di francesco ventura
Università degli Studi di Firenze – Dipartimento di Architettura – A.A. 2013/2014
Paesologia
Seminario di approfondimento
prof. Francesco Ventura col contributo paesologico del poeta Franco Arminio
e la collaborazione dei laureandi Raffaella Fucile e Fabio Semeraro
Documento programmatico
Il senso del passato e il culto contemporaneo del patrimonio
Il seminario intende indagare e sperimentare le relazioni tra il culto contemporaneo del patrimonio, ormai globale, e la paesologia percepita, esercitata e poetata da Franco Arminio, che trae commozione dalla geografia dell’Italia interna, dove giacciono gli antichi paesi desolati e arresi dall’esodo massiccio dell’ultimo secolo e mezzo e dove il poeta ha continuato ad abitare e peregrinare dalla nascita.
Il culto del patrimonio è l’atteggiamento che il pensiero del nostro tempo ha assunto nei confronti del mutato senso del passato. Dai Greci in poi, e con una coerenza che oggi ha raggiunto il culmine, il passato è ciò-che-non-è-più. Perciò del passato si ha manifestazione – post-visione – nel presente per mezzo di tutte quelle cose materiali e immateriali alle quali il sapere di un’epoca e la cultura di un popolo attribuiscono valore di sua traccia, testimonianza, documento.
La memoria di tutto ciò che nel passato ha prodotto tali tracce è la base dell’esperienza, da cui dipendono la formazione, il potenziamento e la trasmissione del sapere concettuale e del saper fare: scienza, tecnica e arte. Da qui il culto in senso profano della conservazione delle tracce. Si vuole che il valore di ricordo permanga nel futuro. Perciò esse finiscono per essere insieme manifestazione presente – pre-visione – anche del ciò-che-non-è-ancora.
Il culto contemporaneo del patrimonio differisce dal culto tradizionale del monumento. Il contenuto del ricordo a cui il monumento tradizionale rinviava, in quanto speciale opera dell’arte concepita con lo scopo primario di mantenere viva la memoria collettiva di un popolo, non è per lo più il passato a cui si riferisce ciò che nel nostro tempo chiamiamo “patrimonio” (in inglese eritage – nel linguaggio delle leggi italiane di tutela prevale l’espressione “beni culturali”. Sul tema generale della tutela pubblica vedi: Francesco Ventura (a cura di), Beni culturali. Giustificazione della tutela, Città Studi Edizioni 2001, in particolare il secondo capitolo, F. Ventura, “La tutela delle bellezze naturali e del paesaggio”).
Generazione e corruzione naturali. Costruzione e distruzione tecniche e artistiche. Ogni forma di produzione e mutamento del mondo sensibile, che oggi intendiamo come “storia” e come “sviluppo”, non ha nella tradizione la centralità sempre più assoluta assunta nel nostro tempo.
Prima il mito, nella sua forma di fede, poi la razionalità filosofica, nella sua forma di sapere incontrovertibile, hanno posto al di sopra del divenire una dimensione eterna della realtà che sta oltre quella sensibile. È in questa dimensione eterna, perciò divina, che sta l’unica vera potenza produttrice di ogni forma di divenire e insieme ne è la legge che lo governa. Potenza del sapere umano, capacità tecnica e arte sono subordinate ad essa. Sono semplici mezzi della potenza suprema. È a quella potenza che i saperi debbono rivolgersi e conformarsi, per poter perseguire i vari scopi terreni, individuali e sociali, secondo verità. Senza di essa l’agire in vista di fini fallisce, non è di utilità, non funziona.
In quanto immutabile, fuori del tempo, il divino è insieme un eterno passato interamente dato una volta per tutte. È questo il contenuto della memoria che il monumento tradizionale rende sensibile nella bellezza dell’opera d’arte, svolgendo la funzione di monito al popolo che in esso ha fede.
Il pensiero filosofico nasce in opposizione al mito. Vede che è semplice credenza e perciò potenza fallace. Pensa con razionale rigore l’assoluto essere opposto all’assoluto non-essere. Conferisce allo spettacolo del divenire il senso definitivo, posto come assoluta evidenza, dell’uscire e ritornare nel non-essere di tutte le cose mondane. Un senso estremo del morire, inaudito, dove ogni cosa, uomo compreso, oscilla e si dibatte in precario equilibrio tra l’essere e il niente. Quale rimedio all’angoscia che un tale senso del morire suscita, la razionalità filosofica, con rigore speculativo sconosciuto al mito, deduce una dimensione immutabile al disopra del divenire che lo produce e lo governa. In quanto immutabile, la sua conoscenza è sapere (epistème) che né uomini né dei possono mai smentire.
Ma la nascita della filosofia è insieme l’inizio di un interno processo teso a rendere coerente il suo pensiero. Il processo ha raggiunto il culmine negli ultimi due secoli, mostrando la completa incompatibilità tra l’evidenza del divenire, come uscire e ritornare nel niente, e la dimensione immutabile che si vorrebbe lo dominasse. Siamo testimoni di una progressiva caduta di ogni forma di immutabile e di conseguenza di ogni forma di sapere incontrovertibile e deterministico, così come del tramonto delle grandi fedi religiose tradizionali. Si può considerare il pensiero di Leopardi come anticipatore (seguito da molti altri, ma da pochi ai massimi livelli speculativi, tra questi Nietzsche e Gentile) della inevitabile, necessaria opera di demolizione degli immutabili. L’intera realtà è il divenire. Il divenire è la realtà. Non ci sono altre dimensioni oltre il nascere dal niente e il ritornare nel niente, oltre la contingenza: l’oscillare, il dibattersi tra l’essere e il suo assoluto opposto il non-essere.
La speculazione filosofica è poco accessibile a molti. Ma questo non implica che sia separata dalla pratica della vita quotidiana. Il pensiero greco è eminentemente pratico, produttivo. Concepisce l’intero modo come prodotto. L’agire in vista di fini del nostro tempo, ormai nel mondo intero, è interamente condizionato dal culmine raggiunto dal pensiero filosofico.
La conseguenza del tramonto degli immutabili che si sta facendo sempre più sentire come tendenza fondamentale del nostro tempo (vedi Emanuele Severino, Il destino della tecnica, Rizzoli 1998 e Tecnica e architettura, Raffaello Cortina Editore 2003) è la crescita illimitata della potenza tecnica, progressivamente capace di realizzare qualsiasi scopo. E ciò a misura che il pensiero filosofico la va liberando da ogni forma di principio e fine supremo ed eterno, che ne limitava la potenza. (Il parallelo Seminario, La Morte dell’arte, illuminerà la questione in modo più profondo e determinato. Per chi fosse interessato, esso è aperto anche ai non iscritti).
Qui è sufficiente rilevare, che nel nostro tempo il passato è solo quello che il divenire produce facendo uscire e ritornare nel niente tutte le cose: dal ciò-che-non-è ancora al ciò-che-non-è più. (Ai fini del Seminario lasciamo sullo sfondo il problema che anche in questo senso, ossia come prodotto del divenire, il passato conserva dimensioni immutabili incompatibili col divenire stesso. I termini del problema, per chi volesse approfondire, si possono leggere in Emanuele Lago, La volontà di potenza e il passato. Nietzsche e Gentile, Bompiani 2005). L’attuale problematicità del senso del passato si riflette sui dibattiti, le polemiche, gli scontri che sempre emergono tra innovare e conservare, e all’interno stesso dei differenti scopi di conservazione e di innovazione, così frequenti nell’architettura e nell’urbanistica. Nessuna posizione può trovare un fondamento tale da porsi al di sopra delle posizioni avverse.
La conseguenza pratica del senso del passato come prodotto del divenire è che ogni cosa presente, materiale e immateriale, è in potenza un “monumento”: traccia mnemonica del ciò-che-non-è più, documento degli stadi di sviluppo storico delle fedi, dei saperi, delle arti e delle tecniche (vedi su questo quanto scrive, agli inizi del Novecento, Alois Riegl, Il culto moderno dei monumenti. Il suo carattere i suoi inizi, Nuova Alfa Editoriale, 1990, tra i primi a indagare sul tema).
Su questo senso del passato poggia ciò che oggi propongo di chiamare “culto contemporaneo del patrimonio” e il suo estendersi senza più limiti di principio: dalla singola opera, alle città, al territorio, al paesaggio, all’ambiente, alle più varie testimonianze delle culture tradizionali. Di qui il diramarsi di sempre più numerose specializzazioni volte alla tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio: dalle scienze storiche e archeologiche, da quelle giuridiche, economiche e politiche, dall’ecologia applicata al territorio, dalle più diverse tecniche del recupero e del restauro, dalla progettazione architettonica alla pianificazione Urbanistica (vedi Francesco Ventura, Il monumento tra identità e rassicurazione, in G. Amendola (a cura di), Insicuri e contenti. Ansie e paure nelle città italiane, Liguori editore 2011; e La tutela e il recupero dei centri storici, in L. Gaeta, U. Janin Rivolin, L. Mazza, (a cura di) Governo del territorio e pianificazione spaziale, Città Studi Edizioni 2013) .
L’approccio paesologico
Il Seminario intende focalizzare l’attenzione su quel particolare patrimonio, in gran parte ancora in potenza, costituito dai paesi. Intende contaminare le discipline dell’architettura e dell’urbanistica con quella non-disciplina che è la paesologia (ne propongo una prima interpretazione nel testo allegato: Ipocondria paesologia poesia politica, già pubblicato sul blog della paesologia http://comunitaprovvisorie.wordpress.com/).
Si tratta di compiere esercizi di paesologia nel senso espresso da queste parole del poeta Arminio:
«Uscire di casa per leggere il mondo, tornare a casa per scriverlo col mezzo espressivo e la tecnica a ciascuno più congeniali (parole, disegni, fotografie, video…). La scuola di paesologia è rivolta alle persone più percettive. Nel mondo dominato dall’attualità, nelle macerie della modernità e dell’autismo corale, la scuola propone un semplice esercizio per restituire attenzione alle cose usuali, alle cose qualsiasi che nessuno guarda più.
È un’esperienza per chi ama osservare il mondo, piuttosto che giudicarlo: osservare i luoghi e i modi di abitarli senza ansie di denunce o compiacimento.
Scrivere con la luce che c’è fuori e con il buio che abbiamo dentro. Esercizi per riattivare la percezione: l’idea guida è che dove si pensa che non ci sia niente in realtà c’è sempre qualcosa.
Il contenuto della scuola è composto dalle meraviglie del mondo esterno, scoprire come ci si sente in un paese sapendo che ogni paese è diverso da tutti gli altri, scoprire che il nostro corpo è un estraneo, servire la poesia piuttosto che servirsene, sentire che la vita non è tensione verso un fine contingente, ma tempo che passa e ci chiama a ritrovarci assieme ad altri gioiosamente, pur sapendo che ognuno è dentro un suo esilio implacabile e ogni lietezza è provvisoria. Un esilio che diventa meno pungente se teniamo lo sguardo basso, attaccato ai dettagli. La postura del cane è una postura rivoluzionaria, perché lasciandoci attraversare il corpo decentriamo noi stessi e diamo spazio e gloria alla lingua e al mondo esterno».
Costituisce preparazione ai viaggi nei paesi la lettura delle seguenti opere di Arminio: Viaggio nel cratere (Sironi editore) Vento forte tra Lacedonia e Candela (Laterza editore), Terracarne (Mondadori editore), Geografia commossa dell’Italia interna, Bruno Mondadori editore).
Inoltre, sotto la guida dei laureandi Raffaella Fucile e Fabio Semeraro, i partecipanti al seminario dovranno compiere una ricognizione di casi di studio.
Gli esercizi paesologici, gli studi, le osservazioni e rilevazioni le compiremo in quattro diversi luoghi, costituenti altrettanti temi specifici.
1. Postignano
Si trova nel Comune di Sellano (PG) – http://www.borgodipostignano.com/. Il tema è il restauro di borghi abbandonati per residenze turistiche e connesse attività culturali. La destinazione turistica del patrimonio è quella finora prevalente. Perciò anche quando il culto ha incominciato a rivolgersi alle vestigia degli antichi paesi si è pensato per lo più di progettarne un riuso per soggiorni temporanei, sia nella forma del cosiddetto “albergo diffuso”, sia in quella di seconde case in proprietà singola o collettiva. Il caso di Postignano è particolarmente interessante, perché il soggetto promotore, che ha investito i capitali nell’impresa, è una società che unisce capacità imprenditoriali e specifiche capacità tecniche nella pianificazione del recupero urbano e nella progettazione e realizzazione del restauro architettonico.
Gli architetti Gennaro Matacena e Matteo Scaramella sono tra i principali protagonisti e daranno il loro contributo allo studio di questa esperienza. La progettazione e realizzazione del recupero è durata venti anni. Il Borgo Castello di Postignano è stato inaugurato nel 2011. Da allora la società sta procedendo alla vendita degli alloggi. È apparso subito necessario accompagnare la campagna di vendita con la promozione di eventi e la valorizzazione del patrimonio culturale del luogo, nonché l’insediamento di attività di servizio permanenti o semipermanenti. Il caso dà modo di studiare una buona pratica imprenditoriale, non finalizzata prioritariamente al profitto, strettamente unita a una finalità culturale e a un impegno tecnico di qualità. Siamo cioè di fronte a un esempio di best practice.
Ma sarà ancor più interessante scoprire e valutare le difficoltà che gli operatori hanno incontrato e i limiti alla riproposizione in altri luoghi e contesti di simili progetti. È evidente che non si può estendere all’insieme del vasto patrimonio dei paesi, tra loro notevolmente differenti, interventi come questi. Dal punto di vista puramente economico, basti solo pensare che si avrebbe un eccesso di offerta rispetto alla domanda di seconde case turistiche in luoghi così particolari e che ancora non godono di alta visibilità e rilievo nel culto del patrimonio.
Il Seminario dovrà avere la lungimiranza di guardare oltre l’attuale cultura e le attuali pratiche turistiche, tenendo in conto gli effetti collaterali indesiderati ai fini stessi della tutela del patrimonio che il turismo porta con sé. Dovrà avere la lungimiranza di pensare a una progettualità che vada oltre quella circoscritta all’opera edilizia propria della cultura architettonica. L’approccio paesologico è in grado di favorire queste aperture culturali, mostrando nuove prospettive, sollecitando la creatività dei partecipanti.
2. Capri
Il tema è la località turistica elitaria, e tendenzialmente di lusso, da lungo tempo celebrata dal – e consolidata nel – culto del patrimonio. Ma i cui valori perciò stesso sono più a rischio e già oggetto di aggressioni, scempi e sfruttamenti impropri di varia natura. Lo si può assumere come un caso esemplare, in grado tra l’altro di mostrare che il “nemico” del culto del patrimonio, ossia della volontà di valorizzazione mnemonica delle vestigia del passato, si annida anche nel culto stesso.
La notorietà dell’Isola di Capri è antica e ricca la sua storia. Una rilevante azione di promozione culturale nel solco del culto contemporaneo del patrimonio si è avuta nei primi del Novecento ad opera della famiglia Cerio. Ignazio, appassionato di preistoria e di scienze naturali, proveniente dall’Abruzzo, si stabilì definitivamente nell’Isola, profondamente amata, come medico condotto dal 1868. Il figlio, Edwin Cerio, ingegnere e scrittore, divenne sindaco di Capri nel 1920. Si dedicò all’isola attraverso le attività promosse con il Centro Caprense “Ignazio Cerio” a cui la cognata Mabel Norman, pittrice americana del Rhode Island, donò la sede attuale ed i mezzi per renderlo operante (http://centrocaprense.org/). Sotto la sua amministrazione il Comune di Capri è stato forse il primo a inserire nel regolamento edilizio norme di tutela del paesaggio. Nel 1922 promosse uno dei primi convegni sulla tutela paesaggistica, in concomitanza con l’approvazione della prima legge in materia. Gli atti del convegno sono particolarmente interessanti (Il convegno del paesaggio, ristampa: Edizioni La Conchiglia 1993 – Disponiamo di una copia in pdf resa disponibile dalla dottoressa Carmelina Fiorentino bibliotecaria della Fondazione Cerio).
Avvalendosi del contributo e della collaborazione attive della Fondazione Cerio compiremo una visita a Capri: Palazzo Cerio, un percorso dedicato al paesaggio urbano e naturalistico e quel che resta di quello contadino, nonché casi di aggressioni al patrimonio e di pericoli incombenti.
3. Castel Volturno e Litorale Domizio
Il tema è l’urbanizzazione informale e illimitata, che è andata inglobando, sfigurando e in gran parte cancellando un’ampia varietà di vestigia architettoniche, urbane, del paesaggio agrario e ambientale, soprattutto negli ultimi sessant’anni. La Campania è per molti versi una regione straordinaria, perché vi si trovano compendiate le geografie più significative e contrastanti del nostro tempo: patrimoni archeologici, storici e naturalistici tra i più preziosi e suggestivi; grandi, estesi e densi agglomerati urbani; e nell’interno appenninico il ricco e molteplice patrimonio dei paesi e del loro peculiare paesaggio.
È un tema che meriterebbe un seminario apposito, dunque non potremo approfondirlo. La visita a questi luoghi avrà solo valore di confronto e di documentazione impressionistica. Ci avvarremo del gentile contributo del fotografo Giovanni Izzo, che con al sua opera ne ha tratto immagini di intensa drammaticità (vedi: http://www.izzofotografia.com/ ). Ed è anche questa una lezione di osservazione, interpretazione e rappresentazione della realtà del nostro tempo.
4. Romagnano al Monte e Salvitelle
Il tema è quello centrale, più propriamente paesologico. Sono due paesi in provincia di Salerno al confine con la Lucania. Nel primo rimangono ancora 400 abitanti anagrafici e 600 nell’altro. Giacciono su crinali che si guardano, separati da una vallata di notevole valore paesaggistico, dove confluisco due fiumare: Bianco e Melandro. Disastrati dal terremoto del 1980, hanno avuto due differenti ricostruzioni. Salvitelle è stato ricostruito e riparato in sito. Romagnano al Monte scelse, invece, di abbandonare totalmente il vecchio abitato per ricostruirne uno ex-nuovo a pochi chilometri sul medesimo crinale. In entrambi l’esodo degli abitanti è continuato e perciò buona parte della case nuove e restaurate sono vuote.
All’epoca dei piani di ricostruzione sembrava più consono alla tutela, alla valorizzazione e al riuso del patrimonio architettonico e urbano la ricostruzione e il restauro in sito. Ma dopo trent’anni di ulteriore esodo, e constatata la discutibile qualità delle opere di ricostruzione, quell’indirizzo culturale va ripensato. L’abbandono non permette di affermare che quel riuso, che sembrava consono alla tutela, ci sia stato. Siamo di fronte piuttosto a un disuso, con conseguente prevedibile rapido deterioramento delle opere nuove. Queste opere hanno qualità media non esaltante quando non pessima. Hanno avuto l’unico effetto, soprattutto dove la ricostruzione è avvenuta in sito, di alterare e talvolta stravolgere e cancellare vestigia che oggi sarebbero preziose testimonianze.
Il vecchio paese abbandonato di Romagnano al Monte, divenuto di proprietà comunale, è forse una delle più straordinarie vestigia di paese lasciate dalla ricostruzione seguita a quel terribile terremoto. L’integrità del complesso urbano e della maggior parte degli edifici è eccezionale. La posizione nel paesaggio, su uno sperone di roccia a strapiombo su di una stretta e profonda gola, ne fanno un luogo unico e magico. È un esempio notevole di quel valore di rovina, che è uno dei tratti più significativi del culto contemporaneo del patrimonio.
Il Seminario è così posto di fronte e due diversissimi e complessi temi paesologici sul passato, sul presente e sul futuro di un paese. L’intento è impegnarsi in loco in un workshop. Il lavoro di base dovrà essere innanzitutto di osservazione, rilevazione e documentazione, un vero esercizio paesologico. E per singoli o gruppi un lavoro di progettazione di idee, di eventi, di attività, di possibili usi o non-usi futuri ed eventualmente di opere in dialogo con la realtà sociale, culturale e amministrativa locale.
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