La decisione di lasciare Facebook e di ritiarmi in questo blog mi sembra un trasloco da una strada di passaggio a un vicolo di una zona abbandonata. Forse non bisogna andare verso le strade trafficate, bisogna ritirarsi nei vicoli, prima o poi qualcuno arriva.
Il 12 dicembre questo blog aveva ottanta visualizzazioni. Il 19 dicembre, cioè ieri, ne ha avute quasi novecento. Il merito è di Scotellaro e del mio sconforto di questi giorni.
Stamattina lo sconforto si è tramutato nella vecchia ipocondria. Ho un dolore sotto una costola, vicino al cuore, inutile farla lunga: sto pensando alla morte. Ci penso tutti i giorni, ma negli ultimi tempi ho viaggiato moltissimo, ho tolto molto sonno al mio corpo, la morte sembrava aver perso le unghie. Eccola qui di nuovo, ci conosciamo da tempo. Mentre andavo a prendere il caffè ai ragazzi che ci stanno montando i mobili ho pensato che sarebbe ora di finirla con la scrittura e invece eccomi qui a scrivere. Avevo acceso il computer per scrivere una mail a Marco Travaglio e invece sono nel mio rudere paesologico. Potrei chiamarlo anche pagliaro.
Ieri sera da Santoro c’erano due giornalisti, un ministro e un critico d’arte. E poi hanno fatto parlare al capo dei forconi. Ognuno ha detto le sue cose, spettacolo gradevole. Forse le battute che ha fatto Sgarbi le potevo fare anche io. Forse il Sud rappresentato da Rizzo e Stella poteva essere affiancato dal Sud che racconto io, ma ci vorrebbe un’altra televisione, un altro ritmo. E poi c’è il problema della frana. Il mio dire e il mio fare stanno su un terreno franoso. La lingua scende verso il basso, il discorso è pieno di fessure e invece la televisione vuole discorsi piatti e lisci come campi di calcio. Allora a ciascuno il suo: i milioni che hanno visto Santoro e gli ottocento che sono passati da questo blog ieri. Il cemento mediatico è l’opinione. Il cemento paesologico è la percezione. Opinare è più facile che percepire. Scrivere mi ha dato un poco di coraggio. La giornata sarà lunga, stasera alle sette parlo di Scotellaro a Lecce, incontrerò tante persone. Misteri delle nostre giornate: si parte dalla casa sulla frana, si parte da queste righe nel pagliaro e si arriva alla città delle pietre fiorite.
Intanto adesso vado a comprare i feltrini che devono mettere sotto i mobili. Magari torno qui e scrivo ancora. Mi sento molto solo in questi giorni. Li ho sentiti tutti quelli che mi hanno lasciato e che mi stanno lasciando. Ha un talento speciale nello stanare i diffidenti, i disertori, gli scoraggiatori.
Franco, forse dovremmo solo prendere atto che la nostra società (ma ormai quasi tutte le società del mondo) si fondano sull’apparenza. E’ vero ciò che appare, non ciò che è. Quindi, non illudiamoci che la realtà del nostro Sud interno, di quello che tu descrivi così efficacemente e poeticamente, possa passare attraverso i media. Anche le trasmissioni televisive più “intelligenti” (penso ad esempio a quella di Fazio) sono corrotte dall’apparenza. Non si invita chi parla della realtà o vive nella e della realtà, ma solo chi è abbastanza apparente da fare audience. Non si sfugge a questa regola. E’ deprimente, ma è così. Noi possiamo solo fare nel nostro modo, con i nostri mezzi, con quella comunicazione più “umana”, più delicata, più intima, più vera che è la parola parlata, udita, discussa, amata. Non scoraggiarti. Non scoraggiamoci.
i cari amici paralleli
servono a non ridire oggi
quello che non s’era detto nemmeno ieri
per questo sono veri
rari e sinceri
ad altri è riservato l’altro ieri
A me sembra che questo diario meno immediato giovi. E che anche le frane diano delle possibilità, a volte.
Mi dispiaceeeee…era piu facile e semplice face,,,,, ti vedevo e sognavo le tue terre….ora qui nn so …..dovro’ ricordarmi di venire a visitarti,,,,tutto piu lontano…..💫
Caro Franco, non sei il solo a scoraggiarti e a pensare alla morte. Mi hai fatto ricordare di “Macario”, un bellissimo libro di Bruno Traven in cui, secondo la tradizione messicana, Essa vive costantemente affianco a noi alla distanza di un dito e decide Lei e solo Lei quando è il tuo momento.
Pensare e parlare di televisione, dopo che ci sta succhiando le ultime energie vitali, lasciamelo dire, in fondo è davvero inutile. Piuttosto pensiamo alla scuola. Sono un insegnante (precario e del sud) di scuola media. Insegno violoncello e per questo secondo il pensiero tecnocratico ormai comune, non servo a molto. Invece ricevere via facebook e personalmente dai miei ex alunni continue attestazioni di merito e ringraziamenti per l’apertura mentale che ho sempre voluto sviluppare in loro, beh, sinceramente è la cosa più bella che potesse capitarmi umanamente. I colleghi non lo notano e neppure i dirigenti scolastici…ma i ragazzi si!!!
Parliamo e pensiamo a loro, attraverso l’arte e la letteratura: credo che sia la nostra (o almeno la mia di sicuro) unica arma.
Piccola chiosa per tirarti su il morale: l’aula dove insegno, che è la biblioteca della scuola, è piena di tuoi libri.
In libreria ho dato una scorsa al Sud rappresentato da Rizzo e Stella (senza acquistarlo). Il taglio non poteva che essere giornalistico. D’impatto immediato sull’opinione e di rapido consumo. Compiacente verso il maggior numero possibile di lettori. Non ci sarebbe niente di male in apparenza. Così vanno le comunicazioni di massa. Una tecnica che detta le sue leggi a chi la usa. Mi pare però che il libro possa provocare un duplice danno alla percezione della realtà del nostro tempo e al suo senso.
I temi sono quelli accattivanti della denuncia dei mali del bel paese.
Il Sud è l’esempio principe, la «lente d’ingrandimento» che li rappresenta nel modo più efficace, nella loro più cruda evidenza. Procedere per esempi ha una notevole efficacia comunicativa. È l’imperativo dominante anche nelle scienze e nel loro insegnamento. E ha una sua fondatezza nel nostro tempo. Ma può essere nefasto se astratto da serie analisi e adeguate speculazioni o poetiche interpretazioni percettive (queste, per loro natura, molto più rare e difficili).
Insomma, la concretezza dell’esperienza (ammesso che sempre ci sia da parte di chi scrive) può essere la più grande – perché ingannevole – astrazione, se separata dalla concretezza dell’astrazione concettuale e speculativa (che è concreta se si mantiene unita all’esperienza).
L’astrazione degli esempi non fa capire, non conferisce il senso che è loro proprio ai mali del bel paese e insieme non fa giustizia alla rappresentazione del Sud.
Non solo. Si deve aggiungere, col medesimo criterio, che anche la rappresentazione dei mali del bel paese, attraverso esempi, non fa giustizia all’Italia, né fa capire il senso dei mali del mondo, ossia del tempo in cui viviamo e di cui siamo testimoni.
È superfluo che io lo aggiunga. La poesia di Franco, pur volendo, per esplicito intento e interna “filosofia” dell’autore, radicarsi nella «percezione» (un termine che ha in lui solo il senso del distinguersi dall’inflazionistica produzione di opinioni – testi come quelli di Rizzo e Stella e conseguenti talkshow sono una delle molte testimonianze) ha una forza analitica e speculativa, che a me pare poderosa.
Non è la prima volta, non è l’unico caso, in millenni della nostra storia, che un pensiero speculativo venga espresso, anzi, si origini direttamente in poesia, senza l’uso di tecniche dell’argomentazione fondante, che son proprie del filosofare.
caro prof. Arminio, ricordo il mio transito per la Basilicata nel 1989. Visita (con pernottamento clandestino) sul pollino, i pini loricati, poi le valli fluviali che occorreva percorrere e ripercorrere quasi completamente, per arrivare alla successiva o al mare: infine a Policoro e in Puglia. Intorno, dopo gli assaggi di Tirreno dalle parti di Sapri (ah, da piemontese mi mancava quel pellegrinaggio, finalmente per rendermi conto) e poi a Acquafredda – sorpresa, la notte assopita tra i massi del molo, circondati dal silenzio dei pescatori alla canna – abbiamo percorso in coppia le strade provinciali che la nostra ignoranza faceva apparire più lunghe. Siamo andati lentamente verso Matera. Poi verso Ugento, dove abbiamo campeggiato in una piazzola autorizzata, e ancora più giù, verso Lecce e SantaMariaDiLeuca.
così ho letto infine anche di lei e della sua discesa a santamariadileuca, poi verso brindisi… bene, mi ricordo (sono sempre fermo all’89) le strade provinciali che a ridosso dei tracciati interpoderali si ingolfavano di fango argilloso così sottile e scivoloso; mi richiamavano quella volta nell’81 che ho scampato il temporale nelle Langhe piemontesi, dopo aver pernottato dentro una casa in costruzione, e da SantoStefanoBelbo a Canelli era un continuo schivare le lingue d’argilla allungate sull’asfalto dalla collina. Quei sei chilometri, farli a piedi era un bel camminare! e ricordo la luce, diversa da quella che poi mi ha abbagliato in Salento, ma più maliziosa che faceva brillare il Belbo e i ruscelli di promesse marinaie, già genovesi, per così dire. Il sentore corrotto del fiume poteva evocare anche un porto, pensandoci un po’. Poi Canelli mi accoglie, o forse avviluppa, non so; città tra colline, promessa di agi che non so sfruttare