Poco fa Fabio Nigro mi ha detto che mi vede come un uomo in piedi sulla frana. Me lo ha detto proprio in questi giorni che sto tornando a vivere nella casa sulla frana, davanti agli alberi di noce.
E mi diceva anche che sono l’ultimo contadino con questo mio uscire in continuazione a seminare. I contadini di una volta avevano il problema di togliere le pietre. Io ho quello di seminare sulla frana. La terra che coltivo non è mia e forse oscuramente chi mi avversa sente questo abuso. Io lavoro la terra che altri hanno lasciato, provo a fare la rivoluzione a cui in tanti hanno smesso di credere.
Quando vivi sulla frana non sai mai dove ti trovi. Lo smottamento è allegato alla tua vita. L’argilla è il filo del mio trapezio, un filo allungato dal Pollino alla Maiella. Cammino a oltranza su questa terra, provo a dire tutto, quello che si sente sulla punta del cuore e l’aria che c’è in giro. Mi prendo confidenza coi deliri sepolti nel fondo di ogni anima e con lo scheletro di una società sfinita. La paesologia non esiste senza frana. Se siete appoggiati su un terreno solido occupatevi di altro, non potete capire niente di cosa sono adesso i paesi. Ci vuole un corpo pericolante per arrivare alla fine dei vicoli, seguendo l’orma del vento, il silenzio delle porte chiuse.
La paesologia non ha bisogno di briglie, la frana non si può fermare e la poesia forse è questo: stare in piedi sulla frana, raccontare cosa diventa la terra, fino a quando non cadiamo in una delle sue pieghe per lasciare l’ultimo seme, il seme della nostra morte.
dov’è la rivoluzione se sei l’ultimo e non il primo