FARMACIA DELLA PROSA

A un certo punto, verso i quarant’anni, ho cominciato a scrivere prose con la stessa insistenza con cui nei venti anni precedenti avevo scritto versi. Avevo il problema del mio corpo e ho pensato di curarmi scrivendo. Dai versi alla prosa è come cambiare medicina, passare dalle siringhe allo sciroppo. In ogni caso si rimane nella mistica di una parola intesa come farmaco. Non mi sono guarito, ho semplicemente continuato a scrivere. E a vivere secondo le linee guida dettate dalla mia nevrosi. Piano piano il mio corpo si è trasformato in un muro messo tra me e gli altri. Nel mio corpo non ci sono io e non ci sono gli altri. Il mio corpo è un appartamento sfitto occupato abusivamente dalla morte. Abusivamente s’intende prima del tempo, perché è chiaro che alla morte a un certo punto spetta occupare ogni cosa, ogni corpo.

Adesso per alcuni sono una creatura unica e meravigliosa, per altri sono un egoista inaffidabile.  Adesso io non riesco a dare più credito né alle ammirazioni né alle ingiurie. Posso solo continuare a scrivere, fuori e dentro il mondo, su un confine in cui la sofferenza mi sostiene e mi strazia. Vado avanti verso l’imbuto, vado avanti e prego e tremo davanti alla paura come una santa davanti al Signore. Sono un mistico della morte, è come se me ne occupassi al posto dei tanti che disertano l’ossario della verità in favore delle schiume della finzione.

Io ormai non posso più tornare indietro. Il subbuglio della mia vita mi raggiunge in riva al mare, durante un orgasmo, durante una cena tra amici. Ormai nel mio corpo la parola è una specie di ormone aggiunto, un ormone che altera ogni mio secondo, lo blocca o lo porta via con furia e io non posso attraversare con fiducia nessuna giornata. La parola in quanto farmaco è anche veleno e siccome il mondo è tutto cosparso di parole, significa che il mondo è tutto cosparso di veleno. La prosa, la buona prosa dovrebbe funzionare come un aspirapolvere, togliere di mezzo le parole per riscoprire la casa, la foglia, la bocca. È come se ormai si dovesse scrivere per cancellare la plastica delle parole che ha plastificato il mondo e far uscire la carta stropicciata, la piega, lo spacco. La farmacia della prosa invita a tentare una vita enorme in ogni momento, a tentare di scoprire il dio che ci accompagna mentre ci mettiamo le calze o ci laviamo la faccia. La farmacia della prosa è nel corpo di ognuno, è il sacro stipato sotto lo sterno e ci ricorda che ci sono tanti universi, ma solo qui è primavera.

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

Una opinione su "FARMACIA DELLA PROSA"

  1. La morte è perché la vita é. La vita è perché una morte è stata. Far fluire l’esistenza oltre le nostre resistenze mentali e psichiche e riconciliarci con la vita. E’ possibile? Si, è possibile. Secondo me lo è. Sentirsi in reazione continua con l’altro. Questo cura la nostra vita. E’ come una giornata di sole che scalda il viso e le mani. Le nevrosi sono la nostra continua lettura preoccupata del reale. Possiamo superarle? Secondo me si. Non definendoci mente e pensiero, ma cuore che ascolta e si ascolta. Un cuore-mente. Meglio.
    Posso dirti Franco che questo tuo post , scritto sempre in modo magistrale, mi ha rattristato molto. Ci sono piedi che si devono ancorare alla terra.
    Un grande abbraccio

Rispondi a Adele FuscoAnnulla risposta

Scopri di più da Casa della Paesologia

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading