un’ora d’aria…dopo carbonaria

di

Paolo Albera

Proprio in quel momento il campanile ha martellato undici rintocchi nel mio orecchio. Stavo salendo al “museo dell’aria” di Cairano, le campane erano alla mia altezza e a pochissima distanza. Mi sono spaventato, erano campane che suonavano un po’ come un allarme per la mia intrusione clandestina in uno dei luoghi più suggestivi dell’Irpinia d’oriente.

Dall’altura si dominava una distesa di onde, a perdita d’occhio. Onde di terra, campagne arate da colori della stessa pasta, tra il giallo e il marrone, ma tessute con infinite trame. Onde di vento, folate irregolari ed indisturbate, l’aria era esposta, in qualsiasi senso. A quale paesaggio avrei assistito nello stesso luogo tra due settimane, tra due mesi, tra due stagioni? Dal precipizio vedevo la strada percorsa in macchina per arrivare, e sentivo paura e voglia di avvicinarmi, forse di lanciarmi in aria.

Un uomo si è avvicinato rompendo il silenzio, “a chi appartieni?” è la formula tipica del sud per chiedermi chi sono. Anche un anziano giù in paese mi aveva chiesto a chi appartengo. E’ già difficile far capire che sono uno di Torino che viene a Bisaccia per questioni affettive, figuriamoci spiegare il fatto che si trattava della mia prima esperienza “consapevole” di paesologia da solo. Magari spiegarlo avrebbe reso tutto più semplice. Anche stavolta non sapevo davvero tirarmi fuori, uscire dalla trincea, lanciarmi in aria. A Cairano ero effettivamente clandestino, ho lievemente alterato il fragile equilibrio di un paese di pochi abitanti, solo per me, solo per passare il tempo in una mattina di agosto.

Con l’anziano in paese non ero stato molto, parlava solo in dialetto e non ho capito quasi nulla. Visto che venivo da Bisaccia, mi ha chiesto se conoscevo Arminio. “Chi, Franco, lo scrittore?” Incerto, mi ha detto che no, fa il maestro elementare. E che suo fratello ha un ristorante. Ho cercato di spiegargli l’evento di CarbonAria e della scuola di paesologia, ma forse non ci siamo molto capiti, e comunque lui tornava sempre sulla questione del ristorante. Morale: saluti da zì Carluccio.

Con l’uomo sulla rupe, invece, abbiamo parlato a lungo, mi ha raccontato il panorama, fiumi, fonti, monti. Mi ha spiegato il punto più alto di Cairano, anche se ora il punto più alto è l’antenna della Vodafone. Ho accennato qualcosa di me e della mia vita, mi ha fatto gli auguri; dopo esserci salutati ho deciso di scendere. E’ stato un incontro piacevole, bastava così poco, non ero più clandestino. Non si può prendere e portar via un’impressione senza lasciare un poco di sé, esporsi, uscire dalla trincea.

Proprio in quel momento il campanile ha martellato dodici rintocchi nel mio orecchio. Tra una cosa e l’altra sono stato al “museo dell’aria” ben un’ora. Mi sono di nuovo spaventato, erano campane che suonavano come un allarme antitaccheggio dopo un furto nel museo. Come hanno fatto? Mi hanno incastrato, ho rubato dell’aria.

3 pensieri riguardo “un’ora d’aria…dopo carbonaria

  1. Già, uscire dalle trincee!. Eppure, dalla conclusione di questo tuo (bel) reportage si direbbe che vi sei ritornato, in trincea, o forse è solo un riflesso condizionato…

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