Scrivere un libro dentro una macchina finita fuori strada, mettere il triangolo per annunciare l’agonia in corsa. Esiste ancora qualcuno che sia tranquillo e può occuparsi di altri? Stai cercando aiuto o stai offrendo lo spettacolo della tua agonia? Il mondo è finito oppure è solo un nostro racconto per darci delle arie, per fare la parte di quelli che hanno ucciso il mondo? Se davvero è accaduto difficile pensare che l’hanno fatto altri.
Comunque ora voglio tornare a scrivere dell’osteria. Mio padre e il Natale. L’unico giorno del pranzo in famiglia. Sentivo la sua impazienza e ne soffrivo, poi crescendo ho cominciato a sentire pure io solo insofferenza per i pranzi natalizi. Sto scrivendo cose che avevo scritto dieci minuti fa e premendo un tasto sono sparite. Le frasi avevano un altro giro. Perdo le cose, perdo i telefonini e perdo anche un testo che stavo scrivendo, lo perdo e non so dove cercarlo.
Mio padre era un barbone con famiglia. Non era un animale da salotto, non l’ho mai visto in pantofole. Era strano perfino quando si toglieva il grembiule da oste, sembrava che si sentisse nudo. Non ci teneva ai vestiti, il suo vestito era il grembiule. Se lo metteva appena sveglio e se lo toglieva quando andava a dormire. Forse sto parlando di dettagli, non so se ho il coraggio di dire quello che ho detto prima. Io e mio padre non vogliamo bene a nessuno. Questo non vuole dire che siamo malvagi, è che non abbiamo un luogo dove ospitare il sentimento del voler bene, e questo luogo non ce l’abbiamo pechè siamo completamente dediti agli altri. Mio padre era un servo dei clienti, io sono servo delle persone a cui offro le mie parole. Per lui lo scambio era immediato e tangibile: cibo e poi soldi. Per me la faccenda è più complicata. Mio padre aveva la passione di guadagnare e la stessa passione la tengo pure io. Guadagnare clienti, guadagnare attenzioni. Lui non sapeva che farsene del denaro, non lo ha mai investito. E pure io non so che farmene dei miei lettori, voglio solo averli tutti per me.
Osteria del malumore sarà un libro di successo, finalmente, un libro che mentre lo scrivo già può parlare del suo successo, per la prima volta sentirò non stonata questa parola. Io sono tornato nell’osteria che non c’è più, invece della cucina tengo acceso il modem.
Mio padre non era un oste qualunque, doveva inventarsi una parola solo per lui, come io mi sono inventato la paesologia. Sul soffitto dell’ex sala da pranzo ho scritto il nome dei clienti. Ora scriverò anche la frase con cui sigillava il saluto dopo che il cliente aveva pagato: io la ringrazio per la fiducia accordatami e con questo le anticipo i più sentiti ringraziamenti. Chissà dove l’aveva sentita questa frase. Sicuramente gli sembrava qualcosa di prezioso. Mio padre non scriveva e leggeva libri, però aveva il gusto della parola, mai quello del dialogo. Gli piaceva allestirare il suo teatro, allestirlo magari anche per gli altri, ma non gli interessava la manfrina del parlarsi, non credo abbia mai avuto una discussione intima, non credo abbia mai confidato qualcosa a qualcuno. In lui tutto si svolgeva in pubblico. Per questo per me è facile stare su Facebook o scrivere queste righe in un luogo pubblico, è come fare la cucina con la porta aperta, ammazzare il coniglio che ho appena servito al cliente. Nella scrittura il dopo lo puoi mettere davanti al prima, la successione logica non sempre è necessaria.
A mia madre ho dedicato un libro di poesie, un libro sulla morte e sulla malattia. A mio padre posso dedicare un libro sul suo commercio coi clienti. Oste si nasce, diceva lui continuamente. Parlava della sua passione e mentre ne parlava te la portava nel piatto. Spero di fare la stessa cosa io con la scrittura.
Un pezzo che rispecchia fedelmente, quasi in modo imbarazzante, quello che provo anch’io nello scrivere, derivante forse da una radice comune che è la “manfrina del parlarsi”, che condivido con un padre che non legge né scrive libri ma che come me impiega molto volentieri il suo tempo a mostrare le sue parole agli altri.
Grazie
Non vedo l’ora di leggerti.