di mauro orlando
La paesologia non è individualista, razionalista e progressista. Riconosce che questi aggettivi sono stati spesso utilizzati per definire la modernità tout court. Ma la modernità nella concretezza ha fatto un cattivo uso della carica ed energia teoretica e politica che la informava e si è fatta: incivile e autoritaria .E’ diventata “ideologia” che crede di poter ridurre la persona ad individuo calcolatore,consumatore e il legame sociale a contratto razionale e la storia a crescita e sviluppo “ magnifico e progressivo”. Tutta l’esperienza della postmodernità ,per non finire nel “vicolo cieco” del nihilismo assoluto e del relativismo neocinico, se non altro ha posto all’ordine del giorno :la necessità di un “ritorno alla normalità” piuttosto che a metafisiche o teologie camuffate e salvifiche. Gli stessi “epistème” filosofici, teologici e scientifici”- scrive Severino- sono stati soppiantati dall’epistème “tecnico-economico-finanziario”. Si sente l’esigenza esistenziale e conoscitiva di un modello non moderno, quasi arcaico, di socializzazione, dove il relazionale prevale sul razionale, l’affettivo sul cognitivo, il gruppo sull’individuo, l’immaginario sul calcolo, il locale sul globale. Quello che sociologi avveduti e non visionari definiscono “ l’autonomia del sociale” e dello “individuo comunitario”. Ciò significa che la società non è una pasta molle modellabile a volontà, un aleatorio assemblaggio di individui destinato a essere “messo in forma” in maniera autoritaria da uno Stato onnipotente o da un pensiero unico ,universale e necessario, in una “notte in cui tutte le vacche sono scure”. Questo modello piramidale e verticale del potere e della conoscenza ha avuto radici religiose poi teologiche, laicizzato dal giacobinismo illuminista e radicalizzato dallo Stato e dalle filosofie metafisiche unitarie e totalizzanti. Dagli anni sessanta in su si sono sviluppate, se pur in modo complesso e contraddittorie , nel cuore pulsante della società prima che nelle istituzioni rappresentative della politica:forme di eresie o di dissidenze, di fronde o di rivolte, di dubbi e sospetti, di ironia o di indifferenza. La cosiddetta società civile è stata la palestra non sempre consapevole di un rifiuto di un addomesticamento , sottomissione acritica in una sorta di secessio plebis che contrastava o rifiutava esplicitamente la stessa “massificazione” e “ i cervelli al macero” in una versione aggiornata e conclusiva della “dialettica servo-padrone”.La società stessa offre una spontanea resistenza agli aberranti e programmati diktat venuti dall’alto e impara anche a distinguere e ,in alcuni casi , contrastare le riforme come passaggi graduali di cambiamento , promulgate in suo nome. Quando viene posta di fronte a chi vuole darle ordini – l’autorità del mercato o della morale –, si mette in disparte, si ritrae o si oppone e si ribella. Oggi viviamo una sorta di indecisione tra un ritiro monastico e di isolamento nella “turris eburnea” di un individualismo autarchico , estetizzante o autistico.
Ma gli individui isolati esistono soltanto nelle teorie. Spesso si rifugiano nella cattiva poesia in una sagra delle parole senza anima ….in libertà. La vita reale è un movimento permanente di attrazione e repulsione, contagio e fusione, empatia e prossemia, simbiosi e metamorfosi: l’individuo non soltanto eredita e trasmette appartenenze collettive che gli preesistono, ma si impegna a sua volta in comunità anche provvisorie che investono la vita stessa e la propria esperienza personale , concreta e contraddittoria del mondo. Un soggetto comunitario che esprime attivamente le molteplici identità che definiscono l’esuberanza e la intimità della vita sociale, la diversità del mondo e il politeismo plurale dei valori in una polisemia di linguaggi ma in una “koinè” percettiva e non razionale . Una sorta di “ombra di Dioniso”, che insidiando direttamente l’ universo razionalizzato e formale dell’apollineo , reso superficiale e asettico dalla modernità incivile e antiumanistica. Nuovi linguaggi, nuove logiche ma soprattutto nuovi valori legati e ricavati dalla terra, dalla carne e dallo spirito “naturans” non organicistico ma esistenziale col mondo naturale nello specchio del paesaggio. Recuperando e preservando la dimensione orgiastica, festiva e intempestiva del genius loci, l’antico genio dei luoghi che è anche genio dei legami solidali , comunitari, estetici (aisthesis-esperienza).Privilegiando una etica (Ethos) non ossessionata da una ragione ordinatrice e autoritaria che impone regole , identità,comportamenti ma promuove uno “stile di vita” che consente “identificazione, partecipazione, reciprocità”. Uno stile di vita articolato attorno al desiderio, al piacere non come svaccamento edonistico irresponsabile e inconsapevole…ma incentivo o occasione di socievolezza, generosità, prossimità,letizia e cortesia. Un incentivo e una occasione di cura di sé e di rapporto con gli altri più che la ricerca astratta di una “socialità” e “ memoria collettiva”, “simbologia o mito”, o “immaginario sociale”.Una esperienza di “comunità provvisorie” che si ritrovano sul gusto o piacere , sulla passione, sulla forma, sull’apparenza, sull’ammirazione. Che cercano tra tante resistenze e complicazioni di ridurre o sacrificare l’individuo al gruppo nella esperienza “estetica” delle diversità che non susciti a sua volta un’etica, cioè “una morale “ anche se “senza obblighi né sanzioni”; senza alcun altro obbligo all’infuori di quello di aggregarsi, di essere membro del corpo collettivo, senza altra sanzione all’infuori di quella di essere escluso se cessa l’interesse (inter-esse) che ci collegano al gruppo sempre diverso e sempre provvisorio. La morale è sempre universale, applicabile in ogni luogo e in ogni tempo; l’etica invece è particolare, provvisoria, talvolta momentanea; fonda una comunità e viene elaborata a partire da un determinato territorio, reale o simbolico che sia. Non ha bisogni di sacerdoti o ermeneuti né fedeli gregari o semplici spettatori o consumatori. Una esperienza individuale e comunitaria che non ha “fini e mezzi” da individuare e perseguire. Non è “ finis historiae…magistra vitae” .E’ una sorta di recupero del tempo immobile dei nostri progenitori greci. ). “In contrasto – scrive bene M. Maffessoli- con un tempo lineare e progressivo che diventa rapidamente omogeneo ed esteriore, il tempo vissuto socialmente e individualmente è quello della ripetizione, della circolarità” il gioco del mondo, o il mondo come gioco”. E fa notare che “la vita come gioco è una sorta di accettazione del mondo così com’è. Cioè anche di un mondo marchiato dal sigillo dell’effimero. È tipico del destino, non dimentichiamolo, integrare e vivere l’idea della morte imminente, dell’incompiutezza e della precarietà di chiunque e di qualunque cosa”. Purchè anche questo pensiero non si faccia “ideologia” ,”epistème salvifico” e diventa prescittiva ed eteronoma”. La paesologia è soprattutto una “scienza arresa” che non deroga l’autonomia di chi ne fa esperienza sempre diretta ed attiva. E’ inattuale , extramorale che non predilige il centro o un arrivo e privilegia le periferie, i margini, le crepe , le frane , le parole del raccoglimento, del ricordo e del silenzio solo per farle diventare centro e elementi essenziali per una esperienza diversa della vita e dell’uomo in una ricerca di “nuovo umanesimo” che non nasce da nulla ma nemmeno da un Eden perduto o da un monte Sinai da trovare e riscalare per un premio . Alla paesologia non interessano “i pensieri corti” e “gli ingessamenti” istituzionali della politica spoliticata e neanche le metamorfosi e le gerarchie del potere o dei poteri micro-macro o la “trasfigurazione del politico”,” Impolitica ,postpolitca” o “transpolitica. Le politiche incentrate su soggetti individuali e collettivi contrattuali hanno fatto il loro tempo: stiamo entrando, forse, nelle metapolitiche della specie e nelle micropolitiche delle comunità, nelle logiche fluide del caos e negli equilibri aleatori dell’ordine, e ciò attraverso tematiche trasversali che spezzano, da sole, le vecchie linee di divisione. Se le comode dicotomie logico-dialettiche , sinistra e destra, conservatori e progressisti, buoni e cattivi, belli o brutti….hanno fatto il loro tempo…….”Che i morti seppelliscano ognuno i propri morti fatti di parole, concetti e idee, divinità o sirene”.Alla paesologia interessa “la vita” e va cercarla dove è stata degradata, abbandonata, emarginata, offesa. Paesologia è saper vivere e pensare nella e oltre la modernità non con la “passione per frammenti oggetti, relitti di un passato ormai privo di contesto,rovine della storia ormai perdute per la storia…..nuovi silenzi “ e recuperare un linguaggio capace ancora di parlare di esperienze originali ed autentiche e di persone e cose con un vissuto motivazionale ed esistenziale non con la presunzione di descriverli come una cultura ,una letteratura, una poetica,una sociologia , una antropologia ,una storia ….un sapere oggettivo. Convinti che non sono “avanzi di un mondo di sogno” perduto e da ricercare ma le linee guida per “un nuovo umanesimo” delle colline appenniniche , spina dorsale e risorsa di una terra lanciata tra due mari ricchi di storie civili ed incivili.
Molto interessante questa analisi della paesologia,scandagliata nel suo aspetto storico,politico,filosofico.