sulle sorti del sud

Una volta ad arrovellarsi sulle sorti del Sud erano menti come quelle di Rossi Doria, Zanotti Bianco, De Martino, Dorso, Compagna, Di Vittorio, Scotellaro. Ora il pensatore al culatello Farinetti. Uno che nei suoi baracconi per gourmet della domenica, ci trovi la n’dujia calabrese sigillata nella plastica trasparente come ai mercatini rionali, e al banco ti vendono una bruschetta col pomodoro al prezzo del caviale iraniano. Farinetti di recente ha proposto di trasformare tutto il Sud in un immenso villaggio turistico: “Per me nel Sud c’è una roba sola da fare: un unico Sharm El Sheik, dove ci va tutto il mondo in vacanza”.

Quella di Farinetti non è un’uscita acciarpata. E’ un segno dei tempi. Lui traffica con la sinistra slow-food, fa business-chic e tiene corsi (ridicoli) di filosofia della tentata vendita. Ma le stesse alzate d’ingegno sono state propalate tempo fa da un altro benefattore del capitalismo arraffone folgorato dall’amore peloso per il Sud come Briatore. E di recente con bella tempestività, si è unito al coro dei fanatici dell’investimento in business vacanziero, la spericolata dichiarazione programmatica del ministro della Cultura e del Turismo Dario Franceschini, che vorrebbe ricoprire di campi da golf tutto il Sud, cioè mezza Italia: “In Italia c’è un gran bisogno di campi da golf e ci sono regioni, in particolare del Mezzogiorno che, ampliando l’offerta di campi da golf, potrebbero riuscire ad attrarre il turismo straniero, che oggi non si riesce ad attirare. Penso per esempio a un turismo statunitense di un certo livello che verrebbe volentieri al Sud ma non lo fa perché non trova una rete di grandi alberghi e i campi da golf”.

Il Sud concimato dalla storia e da tre millenni di civiltà, scrigno di cultura e bellezza, trasformato in un enorme Bagno Margherita, in una steppa di campi da golf, tra ombrelloni, discoteche e pizzerie monomarca estese dal Garigliano a Marsala, in realtà alletta molti. L’Organizzazione Mondiale per il Turismo (WTO) calcola che nel settore turistico e nell’indotto lavorano oggi 240 milioni di persone nel mondo (un lavoratore su 51) e con i suoi 580 miliardi di dollari di entrate annue, il turismo è la voce principale degli scambi economici mondiali. Viaggiare per vacanze è già oggi il motore più potente della globalizzazione. In questo stesso periodo almeno 220 milioni di persone all’anno si stima stiano per fare vacanze nelle regioni del Mediterraneo. Nei prossimi dieci anni potrebbero diventare non meno di 350 milioni. Cifre che suonano come minacce di sterminio civile e come promesse di profitti colossali. La anda del monopensiero farinettano è questa: mettiamo a frutto le vocazioni nostrane. Serve flessibilità per il mercato sole/mare, altro che “chosy” schizzinosi in cerca d’autore.

E’ di “animatori” che abbiamo bisogno. Gli ingegneri? Si travestano da pulicenella. I filosofi? Suonino la zampogna? Gli archeologi? Mettano le loro cazzuole al servizio dei cantieri dei nuovi villaggi turistici. Gli studenti? Si esibiscano nella tarantella e facciano i caddy o i camerieri sulle navi da crociera, che così almeno imparano le lingue. I paesi, i centri storici, i parchi, i santuari, i musei, le aree archeologiche, Pompei, i Bronzi di Riace, Sibari? Ottimizziamo l’offerta. “Attualizziamo” tutte queste anticaglie che zavorrano il Sud, diamole in mano a Mr. Farinetti, che ne farà di sicuro una bella Disneyland Meridiana, un parco di divertimenti a tema formato king size. Attrazioni per tutti, dai ricchi oligarchi russi ai vacanzieri urbi et orbi intruppati in pullman e charter a prezzi da outlet. Inseguito da tutti come una chimera, lo “sviluppo” del turismo al Sud è in realtà un sogno sempre pronto a trasformarsi in un incubo apocalittico. Solo qualche anno fa in Calabria un magnate israeliano proprietario di una multinazionale delle vacanze si voleva appaltare, complici i politici regionali in fregola elettorale, un’area faunistica protetta alle foci del Neto, vicino Crotone. Per trasformarla in un enorme lager di cemento recintato con dentro albergoni enormi stile Costa Brava, casinò, ristoranti e discoteche, e 150.000 posti letto.

Questo abominio della speculazione a tasso agevolato, prototipo delle vacanze de-relizzate sotto il sole della Magna Graecia si sarebbe dovuto chiamare “Euro-Paradiso”. L’europaradiso per ora può attendere. Ma le mezze misure nel mercato globale ormai non funzionano. Il turismo sotto la soglia dell’impatto turboindustriale, in realtà, non esiste, e non regge aggettivi dolci come “verde”, “sostenibile”, “solidale”. Inquina come un petrolchimico, ed è una monocultura incontrollabile che tende a prosciugare e desertificare tutto quello che ha intorno: risorse, natura, cultura, comunità. L’affermazione del mercato turistico di massa ha aperto la strada all’artificiale su scala globale, alla riduzione della realtà ad evento, alla mostrificazione dei siti. Creati semplicemente per attirare sempre più turisti verso mete innaturalmente esotiche e lontane, che non rimandano mai ad una presa di contatto autentica con nessuna realtà locale. Tutto quel che il turismo tocca perde subito di pregio e di autenticità. E’ vero, lo sa pure Farinetti che il Sud “è uno dei posti più belli del mondo, perciò aprirei alle multinazionali che vengano a investire con agevolazioni fiscali bestiali, non gli farei pagare le tasse per dieci anni”.Ma noi sappiamo quanto l’ambiente e la vita dei luoghi e delle contrade più seducenti del Sud sia già troppo fragile e sinistrata. I campi da golf evocati da Franceschini: forse il prode ministro non sa che un solo campo da golf da 18 buche consuma acqua per l’irrigazione quanto un paese di 5000 abitanti. La bellezza profusa da secoli di fatiche e di passioni umane qui da noi non può essere sperperata a vantaggio di pochi.

Ha bisogno di devozione e di cura, non è rinnovabile e si consuma, si consuma sempre più facilmente tra abusi e incurie. Il turismo a mano libera alla Farinetti è una forma di economia dipendente ed eterodiretta, dove tutto si decide altrove. Lontano da chi il turismo lo deve solo servire. E’ un’impresa famelica e totale, che muove grandi numeri e che deve raggiungere il massimo della “capacità di carico” nei territori per fare profitto, altrimenti non attira le multinazionali e i tycoon che ne controllano domanda e offerta. Il turismo è ormai un’industria infestante, ed è spesso “sporcato” anche dai loschi e sempre più pervasivi investimenti e interessi che fanno capo alle mafie. Il turismo è sostenibile finché chi lo propone è consapevole di sé, autosufficiente è non già povero, e per preservarlo offre un po’ della propria cultura e del proprio benessere a pochi ricchi. L’unico turismo che funziona è questo: quello che si mantiene nelle nicchie dorate del piccolo e del seducente, di chi può scegliersi gli ospiti da portarsi a casa, magari uno a uno, e solo tra quelli che vanno volentieri a spendere dove “è più bello vivere”.

Non è certo quello che immagina Farinetti per il Sud, che per lui è solo “roba”, res extensa, deserto di civiltà, falange di camerieri e superficie immobiliare da mettere a profitto. Un immenso latifondo delle vacanze facili e senza vincoli economici e sociali, dove tutti dovremmo trasformarci in paria senza storia e braccianti a cottimo del divertimento altrui, istrioni in maschera greco-latina per divertire nuove masse di semipoveri a loro volta subornati e forzati dall’imperialismo del consumismo vacanziero planetario. In forme assai diverse e inquietanti qualcosa del genere è già successo in passato. Il turismo al Sud nasce con una tara inconfessabile, impiastricciata di miseria e di reificazione, deformata da finzioni ambigue e da pratiche di assoggettamento corporale tipiche del dominio coloniale. La fama di centri di vacanze oggi fascinosi e affluenti -paradisi chic come Capri, la costiera amalfitana e Taormina-, nasce dal loro essere stati, sino alle soglie di un passato non molto lontano, luoghi elettivi di licenziosità sessuale e di extraterritorialità etico-morale; insomma, supermercati del sesso ante litteram.

Luoghi di attrazioni per il facile lusso di ricchi perdigiorno, tisici illustri e stravaganti personalità di artisti ed eccentrici outisiders di ogni risma. Non diversamente da quello che oggi accade per il massiccio turismo sessuale orientato verso Cuba, il Brasile o il sud est Asiatico. L’esotico e l’erotico fanno da corteo alla nascita del turismo contemporaneo. Hanno preparato scempi e fortune locali di poveri e gregari, passati per il primo e più sofisticato mercato delle vacanze stile bella epoque. L’accumulazione originaria del turismo al Sud nasce dallo sfruttamento neocoloniale dei corpi prima che dall’attrazione per la cultura, i monumenti e il retaggio classico. Si è nutrito della natura solare e benigna dei luoghi, si è servito della sottomissione sessuale, alimentato dall’offerta di bellezza e sesso a buon mercato dei nativi poveri contro il denaro offerto dagli stranieri in vacanza. Lo racconta nel caso del mito di Taormina un documentatissimo libro dell’antropologo siciliano Mario Bolognari. Bolognari ha saputo ricostruire genealogie e biografie di questa parabola. La dinamica umana e sociale di un villaggio siciliano la cui fama vacanziera nasce alla fine del secolo scorso al seguito del barone tedesco von Gloeden, che “a un certo punto prese a fotografare i ragazzi del luogo, pescatorelli e caprai dai piedi sporchi, spogliandoli dei loro abiti da campagna e vestendoli di costumi classici che ricordavano l’antica Grecia. Cancellando così la loro identità sociale contemporanea, estetizzandoli, von Gloeden diede ai ragazzi immortalati nelle sue foto un ruolo strumentale, extratemporale, extra-storico”. Il libro di Bolognari è una dettagliatissima e appassionata microstoria antropologica e culturale utile a riflettere senza paraocchi e moralismi sulle origini e sul successo di certi paradisi del turismo mondiale dalla fine dell’Ottocento a oggi (M. Bolognari, I ragazzi di Von Gloeden, Città del Sole, 2013, pp. 400, E. 20), tutti nati come portofranco del turismo sessuale e come mecche della prostituzione minorile per ricchi stranieri. Anche oggi, per quello che resta del Sud, la ‘svolta’ turistica additata da Farinetti rischia di trasformarsi nella condanna ad un altro infernuccio neocoloniale, che aprirebbe la strada a nuove forme di sfruttamento economico, a sottomissioni sociali e dissimulazioni culturali forse persino più umilianti che nel passato.

La presunta vocazione turistica del Sud, di tutti i Sud, è una mistificazione, come lo fu per la Taormina dei ragazzi di von Gloeden. La verità è che nessun luogo del mondo sfruttato oggi dall’assalto del turismo globale ha origini in questo, né è esistito ed esiste un posto che debba servire esclusivamente per inverare l’ontologia consumistica delle vacanze, per il divertimento degli altri, per i turismi di oggi e di domani. Nei luoghi scoperti e depredati dalla turistizzazione, il turismo anche quando ha portato lo “sviluppo”, ha messo in crisi l’organizzazione sociale, annichilendo costumi e tradizioni millenarie in un falò di mercificazione e impoverimento, contribuendo a far crescere nuove miserie e disagi; talvolta persino il depauperamento delle tradizioni alimentari e del patrimonio di biodiversità. Le architetture della vita umana vengono aggredite dalla spinta alla banalizzazione dei luoghi e dalla riduzione della loro complessità storica a divertimentifici, nonluoghi – secondo la definizione dell’antropologia di Marc Augé – «senza radici e senza centro». Da noi c’è la storia, la natura, la vita delle comunità e degli abitanti, ci sono i paesi, le tradizioni, i sentimenti, la bellezza e il paesaggio da salvare. Siamo molto di più che una destinazione per vacanze e posti letto a basso costo. E’ c’è, prima di tutto, un’esistenza umana che non è mercificabile e contabilizzabile con le mode e il volubile mercato delle vacanze. Il Sud, tra le regioni di più antica civilizzazione del Mediterraneo, possiede luoghi, patrimoni e memorie che sono geografia, storia e civiltà di questo nostro paese e dell’Europa intera.

Ci siamo noi e la nostra vita, adesso e domani. Non possiamo rassegnarci a diventare una di quelle enclaves finto-esotiche dove tutto si compra e si paga nell’impostura del divertimento facile, nelle stravaganze misere e incivili della vita a basso costo. Scenari simili a teatri di posa di cartapesta colorata, spacciati manco a dirlo per originali e ‘incontaminati’, in cui il turista standardizzato, ridotto alla stregua di uno struzzo iperconsumista, può mettere fuori la testa senza mai nulla vedere, eliminando così dal proprio orizzonte culturale e umano ogni possibilità di confronto e incontro con la realtà locale. La geografia truccata dei villaggi vacanze e dei resorts affermatisi di recente anche al Sud nel consumo di scenari-vacanze, è in realtà quella intensiva di ingannevoli quanto anonime “bolle ambientali” leziosamente inserite in accattivanti sembianze meridiane, dove al turista si offre di muoversi come se fosse a casa sua. Paesaggi da cartolina e conchiglie alberghiere in al massimo cui regna sovrana la più scialba finzione dell’autentico e del tipico – come sulle bancarelle di Eataly. Fuori da questa sconfortante finzione turistica restano celati povertà, violenze, inquinamento e disagi materiali e morali che corrispondono al prezzo iniquo che le comunità locali già pagano per l’affermazione di queste forme di sviluppo del turismo eterodiretto.

Ma ciò che preoccupa di più nelle spericolate esternazioni di Farinetti è proprio la presunzione che con lo sviluppo drogato dal turismo forzato, al Sud si possa sconfiggere la mafia. Chi come me al Sud vive e lavora, sa benissimo che oggi il mercato delle vacanze, i villaggi turistici, gli appalti nei servizi e nel ciclo dei rifiuti, gli alberghi, i divertimenti, le discoteche e le seconde case, il core-business delle imprese del turismo reale, tutto è già saldamente nelle mani del racket e delle mafie locali. Ed è ai poteri criminali che si consegneranno le chiavi e le risorse per altre devastazioni, se cresceranno interessi pesanti e investimenti facilitati nei nostri territori. Le cosche hanno il controllo reale della terra, dell’acqua, delle spiagge, delle campagne. Sono loro che hanno annichilito e tombato sotto una coltre di cemento e asfalto, spesso nell’indifferenza di troppi, la gran parte dei beni pubblici e delle meravigliose bellezze del nostro Sud. Perciò lo dico qui senza giri di parole: sono contro la monocultura del turismo, che anche al Sud non è altro che la continuazione del colonialismo con altri mezzi.

La cuccagna tossica degli outlet delle vacanze resti dov’è già, in vendita. Possiamo farne a meno. Salviamo da noi quel che resta della bellezza e della civiltà del Sud, e ridiventiamo una comunità di cittadini che si prendono cura dei propri luoghi, e che perciò amano e sanno ospitare. Un scrittore inglese che sentiva il richiamo amoroso del Sud più di cent’anni fa, davanti a una spiaggia calabrese ha scritto: “piuttosto che in un tugurio di Londra è qui tra questa gente, in una stanzuccia sulle rive dello Ionio, che preferirei morire; qui, perché qui è più bello vivere”. Non era un turista.

Mauro F. Minervino (maurofrancesco.minervino@gmail.com)

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

4 pensieri riguardo “sulle sorti del sud

  1. sabato 31 maggio siamo andati al mart di rovereto per vedere questa bella mostra dal titolo ancora più bello, perduti nel paesaggio, la mattina dopo facciamo un salto a riva del garda, con questa corriera strapiena che si fermava ogni dieci minuti, per raccogliere strada facendo locali e stranieri, giovani e anziani, tra vigneti marzemino, fiumi verdi, boschi rocciosi, più di un’ora per 18 chilometri, niente di particolarmente bello nei dintorni ma alla fine la corriera è stata la cosa più bella del viaggio roveretiano, anzi è stato il viaggio, un andare da un posto a un’altro che credo sia ancora l’ultima cosa sensata rimasta all’esperienza turistica, perchè uno arriva a riva del garda e quello che gli viene subito meno – questione di minuti – è proprio l’esperienza, il senso. Nello spostamento c’era quanto meno un’attesa di qualcosa, che a riva del garda è precipitata nell’infamia più assoluta, riva del garda è uno dei posti più disgustosi dove mi è capitato di andare, un luogo definitivamente (e forse da molto tempo) annientato dal turismo troglodita, mi è sembrato anche privo di margini, di piccole sacche di resistenza, di detour, di casualità nascoste, di frammenti sopravvissuti, che a volte si trovano anche nei peggiori cosiddetti non luoghi, uno sterminio totale, un campo di concentramento, neanche uno zingaro in giro, per dire, e così siamo scappati, abbiamo preso la corriera subito dopo, un’ora dopo circa, siamo tornati nella fin troppo silenziosa rovereto del primo giugno per mangiare una insalatona così e così, con delle scaglie di tacchino (parola terribile, insalatona: bisognerebbe fare anche un glossario ecologico delle parole che usiamo), ma se avessimo mangiato a riva del garda saremmo stati di sicuro male. Quindi succede che uno si perde nel paesaggio delle bellissime fotografie della mostra e non si perde più, perchè non può più perdersi, nel paesaggio “vero”, che ormai è una specie di discarica per ciechi, e allora forse varrebbe la pena pensare a un turismo fatto di due cose: di spostamenti e di fotografie. Nello spostamento uno sogna, annusa, avverte gorgoglii dell’anima, vede e sopratutto intravede, pensa, parla con il viaggiatore accanto, eccetera, nella fotografia uno vede quell’invisibile che una volta arrivato a destinazione il paesaggio reale non è più in grado di fargli vedere. Una volta arrivati insomma bisognerebbe andare a dormire o tornare subito indietro. Anche se poi il viaggio di ritorno ha un minor pathos del viaggio di andata, però è sempre meglio che rimanere là, infognato come uno zombie nella merda di riva del garda. Ecco qua: spostarsi con la macchina fotografica in tasca e avere il coraggio di fotografare tutto, proprio tutto, anche quando non se ne ha nessuna voglia, come a riva del garda, e aggiungere nuovi miliardi di fotografie ai miliardi di fotografie già esistenti, forse la salvezza, il senso, consiste proprio nelle perdersi nell’oceano infinito delle fotografie, nelle nostre come quelle degli altri.

  2. Penso che viaggiare sia ancora possibile. Purtroppo il viaggio vero, il viaggio di “scoperta”, diventerà però sempre più una risorsa rara e scarsa per spiriti ardimentosi. Per pochi. Si viaggia davvero solo se ci si perde, se ci di arrende al caso, alla prepotenza delle sensazioni, o all’assenza di sensazioni, se si è disposti a inseguire ombre, apparizioni, simulacri, fantasmi. Se ci si lascia sfidare dall’intelligenza e dall’incomprensione. Vale per i luoghi, vale per le persone. Io detesto il turismo. Per me resta il viaggio come esperienza di solitudine e di resa senza mediazioni all’estraneo, al forse, al giro lungo e stretto che porta fuori, che sbilancia e fa inciampare fuori dai senieri dell’ovvio. Da un viaggio vero non si fa ritorno. C’è un bel verso di Montale sul viaggio in “Satura”, mi pare che sia più o meno così: “che ne sarà del mio viaggio? Troppo accuratamente l’ho studiato senza saperne nulla”.

  3. Si, ma quell’ironia (bruschetta, caviale, corsi-tentata-vendita, business-chic) su farinetti è proprio triste. Picchiettare sulla tastiera è sempre più facile…

  4. Caro Mauro F. Minervino,
    Straniero come sono, anch’io condivido le sue preoccupazioni per il Sud d’Italia. Mi piace specialmente le cose che Lei dice sul “viaggio vero, il viaggio di ‘scoperta’ ” nel messaggio di 9 giugno. Ho avuto un assaggio di questo viaggiando nel Sud, e spero di ritornare. Otto mesi fa ho visitato Valva per un concerto alla Villa d’Ayala Valva. In questi giorni ho avuto il piacere di conoscere alcuna gente brava e compresiva di questo posto e anche di sentire Franco Arminio leggendo la sua poesia. Quando leggo I libri di Arminio sembra che lui sta parlando direttamente a me nonostante I fatti che non sono italiano e abito a tre mille chilometri di distanza dall’Italia. Sembra a me che lui merita un Nobel perche le cose di cui lui scrive stanno in gioco in quasi tutto il mondo, cioe’ le cose vere e importante sono dappertutto vulnerabile alla avidita’ e al denaro. In questo buio c’e’ la luce di Arminio e di questi “dei calanchi” al suo fianco. Grazie.

    Harvey Sollberger, abitante di un “little, lost nowhere town” negli Stati Uniti

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