Pensavo alle vite sfacciatamente guaste: per un incidente, per un lutto, per un cancro, per un amore che non arriva o che se n’è andato. Pensavo alle vite sfacciatamente guaste di chi ha sempre l’umore contrario, la vita di chi è contrario a se stesso e stupidamente viene considerato egoista, la vita degli stranieri dentro il proprio corpo, quelli che ogni cosa che fanno avrebbero dovuto farne un’altra, quelli che quando non hanno niente di terribile da affrontare si annoiano terribilmente. Penso a queste vite e penso che in tanti pezzettini c’è anche la mia. Penso a chi ha archiviato il futuro, a chi ha perso la speranza perché la speranza è come una nuvola nell’armadio: non ci sono grucce dove appenderla.
Dedico a queste persone sfacciatamente rotte la mia amicizia, la bella amicizia che possiamo offrire agli sconosciuti, a chi sta in questo mondo e non riesce più a trovare il filo. Non so se sto pensando agli ultimi, non so credere che saranno i primi. Le persone a cui sto pensando sono sparse tra gli ultimi e i primi, tra i ricchi e i poveri, e sono sparse in noi stessi, noi ultimi e primi, noi che possiamo guarire sono abitando interamente i nostri guasti, attraversandoli confidando nella luce, nelle infinite presenze che stanno per terra e per aria: da una ginestra a una cane, dalle case alle strade, insomma tutto il piccolo gioco che noi chiamiamo mondo.-
Perchè ogni guasto richiede un “aggiustatore”. E spesso ci perdiamo nel cercare i pezzi di ricambio. Ma la solitudine del nostro lavoro di ripristino è anche consapevolezza della nuda essenza del nostro destino. In quegli attimi in cui prendiamo tra le dita i brandelli della nostra vita possiamo sperare in un raggio che ci trafigge e che illumina e scalda il nostro inconsapevole dolore.