la scuola, la scuola, la scuola…….

metto qui un pezzo uscito su il manifesto del 12 ottobre.
da domani la paesologia si sposta in salento fino al 19
poi il 20 0ttobre presento il libro del presidente lucano a sant’arcangelo. chi è interessato a venire alla scuola di aliano dal 16 al 18 novembre è pregato di comunicarmelo al più presto.
arminio17@gmail.com

La scuola per i governi italiani è una faccenda di spese da ridurre, non è nient’altro che questo. Quello che dovrebbe essere il cuore di ogni società viene trattato alla stregua di un’unghia incarnita. A furia di ricevere scarsa considerazione, anche tra chi ci lavora dentro si è fatta strada un’ottica che tende a rimpicciolire le straordinarie esperienze dell’insegnare e dell’imparare. Forse non serve un giorno di sciopero se poi si ritorna rassegnati nell’angolo. E non si può reagire ai tagli riducendo il proprio impegno. Quello che i governanti non capiscono è che l’Italia ha bisogno di più scuola. Bisognerebbe tenere aperte le aule anche di pomeriggio e di sera. L’errore della politica è di considerarla un comparto particolarmente oneroso del pubblico impiego. La scuola non è un insieme di uffici, è arte, politica, religione, cultura, è compagnia, è lavoro, è gioia, è futuro. La scuola dovrebbe essere un vulcano in mezzo alla società, così dovrebbe essere concepita e costruita, non come una scodella di avanzi, come un residuo tollerato di un mondo che non c’è più.
Gli stregoni che invocano la crescita dovrebbero adoperarsi per far crescere gli apprendimenti, per aumentare l’entusiasmo di insegnanti e alunni. E non è questione solo di stipendi. Le scuole dovrebbero avere intorno tutta una seria di premure. Una nazione non è un’azienda e una società non può stare appesa al valore della sua moneta.
Lo sciopero di oggi deve essere l’affermazione del valore immenso che hanno i rapporti umani, quello che ci diciamo, i sorrisi, i rimproveri, il parlarsi dentro un’aula, sentirsi una comunità che costruisce qualcosa, che non è lì per passare un po’ di tempo. La scuola dovrebbe essere la metà dell’agenda di ogni Governo, di ogni Regione, di ogni Provincia, di ogni Comune. E invece abbiamo avuto un ministro come la Gelmini.
Il governo dei professori sta lavorando su tempi stretti e rimettere in piedi la casa del sapere non è impresa da pochi mesi, ma neppure si può lavorare come se fosse solo una questione di soldi. La politica non è la distribuzione del denaro. La politica deve guardare ai bambini di tre anni e ai ragazzi di venti. Il giorno in cui caddero le torri il presidente americano era in visita in una scuola elementare. In Italia dentro un’aula è difficile portare anche i sindaci. I politici sono imbarazzati davanti ai bambini, ai ragazzi, ai giovani.
In questi giorni nelle prime elementari i bambini stanno imparando a leggere e a scrivere. È un travaglio che meriterebbe tante cure e invece avviene come se ogni aula fosse un sottomarino. Da questo punto di vista siamo tornati indietro. Nelle scuole non c’è spazio per sperimentare, non solo mancano le risorse, manca l’attenzione della società. La scuola è la prima forma della politica, è il primo esercizio di cittadinanza e invece è ridotta a un parcheggio dove chi sta avanti non può andare più avanti e chi sta indietro non viene aiutato a farsi avanti. Un meccanismo bloccato, una macchina senza ruote.
Dopo lo sciopero bisognerebbe inventarsi qualcos’altro per dire che la scuola si ammutina, non partecipa alla triste pagliacciata di una società egoista e senza slanci. La scuola deve ritirarsi da questo mondo senz’anima, deve essere fiera della sua inattualità, deve svolgere una serena obiezione al contingente, perché la posta in palio è immensa: è la forza di stare tra gli uomini e nei luoghi, nella propria casa e nell’universo.
Altro che due ore in più o in meno, altro che il ronzio ragionieristico con cui ci assillano: i politicanti ormai sembrano mosche nelle orecchie dei cavalli. C’è un’enorme dismisura tra un bambino che scrive alla lavagna la sua prima parola intera e il fatuo balbettio mediatico. I soldi che hanno tolto alla scuola in questi anni sono ben poca cosa rispetto al disamore con cui è stata guardata.
L’Italia ha rottamato la pubblica istruzione e si è affidata alla televisione, fino ad eleggere a capo del governo il padrone dell’etere. Ora è tempo di rottamare la televisione e di rimettere al centro la scuola. Ci vuole una vera e propria rivoluzione ed è più urgente del risanamento del debito. Chi non sente questa urgenza è un miserabile che può solo rendere più miserabile la vita di tutti noi.

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

5 pensieri riguardo “la scuola, la scuola, la scuola…….

  1. Leggo qs post in treno, e mi commuovo. Le metafore con cui viene descritta la scuola (la ciotola, il sottomarino) sono più efficaci di ogni discorso. Divulgherò qs testo con impegno. Grazie arminio

  2. “Ci vuole una vera e propria RIVOLUZIONE ed è più urgente del risanamento del debito. CHI NON SENTE QUESTA URGENZA E’ UN MISERABILE CHE PUO’ SOLO RENDERE PIU’ MISERABILE LA VITA DI TUTTI NOI.”….

    Sante parole. Parole sante. Sante come la messa.

    PS Sono d’accordo con Nadia Breda, commozione a parte.

  3. ho partecipato allo sciopero sotto un diluvio perchè credo in pieno nel
    valore della scuola. Le parole di Arminio sono belle e giuste.Esse corrispondono ai principi che hanno rafforzato il mio agire da insegnante. Quando incrocio lo sguardo dei miei allievi rinnovo,ogni giorno,la forza del mio impegno e mi convinco sempre di più di quanto sia povero e misero il pensiero di chi ci governa che ci costringe alle emergenze,che ci taglia le risorse,che ci considera poca cosa.Tuttavia,a chi mi viene affidato,non tolgo le opportunità che un governo miope,toglie a me e a loro.Non mi faccio svilire da chi ha messo la scuola in vendita, Non mi nego la speranza che ci negano,non mi piego alle logiche ragioneristiche,alle cretinate di Profumo,alle chiacchiere salottiere di chi fa finta di avere a cuore la scuola.
    Farò il mio dovere fino all’ultimo respiro e come sempre,continuerò a fiondarmi in chi mi sta ogni giorno di fronte,cercando di sentirne i bisogni,cercando di dare risposte alle domande del cuore e stimolandone altre,per farli riflettere e ragionare.
    Un domani loro non si sentiranno traditi da me,ma capiranno,avranno gli strumenti per farlo,quello che dovranno cambiare in questa società sempre più debole,sempre più ammalata.Una società che affossa la scuola implode e questo è quello che dovrebbe star a cuore a chi ci governa: impedire l’implosione.Purtroppo il governo dei” professori”anche nel comparto della conoscenza,della ricerca,si sta dimostrando veramente rovinoso. Ciechi e sordi questi tecnici..insopportabili

    1. Le tue parole sono di speranza e di fiducia nella lotta. Chi, come me, legge

      “Farò il mio dovere fino all’ultimo respiro e come sempre,continuerò a fiondarmi in chi mi sta ogni giorno di fronte,cercando di sentirne i bisogni,cercando di dare risposte alle domande del cuore e stimolandone altre,per farli riflettere e ragionare.
      Un domani loro non si sentiranno traditi da me,ma capiranno,avranno gli strumenti per farlo,quello che dovranno cambiare in questa società sempre più debole,sempre più ammalata”

      si riconforta e pensa che , nonostante tutto, vale la pena lottare sempre, perché c’è chi lavora con determinazione a tenere alto il testimone della lotta per il cambiamento, per trasmetterlo alle nuove generazioni, assieme alla memoria storica, e lontano dai riflettori della politica-spettacolo.

  4. Occorre incentivare le carriere (nel senso positivo del termine), e sottrarre organi dirigenziali e rappresentativi della scuola da una componente “pedagogista” che troppo ha privilegiato una cultura del “come fare” sui contenuti, ridotti a un ruolo subalterno se non proprio opzionale. Inoltre, i “professionisti del sapere” (a cominciare dal mondo dell’università) dovrebbero (ri)appropriarsi dei ruoli dirigenziali della scuola, attualmente affidati con criterio essenzialmente anagrafico (i.e. si può diventare dirigenti scolastici senza di fatto aver pubblicato un rigo su riviste scientifiche e accademiche: la burocrazia ha trionfato sul know-how). Di tutto ciò anche l’interlocuzione con una controparte politica comunque distratta (eufemismo) ne risente

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