DA SALERNO AL GARIGLIANO

metto qui un mio pezzo uscito questa estate sull’inserto letterario del corriere della sera. credo che il reportage in versi sia la cosa più difficile per uno che scrive. e forse non è facile neppure per i lettori. lo ripropongo qui per i miei ormai moltissimi lettori. l’altro ieri ho trovato un dottore in un piccolo borgo cilentano che aveva letto e apprezzato circo dell’ipocondria.

 

Andiamo in giro ovunque

ma non è chiaro

se esiste ancora il mondo.

Nei luoghi più ricchi, più civili

un senso di stanchezza

e di muffa ben confezionata.

Allora bisogna scendere

nel Basso Occidente,

nei luoghi dove la terra

perde sangue,

e basta innaffiare un orto

perché diventi casa e pioggia nera.

È il delirio di costruire una città

sopra uno straccio e poi girarci dentro

mischiando frutteti e capannoni,

casolari e officine,

le coste dei negozi, i fiordi delle ville,

i porti delle pompe di benzina.

Da Salerno a Napoli

l’autostrada attraversa una città

che si ferma solo davanti alle montagne.

Angri, Scafati, Nocera e Pagani

arresi bruciano nel giorno estivo,

ognuno è vicino alla sua polvere,

ovunque puoi vedere

che si è persa la faticosa dolcezza

della campagna.

L’agro nocerino-sarnese

è un immenso campo di crisantemi

in cemento armato.

Nocera superiore:

case e centri commerciali,

cantieri, ponti, viadotti, officine, 

tutto sparpagliato e incollato dalle mani di un cieco.

Angri e oltre:

lettiera per cavalli,

anziano seduto accanto alle sue stampelle

che si gode il traffico e i suoi dolori,

casa ecocompatibile,

l’outlet dell’elettrodomestico,

lavatrici sui marciapiedi,

il parcheggio Tre monelli,

si prenotano carciofi arrostiti,

Outlet pastore,

Caffetteria Gesù bambino:

sala interna-rosticceria-pasticceria.

Pagani: la statale, l’autostrada e la ferrovia

attraversano il paese,

si vive in una sorta di tapis roulant,

un movimento frenetico che non fa nascere

l’idea di fuggire.

Appena si forma un buco

subito arriva un’auto a colmarlo.

Torre del Greco, Portici, Ercolano,

incauti nei metalli delle auto

i topi affaccendati nell’andare,

nel tentativo folle di gremire

le zolle ancora calde della lava.

Mariconda (frazione di Pompei):

La pizza del poeta,

Panuozzo più due bottiglie d’acqua: 4 euro,

Macelleria Al vero vitello.

Gragnano:

Studio fotografico Fotoromanzo,

Università della pasta,

Pizzeria Strapizzami,

Parrucchiere Idee per la testa,

Show Room Infissi.

Napoli è foderata nel rumore,

dentro c’è ancora qualcosa,

da fuori è un purgatorio di palazzi,

una teca di lampi orizzontali.

Se prosegui sul rigo della costa

non c’è speranza di trovare

il vuoto, la gialla solitudine

lucana. Sto passando dentro

il vicolo cieco del fervore:

Arzano, Acerra, Afragola.

La Campania delle pianure

accoglie una fittissima maglia di rumori,

una perenne apocalisse sonora

da cui sono esenti solo i morti dentro i cimiteri.

Prima ogni posto aveva un suo respiro

e per vederlo salivi le scale,

ogni luogo era una stanza intima,

lingua cupa, mandibola

feroce. Ora in giro c’è un’aria

di sconfitta, un rosario di facce

innervosite da una smania senza fondo.

A Marigliano

le strade sono molto dissestate:

miserie pubbliche e ricchezze private.

È un susseguirsi di cancelli,

cancelli dei parchi, cancelli delle case.

Nessuno si fida più di nessuno.

Afragola, perfettamente congiunta

con Casoria e Cardito, è in mezzo a una selva

di paesi giganti

che insieme fanno ottocentomila abitanti.

I paesi hanno due malattie.

Quelli più piccoli una malattia anginosa,

con le vene che si restringono e poi si chiudono.

Quelli più grandi una malattia da dilatazione,

come se fossero dissanguati da un aneurisma squarciato.

Il cuore nero dell’Occidente è qui sull’Asse Mediano

dove i cumuli di spazzatura impediscono

le fermate nelle aree di emergenza.

Ho una lieve e inspiegabile euforia,

come se il disordine e l’incuria

tonificassero la mia anima.

Non so se sono a Casalnuovo,

comunque noto un’enorme quantità

di istituti scolastici paritari

e molti centri estetici di lusso.

A Casoria

la piazza è una distesa di Suv

con i vetri oscurati,

parcheggiati in doppia e in tripla fila.

Caivano ti accoglie

con una serie di palazzine popolari

dipinte in verde pisello.

Guardo cose che si possono vedere

ovunque: un cane che dorme

e un bambino col telefonino.

Gli esercizi commerciali più importanti

sono in periferia,

in modo da servire più paesi.

Casavatore

è un luogo sfilacciato, desolante,

una teoria di case dimesse o mal costruite.

Poi palazzi a più piani e i soliti negozi,

parrucchieri, alimentari, abiti e motori.

Le insegne dicono che è già Caserta,

in queste chiese aperte

sul catrame, il traffico

è un dialetto universale

che affida il suo implacabile

ronzio

alle pietre tostate dell’asfalto.

Se noi aprissimo i tendini ad ognuno,

se andassimo a spiare

dietro lo sterno, avremmo un senso

di giornate guaste,

di anime parlanti senza tregua

le anime degli altri e di noi stessi,

noi che non sappiamo annodarci

a niente e ci spartiamo

questa evanescenza

perché il volere appartiene

ai più furbi,

gli innocenti indugiano, si astengono.

Caserta

sensazione di una città senza radici,

un allegato alla reggia,

invaso da negozi e macchinoni.

All’uscita di Caserta sud

file interminabili di camion.

Un tir davanti a me inizia a suonare

all’impazzata, un altro trasporta i Tic Tac,

un intero camion pieno di caramelle

alla menta: impressionante.

Sembra di stare su una pista da gioco per bambini,

con le sue curve a otto.

Cartello con la scritta Interporto sud Europa,

piattaforma del continente Europa.

Ho un senso di fastidio.

L’Europa che vedo è una giostra di camion.

Su questa giostra ci sto anche io.

Sono in macchina, avanzo su una strada

leggermente rialzata che taglia l’esteso

ematoma urbanistico di Aversa.

Vedo un’infinità di tegole e pochissimi alberi.

Appena c’è un po’ di verde è sempre circondato

da grandi muri di cemento,

già pronto per essere lottizzato,

già predestinato alla scomparsa.

In questi territori è avvenuta una battaglia

tra il pieno e il vuoto e ha vinto il pieno,

un pieno fatto di automobili e di tutto quello

che ruota intorno alle automobili.

A Santa Maria un piccione bianco,

due cani che dormono,

una pietra a forma di fallo.

Una strana scritta su un muro:

comunisti = camorra,

la pubblicità di un centro commerciale

che promette il risveglio dei sensi.

uno spazio di scivoli e altalene

presentato come parco per i diritti dei bambini.

Vago sulla Nola-Villa Literno,

è un lungo giorno senza miraggi,

guardo le cose e non le porto dentro,

le lascio sparpagliate

dove sono: tre vecchi incollati davanti

a un bar, una signora con la cipria

negli occhi. Intanto ho già contato

cinque gatti straziati 

sulla strada,

c’è sempre un frettoloso che li uccide.

Gli abitanti riescono a sopportare

il peso di questi luoghi

con un naturale disincanto

che li fa partecipare a questo perenne

carnevale del caos

senza prendersi troppo sul serio.

È come se avessero capito l’imbroglio

che sta sotto la cosiddetta vita sociale moderna.

È il fondo filosofico

di questa gente, una sorta di renitenza

alla leva del progresso:

se ne accettano gli arredi, le merci,

si resta con un cuore adolescente,

pronto allo spreco più che all’efficienza.

Non ho schiodato i polsi

dal volante, non ho nessuno che mi fa

domande e mi faccio una strana

compagnia senza pensare

neppure alla morte.

Giugliano:

c’è più gente qui che in tutti i paesi

della provincia di Campobasso

e basterebbe questo per dire dello squilibrio folle

tra il Sud dei monti e quello delle pianure.

Tutto è dedicato

a nostra signora automobile:

rivendite lussuose e di seconda mano,

carrozzerie, officine, scuole guida,

assicurazioni, gommisti, pompe di benzina.

Un negozio vende solo parabrezza,

un altro solo copri cerchioni.

L’altro fuoco dei commerci è la famiglia:

i negozi di bomboniere e di mobili,

le vetrine con gli abiti da sposa,

i ristoranti per le nozze, per le cresime e i battesimi.

Gricignano, Sant’Antimo, Succivo

li ho visti altre volte insieme

a Grazzanise. Ora arrivo estenuato

non so come a un piccolo paese

che ha due nomi, Cancello e Arnone,

cerco il mare e ancora non lo trovo.

Ogni paese in verità è un mistero,

un soffio della vita diverso in ogni luogo.

Ogni paese sarebbe da vedere come una nicchia,

un affresco, un santuario della geografia.

Ecco Castelvolturno,

qui l’Occidente si è carbonizzato,

aria africana, insegne

smisurate, la parola caseificio

come un mantra.

Provo un sentimento di clemenza

per le cose che ho visto,

per i luoghi che ho visitato.

Tutto mi appare perso e irrecuperabile.

Forse da questa idea nasce la consolazione

che non c’è spazio per ferire ancora

un territorio martoriato, e che, d’ora in poi,

magari per errore, i suoi abitanti

saranno costretti a imboccare vie più virtuose

Ecco il villaggio Coppola,

dove il sogno del turismo

ha generato una foresta di rovine.

In tutta questa zona puoi vedere

l’impero romano alla rovescia:

tutto quello che fu gloria

e conquista, adesso è fallimento

grattugiato sulle spalle di chi resta.

Mi fermo per il solito panino,

lo mangio mentre arrivo a Mondragone.

Ora il disordine è meno perentorio,

posso avanzare verso il Garigliano.

Cerco la centrale nucleare,

l’epicentro del guasto e degli errori.

Il pericolo se c’è non si vede,

non si capisce se credere a chi allarma

o a chi rassicura, nel dubbio stacco

dal ramo un’albicocca,

il mio spavento è per il prossimo minuto

per il gomitolo di vene nella testa

per il cuore che non sa darsi pace.

Comunque nella zona non si vede

il disordine e lo scompiglio

di cui mi avevano parlato

e quando cautamente

arrivo al mare

la spiaggia mi pare vuota e felice,

vedo una famiglia che gioca

a bocce, due ragazze che con aria stupida

mi dicono di non fotografare:

certe persone sono le spie

le spine di un paesaggio rotto.

Il Garigliano è la boa del mio viaggio,

posso tornare indietro

a ripassare gli epigrammi

del caos, le lettere

delle discariche e delle puttane,

gli aforismi nei lampi dei semafori

e il racconto insulso dei palazzi.

Oggi neppure so tornare a casa,

al mio paese non c’è più mia madre

che accendeva per me candele d’ansia.

Sulle alture irpine non sento

niente, anche qui solo un mucchio

di tegole. 

Guardo la ruggine sul palo di un lampione,
gli occhi di un cane zoppo,
la busta con il pane

che una vecchia porta a spasso per il paese:
cose inutili, intimamente clamorose.

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

Una opinione su "DA SALERNO AL GARIGLIANO"

  1. si avverte senso di spaesamento tra clemenza e desolazione ed un’ansia che si scioglie nella descrizione serrata di particolari di intensità poetica.

Rispondi a Teresa Di MariaAnnulla risposta

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