di Raffaele Arcuri
A volte ho dei dubbi: Castagna esiste davvero? Oppure vivo in un luogo di fantasia?
È per questo che oggi mi sono fermato a fotografare il cartello stradale, quasi per tranquillizzarmi.
Ebbene sì, adesso ne ho la certezza: il mio paese esiste davvero!
E quei buchi? Niente di importante, in Calabria i cartelli stradali arrivano direttamente dalla Svizzera: hanno già i buchi come il formaggio.
Quanto al “sottotitolo” cancellato è la testimonianza dell’animo indipendentista che alberga in ognuno di noi: facciamo fatica a considerarci italiani figuriamoci frazione di…
Qualcuno mi chiedeva stamattina: ma come faccio ad arrivarci? Prendo il bus?
E’ facile: seconda stella dopo Marte, primo buco nero a sinistra. Non ti puoi sbagliare, Castagna è proprio un buco di paese, un’entità, un’idea che esiste ormai solo nella mente di pochi e su qualche carta geografica.
Certo ci sono le case, le strade, e stasera un forte vento che spazza via ogni tentativo di pensiero, ma il mio paese esiste ed è lì, in bilico tra realtà e fantasia, quasi un “non luogo”, una di quelle “comunità provvisorie” di cui racconta Franco Arminio.
A Castagna il tempo “dura” di più, le giornate passano lente e, se non hai visto altro nella vita, potresti pensare che il mondo è tutto lì e che tutto ruota attorno alle sue piazze vuote, alle sue strade deserte, a quel presepe decadente, a quel nulla geografico piantato in mezzo al Mediterraneo.
D’inverno tutta la socialità si esaurisce nella vasca della domenica pomeriggio, lungo la strada principale, una terrazza sul Monte Reventino che spesso offre tramonti spettacolari, ma che nessuno, in fondo, guarda più. Siamo tutti un po’ incazzati la domenica pomeriggio: col Comune, col Governo o, in mancanza di tutto, con chiunque.
Da sempre all’opposizione, alcuni di noi vestono, da copione, una maschera senza sorriso: perennemente scontenti, che ci sia bel tempo o nevichi, tutto cospira contro di noi.
Tu lo sai che sarà così, ma sei masochista e, in fondo, ti piace: quell’unica occasione di incontro la cerchi comunque e in un certo senso ti placa, ti rapisce dalla noiosa quotidianità che caratterizza il resto della tua settimana. Non hai conosciuto la noia se non hai vissuto in questi posti.
“Forse la malinconia è nata qui”, scriveva Zavattini della sua Luzzara e, mille chilometri più a sud, devo riconoscere che vale anche per Castagna.
Il mio paese è un malato terminale, un luogo che sta perdendo la sua anima, in una lentissima e quasi impercettibile agonia. Mi duole dirlo, ma è la realtà.
“Ma lo odi proprio tanto il tuo paese?”, direte voi. No, in fondo il mio è un grido d’amore e non di disprezzo, e poi “Un paese ci vuole”, scriveva Pavese, “non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”
Non sono totalmente convinto che sia così, e d’inverno bisogna fare una fatica della madonna per ritrovare, tra le case di Castagna, ciò che descrive Pavese, ma per tenere in vita questi luoghi, finché non spirano, c’è un’unica possibilità: viverli, raccontarli, descriverli.
Sono passata da Castagna proprio quest’estate! Andavo con un’amica a fotografare Corazzo. Sono di Gimigliano – anche se vivo altrove – credo di capire cosa vuoi dire.