Mattinata a Lacedonia

Sono qui in una mattina di metà dicembre soprattutto con l’idea di fare delle fotografie. Ho una lieve eccitazione. Mi sento come un cacciatore che inizia la sua battuta a caccia della desolazione, dello sfinimento.  E questo è un luogo ideale. Non bisogna fare molta strada. Il paese è raccolto. Qui c’è ancora una piazza dove passano tutti. La forma urbanistica è la stessa che c’era prima del terremoto. La prima cosa che avvisto è proprio un manifesto dove si parla del problema della ricostruzione. È incredibile che qui, dove il terremoto ha fatto pochissimi danni, dopo ventisette anni venga dedicato all’argomento ancora tanto spazio. Trascrivo  integralmente il testo e vado avanti rinfrancato come se avessi subito colpito la prima bestia. Arrivo in piazza da corso Matteotti. Mi appunto che vi stanno parcheggiate quattro macchine: una Mercedes, un’Audi, due fuoristrada. Ora sono davanti a un bar. Ascolto una conversazione tra un insegnante in pensione e un altro signore che non conosco. Parlano del costo del grano e del mangime. Ho un passo insolitamente energico. Tutto quello che guardo mi sembra interessante.  Al capo opposto della piazza mi segno i nomi dei morti: Sciretta Nicola, morto in Australia, Franciosi Gerardo, ad Almese, Torino. Entro nella sede del Napoli club: in fondo alla saletta c’è Vincenzo Saponiero. È uno scapolo che ha sposato il paese ed è sempre pronto ad alimentare ogni iniziativa, ma sono iniziative di cui ci si accorge quando persone come queste passano a miglior vita. In un momento in cui ognuno è accanito a seguire vicende strettamente private, appare quasi un’anomalia il comportamento di chi si occupa della propria comunità.

Vado a fare qualche fotografia nei vicoli. Ogni tanto spunta un’anziana donna e puntualmente la inquadro nel mio obiettivo. La piazza non è mai lontana e quando sono stanco della desolazione periferica vado a cogliere quella centrale.

Donne con buste bianche vanno e vengono, sempre una alla volta, ciascuna seguendo una traiettoria che è la stessa di ogni giorno. Intuisco la forma della panella di pane, il rosso sbiadito dei mandarini. Sono qui per guardare e basta e quando incontro un professore che so molto loquace ho un attimo di disappunto. In realtà il professore mi dice cose assai interessanti. Il guaio è che io sono stanco di sentire gli irpini che parlano, sono stanco di tutte le parole, anche delle mie. Forse per questo ho appena finito un video sui paesi irpini in cui non ho messo neppure una parola. Ultimamente parlare mi fa anche venire il mal di testa.

Il professore mi ha consigliato di andare a visitare un cantiere dove a suo parere è in costruzione un’opera inutile. Siamo in zona Por Campania, 2000-2006, misura 5.1, basterebbe questa sigla per capire che forse si tratta della solita appalteria per frusciarsi un po’ di pubblico denaro. L’indicazione dell’opera dice tutto: lavori di ristrutturazione per la realizzazione di una vetrina del distretto industriale di Calitri. Prezzo: quasi novecentomila euro. Dunque, qui si sta realizzando una vetrina di un palazzo che non esiste.

Torno in piazza e trovo un manifesto funebre appena affisso: Petito Pasquale è morto a Bra, provincia di Cuneo.

Vado vicino al vecchio istituto magistrale. C’è un signore che è uscito davanti alla porta a prendere un poco d’aria. Gli chiedo quanti sono adesso gli studenti: una cinquantina, mi risponde. E subito dopo attacca una filippica contro gli insegnanti che non avrebbero neppure la forza di fare i figli.

Questo istituto ha diplomato un numero impressionante di maestri. Molti hanno continuato diventando presidi o professori o anche medici o avvocati, ma specialmente professori di educazione fisica. Un paese di quattromila abitanti ha sfornato duecento professori di educazione fisica. La prestanza fisica dei lacedoni è evidente. Basta guardarli, sono più alti della media della popolazione meridionale. Questo è un pezzo di Dalmazia trapiantato in Irpinia. E non c’è solo l’altezza. Il modo di parlare, i tratti dei volti: qui non ci sono dolcezze. Tutto è aspro, irsuto. Lacedonia è insieme a Bisaccia il cuore dell’Irpinia d’Oriente. Qui se parli con qualcuno senti sempre un umore vagamente filosofico, come se la vita fosse accompagnata da continui pensamenti e ripensamenti. Più che nella terra del rimorso, siamo nella terra della recriminazione. La Campania napoletana è lontanissima, nonostante il club di Saponiero.  Questo non è un posto per spiriti contemplativi. C’è un’indole bellica che si manifesta anche nelle più vacue discussioni. Non ci sono più i guerrieri che contrastarono i romani in una sanguinosa battaglia. Non ci sono più le lotte dei braccianti per la terra, ma non si può dire che questo sia un popolo fiacco, illanguidito. Qui non si spara con le pistole. Qui la polvere da sparo è nella gola.

Incontro il sindaco e mi fa cenno dei progetti per dare lavoro ai giovani, ma un altro interlocutore subito gli ricorda qualche piccola inadempienza di poco conto. Il paese come focolaio della maldicenza celebra ancora i suoi fasti. Tutti sanno tutto di tutti, ma a patto che siano notizie negative. Un paese di insegnanti tristi e agricoltori scontenti, questo è Lacedonia. Cattedre e trattori, cose che non si mischiano e formano una vita sociale dal gusto acido. Si esce, ci si incontra, ma lo si fa solo per demoralizzarsi l’uno con l’altro. La vita sociale come una Caporetto a oltranza.

Entro in un bar. La barista ha messo tra le mani di sua madre un bicchiere di carta con due dita di latte e caffè. L’anziana donna ha novantacinque anni ed è nervosa perché la figlia non vuole che lei vada ancora in campagna. Faccio la mia foto, potrei restare un po’ al caldo a parlare con loro, ma sfuggo anche a questa conversazione. Oggi mi suona tutto un po’ falso, le parole che dico e quelle che ascolto. Mi piacciono le persone che trovo per strada, mi piace osservarle da lontano. Guardare un’andatura, lasciare che ci passi accanto ignorandoci, un po’ come accade ai cani.

Prima di andarmene mi faccio un paio di giri in macchina, quasi come se volessi aggiungere distanza alla distanza. Ogni tanto apro il finestrino e scatto, un po’ come si fa allo zoo safari. Ho appena scattato una foto a uno che sta in piazza con il casco in testa (poco prima gli avevo scattato un’altra foto mentre parcheggiava la sua motocicletta). Considerando l’età avanzata del soggetto mi pare un bel gesto di anticonformismo, ma la scena può anche essere interpretata come segno ulteriore della Caporetto di cui parlavo prima.

Quando venivo a scuola, verso la fine degli anni settanta, era il miglior periodo di questa terra e non lo sapevo. C’era qualcosa di vivo che serpeggiava in mezzo alle giornate. Non avrei immaginato, trent’anni dopo di aggirarmi ancora in questi luoghi, tra le stesse pietre, le stesse strade. A Lacedonia si vive nel ricordo di un passato in cui c’erano tanti uffici e adesso non c’è neppure un negozio di Scarpe. A me questo non dispiace. Sono venuto qui proprio per le cose che non ci sono. In fondo le delusioni, le mancanze, sono le stampelle a cui si sorregge la mia scrittura.

Tornando a casa penso a quel che posso scrivere di questa mia mattinata. Guardo le foto: quella del signore col cappotto chiaro mi pare bellissima. Penso al dispiacere con cui il volenteroso Sindaco leggerà le mie righe: Arminio e il suo solito pessimismo che non gli fa vedere le cose belle. Allora posso solo confessare che io non vedo quello che c’è, ma inseguo le mie visioni. Le vecchie con le buste in mano esistono solo nella mia fantasia malata. Perfino questi paesi esistono solo nella mia testa. A Lacedonia c’erano bravissimi giocatori di calcio. E sono nati bravissimi musicisti come Pasquale Innarella, ma suonano altrove. Se mi sforzassi potrei sicuramente trovare altre note positive, ma io non sono un suonatore.

 

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

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