Nove scrittori per L’Altra Europa

metto qui il racconto che compare nell’antologia AVVISO AI NAVIGANTI, realizzata per sostenere la lista L’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS

 

L’amico di Aliano

 

 

Mezz’ora fa mi ha chiamato il sindaco di Aliano. Me lo ha detto subito. È morto Luigi. Un infarto. Trentanove anni. Gli avevo lasciato un messaggio qualche giorno fa. Gli avevo detto che mi ero candidato. Può darsi che dopo aver perso il telefono ho registrato un numero sbagliato, mi capita spesso di copiare malamente i numeri sulla rubrica.

Luigi non lo vedevo dalla fine di agosto. Non mi ricordo l’ultima volta che l’ho sentito. Abbiamo parlato della nuova edizione di La luna e i calanchi. È difficile pensarci adesso, ma il festival della paesologia lo faremo e lo dedicheremo a lui. L’anno scorso ho letto i miei versi all’alba sulla tomba di Carlo Levi. Quest’anno ci sarà pure la sua tomba: un altro luogo di raccoglimento.

Io penso sempre alla morte e quando muore qualcuno che conosco mi sembra che la vita abbia rotto gli indugi. Tra una morte e l’altra è come se non accadesse niente. Paglia che brucia.

Luigi aveva un corpo stipato di carne. Un uomo pieno di sangue. Come se avesse il cuore in ogni parte del corpo. Non ci avevo mai pensato al fatto che potesse morire all’improvviso. Ora mi pare che fosse privo di quelle pezze bagnate che raffreddano il sangue, lo tengono al fresco. Ci sono delle persone che stanno al mondo senza ripari. Muoiono prima degli altri, muoiono perché non sanno attenuare le loro passioni, ci bruciano dentro.

Luigi amava il suo paese più di ogni cosa. Era una di quelle persone che stanno al paese anche quando non ci sono. Per lavoro si era spostato a Policoro e questo dice quanto è difficile per un paese trattenere i suoi figli migliori. Mentre scrivo guardo una tela con la sua grande faccia generosa. Dietro la sua faccia i calanchi di Aliano, il bellissimo paesaggio inoperoso dove abbiamo piantato l’ambasciata della luna.

Ora mi arriva anche la sua voce: un giorno ci parlò lungamente del pane, dei forni che dovevamo riaprire. Penso a Rocco Papaleo, a Ulderico Pesce, a Canio Loguercio, a Rocco De Rosa, ad Antonio Infantino, penso a Caterina Pontrandolfo, penso a Francesca Catarci, penso a tutti quelli che c’erano ad Aliano in quei giorni. Siamo tutti vivi, ognuno nella piega della sua vita.

Eravamo solo in cinque a parlare dell’organizzazione. Lui e il sindaco Luigi e l’ex sindaco Antonio, e poi Don Pierino che non avrebbe mai immaginato di celebrare il suo funerale. Quattro lucani e un irpino per il sogno antico e nuovo di portare nei calanchi l’Italia che crede al nuovo umanesimo delle montagne, l’Italia che vuole intrecciare la poesia e l’impegno civile. Con Luigi abbiamo parlato a lungo del sogno di trasformare Aliano da luogo dell’esilio a luogo dell’accoglienza. Ora anche lui è in esilio. Non era uno scrittore, ma mi viene di affiancarlo a Scotellaro, a Levi. E penso anche a mia madre, al suo ultimo respiro fatto di respiri piccolissimi. Per me la morte non è un male del futuro. La morte ci pedina da dietro. E sta in noi anche quando baciamo una donna, anche quando ci allacciamo le scarpe. La morte degli altri è una sorpresa più o meno terribile. È una cosa che arriva e scompare. La nostra morte è sempre presente.

In questi giorni di campagna elettorale sto pensando alla morte più del solito. Mi sembra di essere un asino su cui stanno appoggiate troppe cose, compresa la comunità paesologica di cui faceva parte anche Luigi. Ogni giorno bisognerebbe soffiare via il superfluo, stare al mondo per le lacrime e i sorrisi, per il pane e per guardare il cielo, per abbracciare e inginocchiarsi. Eccomi, sono con te caro Luigi, mi allungo con la lingua dentro l’invisibile a cui appartieni. E penso che nessuna creatura del mondo potrà più vedere la tua faccia che parlava di un Sud generoso e sapiente. C’è un’infamia implacabile nel mondo, c’è un Dio barbaro che getta i sassi dal cavalcavia.

Non possiamo ripararci in alcun modo. Non possiamo prendere il cuore e nasconderlo da qualche parte. Ci tocca bruciare ogni giorno nel nostro respiro. Quello che possiamo fare è avere memoria del respiro degli altri, della fragilità estrema che abbiamo di fronte. E allora anche nei passi più duri ci vuole un filo di clemenza. Ci vuole la gentilezza anche verso chi nasconde i suoi affanni e imbratta la nostra vita con la sua invidia, col suo rancore. Nessuno è al sicuro, nessuno merita la nostra indifferenza. Non possiamo seguire la vita di tutti e questo è un tempo che ci offre nel suo vassoio tante vite. Proprio ieri avevo scritto che “perfino la morte è un’isola alla deriva/e noi saremo i primi a morire/in un’epoca in cui è morta/ anche la morte”. L’assenza di Luigi potrebbe lasciarci facilmente perché le giornate sono sfondate e ciò che accade in un giorno sembra di un’altra epoca nel giorno successivo. Forse la vita buona è quella che resiste a questa furia inconsistente, a questo vortice che fa girare tutto senza muovere niente. Luigi si è mosso. Non è più tra noi.

FRANCO ARMINIO

 

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

Una opinione su "Nove scrittori per L’Altra Europa"

  1. LIONI, 23 Aprile 2014, ore 15:30

    Amici carissimi di Aliano e carissimi amici intervenuti,
    sono rattristato e commosso.

    Dal primo giorno che vi ho incontrato ad Aliano, lo scorso anno, vi ho custoditi nella luce della mia memoria, mi sono cibato
    del vostro sorriso, della vostra gentilezza, delle vostre pacche sulle spalle, delle vostre voci fraterne e vi sono debitore
    di slanci di vita, di tensioni volenterose che mi hanno spronato ad essere meno fragile tra i gorghi della vita che ci intristisce
    di affanni e ci nutre di speranza.

    Il mio vagare, offrendo la mia modesta poesia, mi ha portato gli odori delle vostre case, la saggezza dei vostri sguardi, e un
    persistente e struggente desiderio di rincontrarvi uno per uno da quando ci siamo lasciati a fine agosto del 2013, ma soltanto
    adesso mi rendo conto che i pensieri non bastano mai per il nostro essere nella vita perché la vita ci chiede che restino intrisi
    di sudori le nostre coscienze già attraverso una stretta di mano.

    Abbiate il mio respiro nel vostro cuore che so buono ed intelligente.

    A presto per abbracciarvi tutti forte forte, vostro Gaetano Calabrese debitore d’amore fraterno, sempre.

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