, vuole dire che esiste anche la terra. e allora noi lavoriamo per il segno di un’altra terra.

  5. Post-arminio

    Acque agitate in rete. Arminio si è mosso, si vuole candidare alle prossime elezioni politiche. Eccola la parola: politica. Ha scritto una lettera al figlio e gli hanno gridato che quella non è letteratura, che quella non è politica, ma solo familismo, roba privata e allora rispondono con una lettera di manifesto dissenso. Arminio accende fuochi, confeziona pacchi. Arminio scrive sempre lo stesso libro. Arminio sfugge al confronto.
    Quando in Lucania tra i calanchi, Arminio vince il premio Carlo Levi qui in irpinia cala il silenzio.

    Pausa

    Arminio scrive sull’acqua e il livello è alto. IL lettore eretto si agita e affonda. In questa massa di scrittura liquida si resta a galla solo distendendo il proprio corpo e leggedola con gli occhi che si nascondono sotto lo sterno.

  6. in questo tempo bislacco in cui per fare il federalismo si tolgono le province (e si fa benissimo!), un segno di un’altra politica sarebbe la riconversione ‘industriale’ dalla geografia delle burocrazie alla geografia della paesologia.
    Quanti start up di aziende agricole potremmo finanziare con i costi di una prefettura?

  7. Fare poesia e aspettarsi di essere riconosciuto poeta non è rivoluzionario. E’ l’umano desiderio di potere, è guardare in verticale la vita, il mondo, l’altro da noi. Cambiare lo sguardo, liberarsi dei vestiti che ci hanno cucito addosso con la morale religiosa e con la moda, dismettere di essere qualcuno rispetto agli altri ma essere qualcuno per gli altri può favorire quel radicale cambiamento che proviamo a definire rivoluzionario.Fino a quando saremo conquistati dall’istinto del possesso( proprità privata) non ci sarà alcuna rivoluzione nè culturale nè politica nè economica.

Rispondi

Scopri di più da Casa della Paesologia

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading