La verità, vi prego, sul clientelismo meridionale

 

 

Si parla molto, in questi giorni di primarie del Partito Democratico, del Sud politico, e si usano termini negativi quali “signori delle tessere”, “pacchetti di voti”, “capibastone”. Parole, temi e mali antichi che, purtroppo, si possono solo diagnosticare ma non curare (almeno non nell’immediato), perché il clientelismo meridionale viene da lontano e ha radici ben piantate nella dura terra della storia.

Chiunque al Sud si accosti con pura passione alla politica scoprirà immediatamente che è difficilissimo ottenere consenso elettorale rilevante e consistente (la democrazia è anzitutto questo: consenso elettorale rilevante e consistente) proponendo in astratto politiche e idee per lo sviluppo economico, civile, culturale e legislativo. Il consenso elettorale, al contrario, al Sud è quasi sempre frutto di un percorso “scientifico” basato su relazioni corte, aiuti diretti, interventi ad personam, filiere e vicinanze varie. Questo è un dato empirico che nessun “sognatore” o elzevirista con l’anima bella può contestare.

Ma è solo colpa della società politica? Non lo escludo in assoluto; ma è incontestabile una colpa della società nel suo insieme, che grossolanamente può essere divisa in tre macrocategorie: i cronicamente arrabbiati, che ignorano qualsiasi approccio metodologico riformista, tollerante, pluralista e maturo (all’interno di questa categoria, poi, ci sono due sottocategorie: gli arrabbiati perché non hanno ottenuto niente dalla politica, e gli arrabbiati perché hanno un altissimo senso civico, purtroppo frustrato); gli indifferenti, che non votano e non partecipano alla vita civile del proprio territorio; e, infine, (e sono la maggioranza), “gli interessati”, coloro che si approcciano alla politica (portando voti, mobilitando famiglie, portando gente ai congressi, facendo telefonate, ecc.) solo perché convinti o speranzosi di ottenere qualche favore per sé o per i propri cari. In un simile contesto è assai difficile fare politica e ottenere consenso elettorale proponendo politiche in astratto (politiche “verso tutti”) o facendo leva sulla propria storia personale (professionale, umana, ecc.), poiché ogni singolo voto è sempre e solo frutto di un “intervento” anagrafico diretto o di un “legame” costruito nel tempo.

Va da sé che in un simile contesto sociale e antropologico gli unici a poter emergere sono, appunto, i signori del consenso, coloro che, giorno dopo giorno, (con promesse, interventi nella pubblica amministrazione, “favori” paternalistici, raccomandazioni più o meno efficaci, ricatti sottili, ecc.), riescono a costruire scientificamente una platea di “fedeli”.

Più volte mi è capitato di sentir pronunciare dai meridionali questa frase agghiacciante: “Non vado a votare perché non ho nessun interesse a farlo. Che ci guadagno?” E’ una frase che umilia e sfregia i padri (scrittori, economisti, politici, patrioti, combattenti, ecc.) che hanno lottato duramente per il diritto al voto popolare, per la libertà di opinione, per la democrazia parlamentare e per lo smantellamento di piaghe storiche quali il latifondo e le baronie vessatorie. Eppure è in un simile contesto ambientale che i politici meridionali crescono, si formano e agiscono quotidianamente, e perciò è inutile (e anche un po’ ipocrita) sostenere che la colpa è solo la loro, poiché la classe dirigente rispecchia sempre, sia nel bene che nel male, l’opinione pubblica media dominante.

Non dico che non ci sia una percentuale di voto libero e frutto di scelte mature, autonome e democratiche, ma è una percentuale troppo esigua per incidere efficacemente sul quadro democratico complessivo. Dopodiché c’è da dire che clientelari (e faccio autocritica) sono sempre e solo gli altri; e invece dovremmo noi tutti meridionali (solo noi meridionali?) analizzarci in profondità, anche chi si pensa al di sopra del problema, perché sono certo che nessuno di noi sia immune da un simile approccio alla politica: un approccio che predilige, per dirla in maniera icastica e sintetica, la suggestione pre-politica e simbolica del potere alla normalità del rispetto per le istituzioni e dei processi democratici.

C’è anche un altro aspetto che merita di essere analizzato, e cioè il fatto che in molti luoghi del Sud, (in quasi tutti, a dire la verità), a causa della povertà del tessuto sociale, economico e culturale, l’unica possibilità di protagonismo che è concessa è l’attività politica, e questo determina un affollamento incredibile di ambizioni, narcisismi e interessi, poiché la politica diventa l’unica possibilità di “riuscita” in un deserto di inedia, attendismo e sfiducia. Al Sud sono dunque i migliori (i più intelligenti, capaci e dinamici) a “buttarsi” in politica, ma essi, non appena sono costretti a fare i conti con la subcultura clientelare, lentamente, senza nemmeno accorgersene, diventano i peggiori, dei veri e propri mostri di cinismo e di “realismo” spregiudicato.

Mi piacerebbe vedere i tanti moralisti in servizio permanente sulla stampa italiana alle prese con un elettorato siffatto, con gente che ti vende e si vende per un piatto di lenticchie, con elettori che intimamente odiano i propri eletti poiché divorati da invidia sociale e dalla convinzione che, una volta eletti, ci si arricchirà senza ritegno perché “tutti i politici sono ladri e pensano solo ai propri interessi personali”. Dopodiché, questi moralisti a cottimo, probabilmente scoprirebbero anche un’altra cosa, ovvero che i loro articoli, al Sud, non sono letti da nessuno, perché al Sud non si legge, non ci si riunisce, non si discute, non si comprano giornali, riviste e libri, perché, appunto, “che cosa ci guadagno, a che serve leggere, che me ne viene?” Al contrario, quello che serve al Sud è avere un amico politico potente per poi, mentre gli si chiede una “sistemazione”, disprezzarlo nel segreto dei propri pensieri.

I meridionali dunque sono migliori dei propri politici? Non lo penso affatto; e, secondo me, chi lo pensa non ha il coraggio di fare i conti con la dura realtà, preferendo una più comoda e consolatoria posizione demagogica. Qual è, dunque, la soluzione? La soluzione è sempre la stessa: cultura, cultura, cultura; e cultura significa scuola, ascolto, studio, pazienza, tolleranza, impegno, sacrificio, ottimismo della volontà, conoscenza, curiosità, etica, condivisione, generosità, dovere di migliorare se stessi e il proprio contesto sociale anche quando si sente montare dentro di sé il pessimismo e il rancore (il bene è un duro lavoro, una faticosa disciplina).

Ma chi pensa di affrontare la subcultura clientelare del Sud dall’alto di un’etica astratta o di un giustizialismo da redazione giornalistica, purtroppo sarà travolto dalle risa degli dei e dall’indifferenza dei troppi che considerano lo Stato una tigre cattiva da cavalcare o uno zio ricco al quale chiedere soldi e favori blandendolo e “leccandolo”, per poi, infine, sputargli addosso come il più repellente dei maiali.

 

Andrea Di Consoli

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

Una opinione su "La verità, vi prego, sul clientelismo meridionale"

  1. Premetto che scrivo questo commento all’articolo da semplice lettore di passaggio e con mesi di ritardo rispetto al contesto in cui questo sia stato scritto.
    Scrivo da un paese del Sud e come tale faccio parte di quel ‘prato’ elettorale descritto. Come detto ci sono varie tipologie umane. Esistono gli interessati alla politica per un futuro nella stessa, gli interessati alla politica per scopi personali, i tantissimi disinteressati che si lamentano ma non operano, etc, ecco, vorrei citare anche una categoria non espressa. Esistono al Sud centinaia di persone che in assoluto silenzio fanno la Politica. Molti sono nati nel mezzo del secolo scorso e altri sono giovani leve volontarie. Esistono. Non fanno notizia, non vengono sostenuti dalla politica salvo una citazione alla data del loro decesso.

    Detto questo vorrei fare leva su altri problemi legati al Sud e per farlo cito un elenco parziale fatto da un imprenditore pentito che ha lasciato il Sud, ecco,
    la diffidenza verso il nuovo, verso le persone che vengono da altri contesti e il relativo retropensiero che ci sia qualcosa di sbagliato e illegale nelle loro idee imprenditoriali ;
    la strutturata rete di amicizie e favori che prevale in ogni campo e la credenza che il politico va corteggiato in quanto fa favori e non debba semplicemente fare il suo dovere ;
    i problemi legati al crimine che spesso si sostituisce a uno Stato assente o presente solo nei proclami preelettorali ;
    l’assenza di un programma industriale strutturato di sviluppo sul territorio e la burocrazia nel Pubblico ;
    isolate aziende d’eccellenza e molte realta imprenditoriali improvvisate ;
    mondo del lavoro distante da quello dell’istruzione ;
    etc, questo ha un suo legame col passato,
    la diffidenza verso gli estranei al proprio contesto motivata da un passato in cui molti imprenditori settentrionali hanno goduto dei sussidi per aziende create in contesti rurali del Sud e poco dopo hanno abbandonato tutto. Poi se per allontanare gli estranei si pensa sia giusto rifiutare il nuovo o tutto quanto viene da fuori automaticamente chiudi le tue possibilita di crescita. Mancano soprattutto i consorzi, forme cooperative a livello industriale e locale che diano sostegno alle aziende di eccellenza che ci sono al Sud. In assenza di un gruppo industiale unito non si ha forza a livello nazionale e ancor meno a livello globale.

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