verso la paesologia

di chiara besana

Castel San Pietro è stato liberato dai polacchi: 2° Korpusu Polskiego Generala Andersa, 17 kwietnia 1945. Mando un messaggio al mio amico Daniele di Cesenatico.
Pensavo fosse solo un casello automatico, risponde.
Straniero in patria, sei.
E chi non lo è?

Sto andando alla mia prima Scuola di paesologia, a Cesena, e ci voglio arrivare prendendola larga. Lascio la via Emilia dopo Toscanella, frazione di Dozza, per salire in paese. La panettiera mi dice che devo andare a visitare la Rocca e io obbedisco. Alla biglietteria pago cinque euro, giro per mezzora senza vedere nulla, ma non c’è nessuno e si sta bene. Trovo le indicazioni per la prigione del mastio; per arrivarci si scende una scala di pietra che passa di fianco alle cantine dove hanno aperto un’enoteca, oggi molto apprezzata da un gruppo di giapponesi. Leggo su un cartello che la fossa dei supplizi era solo una cisterna per la raccolta dell’acqua, ma la più vecchia incisione sul muro della prigione, uno scheletro e un verso, risale al Seicento. Mi fermo per contare col polpastrello i graffi sul muro, ventinove, quasi un mese di vita: dalla grata lì di fianco si vede tutta la piazza, piena di sole.
Prima di andarmene ripasso dal salone e trovo una classe delle elementari, bambini vestiti da cavalieri e bambine da madamigelle; povere cose, abiti da carnevale, ma loro sono tutti contenti, si vede. Aspetto che finiscano, a due a due sfilano tenendosi per mano. Una bambina si ferma per farmi una riverenza. Chino il capo mentre batto i tacchi degli anfibi, serissima.

A Monte Catone, sulla collina di fronte, ci si arriva con una strada direttamente da Dozza, ma la bigliettaia della Rocca mi dice che ogni volta anche lei, che è di quelle parti, si perde. Meglio che torni alla via Emilia. Passo il sanatorio voluto dal duce e salgo fino a scollinare. La casa che cerco è sulla sinistra, ci arrivo a piedi. C’è silenzio e sole, Imola sullo sfondo, si vede il grattacielo vicino alla stazione. Che c’è un grattacielo a Rimini, uno a Cesenatico, uno a Milano Marittima, uno a Imola, lo saprò più tardi da Lorenza, aspirante paesologa. In quello di Cesenatico non ci vive nessuno, sono tutti appartamenti per vacanze, chi vive nel grattacielo è una leggenda, non si è mai visto. Un cane abbaia in lontananza, sento il verso di un fagiano e ho le mani fredde. Mangio il pezzo di pane rimasto e guardo le giovani piante di albicocco che stanno crescendo al posto delle vecchie. Non rendono più, diceva il padre del mio amico che le ha tagliate in agosto, sono solo un costo. Poi però ha piantato una cinquantina di piante nuove. E questo risarcisce di tutto.

Dagli alberi di albicocco al Sexi Shop Mutandina di Forlì il passo è breve. Mi perdo tra le tangenziali che stringono la città e non entro, ma finisco a La Selva, frazione di Forlì. C’è molto traffico e poi capisco: lunghi enormi capannoni azzurri: Mercegaglia. Ecco, son quasi belli. Mi domando se la Mercegaglia sia di queste parti, non corrisponde molto allo stereotipo della donna romagnola. Nemmeno Dante Arfelli però corrisponde molto allo stereotipo. So che è nato a Bertinoro e ci arrivo alle tre che il paese è già in ombra. È tardi, alla Valdoca avevo detto che sarei arrivata per le quattro e non ho scritto ad Arminio per avvisarlo. Ho cominciato con la paesologia da sola, nel modo che preferisco. Bevo un caffè al circolo Arci dove quattro ragazzoni mi guardano come si guarda una di fuori mentre i vecchi giocano a carte e non mi vedono proprio. Raggiungo il Parco dei Popoli in cima alla collina. Non proprio in cima, ma su una specie di terrazza al sole. Giù in fondo credo ci sia Forlì, ma vedo solo case che sfarinano contro il cielo, mentre sento il martellare scavare sfondare degli operai edili. Bertinoro è in cantiere, ma per chi? In paese non c’è nessuno. Fumo una sigaretta, appena la finisco voglio provare a chiedere al barbiere che ho intravisto salendo se conosceva Dante Arfelli o se è ancora vivo qualcuno della famiglia, magari un nipote.
Campori Mario, nato nel 1929, barbiere. Con la lente di ingrandimento cerca tra le carte sopra la scrivania, mi sembra che lo faccia solo per non guardarmi mentre parla. Da sotto spuntano i piedi grandi nelle pantofole. Deve essere un uomo alto che ha qualche problema di circolazione: qui dentro si muore dal caldo e lui indossa due maglioni di lana.
Ho la quinta elementare, sa? Faccio questo mestiere da sessantacinque anni, ma viene poca gente ormai. Vanno dagli altri, che sono più veloci e si fanno pagare bene. La mia soddisfazione sono state mia nipote e mia figlia. Me l’ha portata qua che aveva cinque mesi e l’ho cresciuta io fino ai ventinove anni. Ha studiato ragioneria, poi giurisprudenza, poi il praticantato ed è andata a convivere. Ora si è sposata e suo marito è avvocato come lei e come il suocero, sicché hanno gli studi in casa. Sono l’ultimo barbiere qui. Il giornalaio ha chiuso qualche mese fa, e anche il panettiere. C’è il macellaio che vende il pane, ma non lo fa lui, glielo portano. Il mio dovere l’ho fatto: una figlia laureata in lingue e la nipote. Sono state loro a convincermi ad appendere quella fotografia che sta guardando.
È molto bella. Anche la sua bottega è molto bella. Mi dispiace non essere un uomo, le chiederei subito di farmi la barba. Cosa sta facendo con quelle carte?
Arrotondo con le assicurazioni. Qui d’altronde non viene più nessuno.

Più di ogni cosa degna di cura, custodisci il tuo cuore.

Lo leggo nella Bibbia che trovo aperta in mezzo alla navata della chiesa di via Aldini, a Cesena. Il teatro Valdoca è qui vicino, ci sono già passata e i paesologi sono tutti in giro e non ho molta voglia di cercarli. Ci si abitua bene a stare soli, ogni incontro è fatica e in questi casi fuggo, procrastino per scelta più o meno consapevole. Sono le cinque passate e si recita il rosario: il banditore procede spedito, infila le avemaria una dietro l’altra, rispondono le voci tremolanti di una decina di donne. La chiesa non è niente, non ci sono opere d’arte, non si vedono le vetrate, fa un po’ freddo e le luci sono basse. Anche il banditore non vedrà l’ora di tornare a casa. Rallenta un poco al padrenostro, forse per darsi un contegno. Mi chiedo cosa accadrà – nello stesso tratto di via ho contato cinque chiese -, quando saranno morti gli ultimi vecchi fedeli. Sarebbe bello poter trovare sempre aperto un posto coi soffitti alti, dove si può scegliere una panca e sedersi e non fare niente, non consumare nulla, al massimo un pensiero, una preghiera.

Il mio incontro vero coi paesologi avviene solo il giorno in cui arriviamo in un paese che si chiama San Giovanni in Galilea. In realtà li ho già conosciuti tutti, siamo stati un giorno intero insieme e comincio a capire qualcosa, ma nel viaggio in macchina fino al cimitero di San Giovanni e poi nel naturale smembrarsi e ricomporsi di questa piccola comunità, hanno preso corpo le donne e gli uomini e mi sembra che alla fine ciò che mi piace di questa paesologia è chiedersi e domandare con gentilezza come stanno le persone e le cose che ci stanno attorno. A Basilio che guarda compiaciuto il cimitero, a Franco che si guarda intorno senza voglie, a Irene che ti guarda solo quando pensa che tu non la veda, ma anche ai sassi, alle case, alle strade, alle farfalle. Mi allontano dal gruppo. Passo accanto a una vecchia che regge la scala alla figlia mentre questa lustra la fotografia del congiunto. È vestito a festa il cimitero, è il dieci novembre. Mentre cammino sul ghiaietto mi vengono in mente i funerali di Mario Rigoni Stern; ricordo che aveva chiesto di essere sepolto nudo nella terra sotto una croce di abete. E gliel’hanno permesso. Gli altri morti non sono così fortunati e quel che si dice, che davanti alla morte siamo tutti uguali, non mi sembra ora così vero. Basta così, decido di tornare indietro perché voglio tornare dagli altri, guardarli, ascoltarli, sapere davvero come stanno qui, in questo posto, in questo momento. Fin qui sono stata sola abbastanza.

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

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