A un certo punto ti accorgi che ti manca qualcosa. Dopo due anni di assidua vigilanza, oggi mi sono distratto e il cellulare è evaso.
Credo di averlo lasciato sul bancone di un bar a Genzano di Lucania. Eravamo andati al bar prima del secondo tempo di un lunga giornata dedicata al Sud interiore.
Ho provato a cercarlo. A un certo punto mi sono accorto che non riuscivo a concentrami sulla conferenza in corso. Mi sono messo a scrivere.Metto qui qualche mozzicone di questa scrittura. Altre cose me le sono dette in macchina mentre guidavo, un parlare con me stesso con cui ho provato a sostituire le telefonate che solitamente faccio mentre guido.
Quando perdi quello che temevi di perdere ti accorgi che non hai perso niente, prima o poi doveva accadere.
Prima o poi devo trovare un modo di stare al mondo, per il tempo che resta.
Stare fermo, aspettare che il mondo riprenda le forze.
Ero molto contento, mi sono rilassato e il telefonino è scomparso.
Devo andarmene dal gioco in corso.
Andare nella vita come un estraneo.
Ho bisogno di uscire dal mio cuore.
Ci siamo persi io e il mondo e non ci troveremo più.
Non ho più bisogno del mondo, non ho più bisogno di me, perché credo ancora a me stesso?
Perché credo ancora alla mia paura?
Voglio e devo uscire dalle cose che mi accadono.
Sono dalla parte di ogni morte, sono fratello dell’ultimo respiro, sono fratello di chi viene abbandonato, di chi perde e di chi si perde.
Il tempo della mia infanzia è passato invano, sono mancato a quella vita e sto mancando a questa.
Avevo deciso di accontentarmi e non mi sono accontentato. Sono colpevole.
Non ho scampo. Ero innocente e non ho sfruttato la mia innocenza.
Non mi sono accorto che avevo il niente a disposizione, ho usato la morte per spaventare la vita, e invece bisogna usare la vita per spaventare la morte.