metto qui un vecchio testo di un libretto che forse uscirà quest’anno. il titolo dovrebbe essere: la poesia nell’era della posta elettronica.
**
la poesia apparente
la poesia non ha mai interessato molte persone. ma adesso è chiaro che interessa pochissimo persino quelli che pensano di farla o di praticarla. basta dare uno sguardo agli innumerevoli autori che circolano nella rete. è evidente che si pratica la poesia in una sorta di anestesia dalla poesia stessa. come se oggi l’unica maniera di essere poeti fosse quella di tenersi lontani dalla vertigine che sempre procura il vero esercizio poetico. la circolazione delle poesie in rete o via mail in realtà è molto pericolosa. uno ha la sensazione di raggiungere più velocemente gli altri, di emozionarli col proprio dolore e invece non succede niente. giusto uno sguardo ai tuoi testi e via, perché molti sono impegnati a mostrare i loro.
la poesia al tempo dell’autismo corale è destinata a circolare senza suscitare domande. addirittura può capitare di mandare in giro una radiografia che attesta un tumore e la cosa viene scambiata per un semplice biglietto da visita a cui si risponde con un altro biglietto da visita.
perfino tra i nostri più acclarati ammiratori si nascondono persone che nulla sanno di noi e dei nostri affanni. pensano di ammirarci perché pensano che siamo ammirati da altri: puro conformismo. sarà sempre meglio di quelli che ci ignorano o ci disprezzano, ma il risultato è lo stesso: l’interrogazione contenuta nella nostra poesia non riceve risposta.
forse è sempre stato così: la risposta alla poesia arriva quando il poeta non c’è più. si può dire che la poesia è destinata a cadere nel mondo quando chi la scrive è già salito in cielo e siede alla destra del nulla che chiamiamo dio. e allora questa circolazione apparente della poesia in rete può solo dare ai poeti l’illusione di esserci, di essere immediatamente avvistati, accolti. in realtà la poesia non è mai stata tanto respinta, tanto ignorata, tanto disprezzata. i blog letterari a volte mi appaiono come una sorta di lager in cui il poeta è il deportato volontario che mostra la sua ciotola vuota e il lettore di passaggio è l’aguzzino che dovrebbe riempirla con il cibo di un commento. ovviamente non c’è soluzione per il semplice motivo che non si può proporre un disarmo unilaterale a quei poeti che poeti non sono. tutti scrivono, per i motivi più vari, compreso quello di non leggere. e la poesia vera ha un batticuore e una fosforescenza che non sempre raggiunge chi sarebbe disponibile ad accoglierli in questa selva di falsi scrittori che ostacolano l’incontro tra il vero poeta e il vero lettore. il vero poeta soffre e il vero lettore è ignaro di ciò che gli è sottratto e si aggira avvilito tra surrogati di poesia.
lucida e profonda. avanti così. ancora più lucidità e profondità, fino in fondo