da terracarne
La cosa più interessante dell’Italia è la sua disunità. Sono i salti, le crepe, i vuoti che ancora allignano tra un luogo e l’altro. In certe zone il mondo sembra un panno di biliardo e anche dove è scosso e scosceso tutto è comunque in qualche modo omo-geneo. Dell’Italia amo questa residua densità del suo passato che ti viene incontro all’improvviso con una faccia, con un muro. L’Italia del Sud consente più facilmente di abitare questi anfratti, questi rilievi fuori scala rispetto alla livella della modernità.
Il mio paese, spezzato in due come un verme, mi dà ogni giorno questa dose salutare di disunità. Amo le cose sconnesse, amo le cose che si svolgono lontano dalle premesse con cui iniziano.
Oggi per voler bene all’Italia bisogna trovare i luoghi in cui è diversa e averne cura. Non avere la foga di metterli sotto gli oc-chi dei giornali e della televisione. Noi abbiamo bisogno di luoghi in cui la lingua non è imbellettata, in cui nessuno scalcia per passare avanti, luoghi attraversati dalla poesia e dalla morte, in cui nessuno si fa il nido, dove tutti inciampano dalla mattina alla sera, luoghi in cui un uomo ha lo stesso valore di una damigiana sfondata e si dà spazio e valore ai ragni, alle chiavi arrugginite, ai cani.
L’Italia io la sogno sempre più disunita, sempre più lontana nelle sue parti e dentro ogni parte sogno voragini, frane, smot-tamenti, un inferno di cose che non coincidono. Mi piace vivere in un paese spaiato, un paese che somiglia a un calzino rotto appeso a un ramo in un giorno di vento. Non mi piace la man-frina dei discorsi che gli italiani fanno sull’Italia: le cose che non vanno, gli imbrogli, le furbizie che sono sempre degli altri. Mi piace un’Italia felicemente sconclusionata, mai compita, sempre un po’ indisciplinata ai doveri dell’epoca. Una nazione che si rompe felicemente, che si distrae dai suoi impegni, che disat-tende ogni promessa. Forse per questo dell’Italia mi piace più il Sud, ma solo quando non si dà arie che non sono sue, solo quando il Sud pensa se stesso, non si fa pensare da altri, quando il Sud si dispone a giocare con l’assurdità della vita, con la sua instabilità costitutiva.
Una nazione non deve raccogliere, non deve proteggere, de-ve essere un tetto squarciato, una finestra che cigola, una na-zione deve essere un pavimento sfondato. L’Italia che amo è quella che non sa niente di sé, che non si sente ricca né povera, che non si vanta e non si lamenta, un’Italia che appare a lampi su strade periferiche, un’Italia rimasta viva per sbaglio, per le amnesie della politica, per i mancamenti del progresso. Mi piace trovare un paese in pigiama o in pantofole, un paese che non si è lavato i denti, senza moine pubblicitarie, un paese indisposto e indisponibile. In una nazione del genere, in una nazione profondamente sconnessa e disunita è ancora bello viverci, perché la vita tiene ancora un suo sapore, una dolcezza da consumare senza colpe in luoghi dismessi o abbandonati, oppure un rancore acido contro cui lottare gettando nella mi-schia un dolore che non si compiace di se stesso e non si ar-rende.
mentre lo stavo leggendo mi sono chiesta chi aveva spifferato così bene qualcosa di me stessa ; mi sono chiesta dove fosse lo specchio, che non vedevo , davanti a tutto ciò che (in modo ridutivo) amo ; chi aveva il coraggio di togliere dall’indifferenza (peggio dell’avverisione) un mondo visto “con la testa all’ingiù”
Grazie Arminio.