prima bozza di una nota d’avvio a un libro prossimo venturo

Sono partito dalla percezione del corpo, perché il corpo mi dava pensieri, il corpo faceva salire alla testa pensieri più che sensazioni. Queste pensieri si posizionano in un’area della testa che potremmo definire area dell’apprensione. Nel mio caso il disperare del mio corpo, il sentirlo incapace di avvenire. Ogni corpo ha una sua idea di avvenire. Nel mio caso era un’idea bruciante, pochi mesi, pochi giorni, poche ore. Questa immaginaria salute precaria s’incrocia con le reale salute precaria dei luoghi in cui vivo. E allora la ricognizione dei luoghi è il frutto di uno spostamento d’attenzione, dal sintomo del corpo al sintomo del luogo, dall’ipocondria alla desolazione. Facendo uno spostamento ulteriore, mettendo sul palmo della mano il mondo intero, vengono fuori altre parole: sfinimento, autismo corale. La mia scrittura non ha il rigore della scienza, non vuole e non può essere attendibile. Il primato della percezione sul concetto, del particolare sull’astrazione.

Questo non deve trarre in inganno, la mira è comunque altissima e non ho bisogno di concordare con nessuno il bersaglio. La paesologia non vuole fare riassunti o postille al lavoro altrui. In un certo senso è una disciplina indisciplinata, raccoglie le voci del mondo, sente quel che vuol sentire, dice quel che vuole dire. Un lavoro provvisorio, umorale. Un lavoro letterario.

La vicenda si complica quando si pronuncia la parola politica. In questo caso la fragilità non è più una forza ma un qualcosa che dà i nervi. Perché la politica è o dovrebbe essere un’elaborazione collettiva. Il problema e l’opportunità è che al punto in cui siamo arrivati anche la politica appartiene alle discipline dell’immaginario. Non si sa che strada prendere e allora si fanno arabeschi, congetture. La modernità finisce ogni giorno e ogni giorno prolunga la sua esistenza con una magia collettiva che occulta ciò che è in piena evidenza: non crediamo più alla nostra avventura su questo pianeta. Non abbiamo nessuna religione che ci tiene assieme, nessun progetto da condividere. La paesologia denuncia l’imbroglio della modernità, il suo aver portato l’umano dalla civiltà del segno alla civiltà del pegno. Navighiamo in un mare di merci, e intorno a noi è tutto un panorama di navi incagliate: le nazioni, gli individui, le idee, tutto è come bloccato in un presente che non sa rivolgersi la sua fronte né avanti né indietro.

In uno scenario del genere l’unica politica possibile è la poesia. La poesia non è il fiore all’occhiello, ma è l’unico abito che possiamo indossare, ma prima di indossarlo dobbiamo cucirlo e prima di cucirlo dobbiamo procurarci la stoffa. La poesia ci può permettere di navigare nel mare delle merci lasciandoci un residuo di anima, la poesia è la realtà più reale, è il nesso più potente tra le parole e le cose. Quando riusciamo a radunare in noi questa forza possiamo rivolgerci serenamente agli altri, possiamo scrivere, possiamo fare l’oste o il parlamentare, non cambia molto. Quello che conta è sentire che la modernità è una baracca da smontare, e una volta che la baracca è smontata mettersi a guardare la terra che c’è sotto e costruire in ogni luogo non altre baracche, ma case senza muri e senza tetto, costruire non la crescita, non lo sviluppo, costruire il senso di stare da qualche parte nel tempo che passa, un senso intimamente politico e poetico, un senso che ci fa viaggiare più lietamente verso la morte. Adesso si muore a marcia indietro, si muore dopo mille peripezie per schivarla o per cercarla la fine. E invece c’è solo il respiro, forse ce n’è uno solo per tutti e per tutto. Spartirsi serenamente questo respiro è l’arte della vita. Altro che moderno o postmoderno, altro che localismo o globalità. La faccenda è teologica. Abbiamo bisogno di politica e di economia, ma ci vuole una politica e un’economia del sacro. Ci vuole la poesia.

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

9 pensieri riguardo “prima bozza di una nota d’avvio a un libro prossimo venturo

  1. Il modo comunitario della “paesologia” di mettersi in campo per definirsi e radicarsi è rivoluzionario in senso nuovo.Essa è radicale nel cercare e vivere la sua strada nei sentieri interrotti della poesia e della politica con la percezione che non è solo il moderno in discussione ma addiorittura tutta la tradizione occidentale di pensiero. sin dai suoi albori ebraico-semitico- greco-latino.
    Lerrore è compiuto dagli ebrei, greci e latini che “sbagliano per grandezza” (Heidegger e Nietzsche)Non basta come per noi “filosofi” ritornare agli inizi per ricominciare e dare senso alla strada per inventare nuovi valori e fini.Per noi la strada è già definita e completa …i valori e i fini sono sti travisati e abusati .Per la “paesologia” non basta ripensare esattamente l’inizio,il momento aurorale,che precede la luce.La cultura occidentale è impoetica e antipoetica, impolitica ,è antipolitica nella sua essenza.
    La filosofia politica è proprio la negazione della politca.La politica non ha nulla a che fare con il pensare la politica La poesia non ha nulla ache fare con il pensare alla poesia.Il pensare e l’essere politici o poeti non è la stessa cosa.
    L’errore è far riferimento alla “natura ” dell’uomo : determinare che cosa sia per natura l’uomo o quale sia la natura dell’uomo.
    La domanda giusta è : quali sono le condizioni dell’uomo,non la sua natura, quali sono le condizioni che rendono l’uomo ,uomo.
    Per la filosofia moderna (Cartesio) l’uomo è essenzialmente incondizionato, ma come il soggetto che pone le condizioni alle cose e al mondo esterno.E le sue condizioni sono il suo pensiero.
    La filosofia politica moderna come qualsiasi estetica parte dall’assunto che l’uomo deve liberarsi da ogni condizionamento per poter essere effettivamente libero..L’uomo libero è colui che non è condizionato da nulla.Può volere ciò che vuole e se ha i mezzi ,ottenere ciò che vuole.
    Per la paesologia l’uomo è un essere finito provviosrio,condizionato,inoperosoi.la politica o la poesia possono nascere solo nella fase aurorale, solo quando prende atto di questa limitatezza,inoperosità,provviosrietà;la politica come la poesia scompare quando l’uomo appare come incondizionato.E ‘ la singolarità che interessa .
    “L’uomo sembra posseduto da una sorta di ribellione contro l’esistenza che gli è data, e che desidera scambiare con una esistenza che sia sia fatta da lui stessso” A. Arendt.
    mauro orlando

  2. stai sempre più affinando la tua proposta poetica, politica e umana, stai distillando la “soluzione finale”

  3. ma come si fa a non commentare un testo così stimolante!!!!!?????….ho notato che i miei commenti spesso fanno da deterrente ….da questo momento scriverò solo post a cui nessuno si sente obbligato al commento……

  4. il corpo è il veicolo dell’anima: è come la foglia su un ramo che trema o riposa leggera sentendone il peso o la leggerezza..Se nel corpo si annida un’ansia,esplodono urgenze che possono indurre all’agire,esternando la sfida interiore che si concreta in atti,in ricerca,in gesti,proiettando fuori di sè quello sguardo intimo che può avvolgere ogni cosa o una parte dell’intimo altrui.
    Se quest’occhio intimo sa cogliere il rumore della crepa su un muro o il passo stanco di un viandante o la coda di un cavallo al galoppo o le parole non dette di una notte,quest’occhio è capace di far poesia.Se lo stesso occhio è capace di leggere gli intrighi del mondo o di ascoltare la confusione del mondo,sapendone cogliere il suono ordinato,se sa trovare la rotta di rette parallele che mai si incrociano,se sa avere la forza di percepire il brivido delle ineguaglianze e lottare in nome loro per risanarle,allora quest’occhio è capace di fare anche politica,perchè in ciò si concilia l’io e il non io,il me e l’altro da me. In pratica il dissidio interiore si pacifica e la solitudine non è più naufraga perchè regge l’onda che sgorga dalla moltitudine.

  5. ……”Mi interessa una politica nuda, sincera, e perfino dolce e incantata. In altre parole mi interessa che nel cuore della politica entri la poesia”

  6. “La mia scrittura non ha il rigore della scienza, non vuole e non può essere attendibile. Il primato della percezione sul concetto, del particolare sull’astrazione.”
    Funziona (quasi) tutto (quasi) fino all’ultimo.
    Fino a che per chiudere il cerchio serve l’astrazione massima, il “sacro”. Addio percezione e addio particolare.
    Si ritorna al punto di partenza o, come piace dire a te, si fa una rivoluzione.
    Si è condiviso un respiro…

  7. «In uno scenario del genere l’unica politica possibile è la poesia», mi pare che Leopardi pensasse qualcosa di simile (non tanto in relazione alla “politica” ma allo “scenario” in sé) … e c’è chi lo considera il primo pensatore della “contemporaneità”, cioè dopo la “modernità”…
    E tuttavia la “modernità”, che i più spesso evocano, citano, il termine così diffuso, che in una parola risolve ciò da cui ci si vorrebbe liberare, ha un senso che continua a essermi oscuro… ho l’impressione che racchiuda una tale diversità di significati da rendere veramente difficile capire di cosa ciascuno sta parlando… e così non si esce dall'”autismo corale”.
    Insomma cos’è la “modernità”?

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