Geografia commossa dell’Italia interna

Leggere per non dimenticare – Firenze30 maggio 2014 – Francesco Ventura

Da qualche tempouna molteplicità crescente di sguardisi rivolge ai vecchi paesi dell’interno impoveriti dall’emigrazione. Un guardare molto vario che nel suo insieme non aveva nome. Con grande sapienza poetica, Arminio lo ha coniato.

La paesologia – scrive – canta il dismesso, l’usuale, il bordo, il punto morto. E invece la poesia è il tentativo di dipingere il linguaggio al massimo punto d’intensità.[1]

Il valore esteticodella prosa poetica di Arminio la si sperimentaleggendo le sue opere.Perciò vorrei solodir qualcosa della mia esperienza paesologica che ho fin qui compiuto con lui e altri. E poi esporvi una riflessione sul pensiero che secondo mela sua poesia tiene nascosto –in qualche misura ad Arminio stesso.

*

Libri come Geografia commossa dell’Italia interna, come i numerosi altri,non sarebbero possibili senza la frenetica attività paesologica che li nutre.

Ve ne offro una testimonianza.

Nel paese lucano che fu confino di Carlo Levi, Aliano, Arminio ha inventato un festival del tutto anomalo e lo ha chiamato “La luna e i calanchi”.In un appuntamento del festival portai con me quarantacinque studenti di architettura e tre amici che non si conoscevano, né tra loro né con Arminio. Emanuele Lago, giovane filoso veneto, Carlo Scoccianti, biologofiorentino, e Antonio Infantino, amico anche di Anna, architetto e musicista, lucano di origine. A Tricarico, questa comunità provvisoria – così le chiama Arminio –incontròancheil padre centenario di Infantino.

Avevo già letto due stesure di Geografia commossa. Pochi giorni dopo il mio ritorno a Firenze dal festival, Arminio me ne ha inviata una terza. Ho provato una certa emozione, perché c’era un capitolo completamente nuovo: “Quattro uomini e la Lucania”.Per darvi un esempiodi esercizio paesologicoe di poesiasublime,non ho altro modo che leggerne alcuni passi:

Il cielo è grigio. Il silenzio è molto ampio. Si sta comodi dentro il silenzio di questa terra. A parte il centro di Potenza, in Lucania si sta larghi. Non ti muovi mai sulla carta millimetrata, come accade nella Costiera amalfitana. Sono rimasti in pochi e quelli che ci sono hanno un fondo di timidezza. Sembra che ognuno sia finito in un suo fossato […].

In altre occasioni ho detto che mi piacciono i luoghi abbandonati dagli umani, i luoghi in cui si sente un senso di resa.È in questi luoghi che puoi accogliere qualcuno che è rimasto umano, non importa da dove venga e chi sia. In questi miei ultimi tre giorni lucani ho incontrato quattro uomini che non conoscevo, quattro uomini per cui ho provato una gioiosa ammirazione.

Carlo Scoccianti è toscano, fa il biologo, è uno che sa dove e come vivono gli animali, lavora a restaurare ambienti, un ettaro di terra curato come un occhio in un affresco. Scoccianti si è fermato quattro volte mentre da Craco cercavamo di tornare ad Aliano. Ogni volta c’era un rospo in mezzo alla strada e lui l’ha preso tra le mani e lo ha rimesso nella terra, abbastanza lontano. A un certo punto ha pianto evocando la morte del suo cane che lo aveva accompagnato negli ultimi quindici anni. Eravamo in
ritardo, avevamo sbagliato strada, e abbiamo trovato da spartire i rospi e le lacrime.

[…]

Giuseppe Infantino è il padre di Antonio. Gli mancano pochi mesi per arrivare a cent’anni e abita da solo e senza rughe in una casa isolata a Tricarico. È stato militare e  professore di francese. Declama, senza mancare un verso, Baudelaire e Verlaine e Goethe. Mangia molto, beve vino, preferisce le carni rosse a quelle bianche, ogni giorno fa mezz’ora di cyclette. È un eroe inconsapevole, racconta la sua vita epica con misura, senza vanità e senza lamenti. Ha perso la moglie da quarant’anni e poi anche una figlia e un figlio. Vicino alla sua casa c’è un ripetitore telefonico. L’unica forma di tutela della sua salute sembra essere il fatto che non fuma. Per il resto Peppino Infantino è una serena obiezione a tutti i luoghi comuni sul benessere. Se dovessi fare una guida turistica sulle attrazioni della Lucania, io metterei anche lui, tra i calanchi di Aliano e Craco, tra il castello di Melfi e l’incompiuta di Venosa. Andate a Tricarico appena potete, c’è qualcuno che ancora può rendere credibile questo verso di Franco Fortini: «gli uomini sono esseri mirabili».[2]

*

Questo èsoloun lampo di luce sul tratto percettivo della paesologia poetica di Arminio e sulla molteplicità di accadimenti che favorisce e accoglie. A prima vista sembra l’unica dimensione del suo operare.Ma come dicevo all’inizioce n’è una nascosta.

Fin dal primo incontro che ho avuto con i suoi scritti e poi con lui sono rimasto colpito dal suo contrapporre la percezione all’opinione.

Da allora non ho potuto fare a meno diriflettere eragionare sul senso rispettivamente della percezione e dell’opinione. Volevochiarirmiin che senso determinato sono opposte. Su questa base cerco – per la prima volta – di rendere esplicito ciòche secondo me resta implicito nel pensiero di Arminio.

Cos’è l’opinione? L’opinione riguarda, appunto, ciò che è opinabile. Non solo nel senso che a ogni opinione se ne contrappongono altre che voglionosmentirla. Ma nel senso più profondo, radicale, della impossibilità che l’opinione possa mai essere verità. L’opinione è al più verità contingente. All’opposto sta ciò che non può essere smentito.

Ora. Se si tiene fermo questo senso dell’opinione, opposto al senso della Verità, allora tutto ciò che sta nella percezione di cui si ha esperienza sensibile, alla luce della contrapposizione posta da Arminio,è Verità.È l’Evidenza. È verità immediata, pura, perché non ha bisogno di pensamenti.

È come se Arminio dicesse: non perdetevi nelle opinioni, immergetevi nella verità della percezione «con la postura del cane» tenendo «lo sguardo basso, attaccato ai dettagli».Per cui. Tutte le cose di cui si ha e si può avere esperienza meritano attenzione, non le opinioni.

Per far emergere la dimensione più nascosta, va tenuta presente l’ipocondria.L’esistenza di Arminioè completamente immersanel terrore della morte, per sua reiterata ed esplicita dichiarazione – è il tema di fondo di ogni suo scritto. E questapaura angosciosa è il motore di tutto l’agire paesologico, poetico e politico.

Ebbene. Intendo avanzare questa tesi, un po’ provocatoria, che il senso della morteche impaurisce con sensibilità diverse tutti gli umani, e che nel nostro tempo ha raggiunto forse il culmine del tragico, non è una verità della percezione. È solo la più consolidata e indiscussa delle opinioni.

Nessuno può avere esperienza della morte. Si ha sempre esperienza della morte altrui.Qual è il contenuto di questa esperienza? Di cosa esattamente si fa esperienza di fronte alla morte di ciò che è altro da ciascuno di noi?

Si assiste all’uscire del qualcosa che muore dall’esperienza. Viene meno la relazione sperimentata con ciò che si sottraealla percezione.Perciò la verità dell’esperienza non può dire nulla su ciò che staall’esterno dell’esperienza stessa, se non appunto questo: che non lo si percepisce più – quando è uscito– o non lo si percepisce ancora – quando è fuori.

E invece, la convinzione più diffusa e ampiamente consolidata, la convinzione fondamentale, è che ciò che ancora non sta nell’esperienza o che non vi sta più, sia la non-esistenza: ossia nulla.

Ma questo, la verità dell’esperienza non può dirlo. Dunque che le cose,prima del nascere e dopo il morire, abbiano questa sorte, la nullità, così come qualsiasi altra sorte pensabile, è un’opinione. Ciò che sta fuori dall’esperienza lo si può solo opinare.

Quanto più si è convinti,invece, che la non-esistenza siaun’evidenza, sia verità della percezione sperimentata, tanto più ci si avvolge nell’errore dell’opinione. E di conseguenza nell’angoscia estrema, quella della morte annientante. In un certo senso si può dire che siamo gli artefici della nostra più profonda ipocondria.

Il contenuto dell’opinione è errore. Ma è una verità dell’esperienza l’opinare. Come mai abbiamocosì bisogno di opinioni?Anzi, si può dire che viviamo di opinioni.È una verità dell’esperienza di noi umaniil non contentarci di esistere.Per sopravvivere abbiamo bisogno – anzi viviamo, è questa la nostra vita – negando l’evidenza: negando, più o meno inconsciamente, la verità delle cose che si vanno percependo.

Quando non ci piacciono vorremmo annientarle, in modo che non abbiano più a tornare.Eci siamo convinti che sia possibile perché opiniamoda millenni che la non-esistenza sia la loro condizione di fondo. Quando ci piacciono vorremmo che mai uscissero dall’esperienza, ossia, secondo l’opinione dominante, che non si annullassero.

La poesia è tra le arti più venerande ed efficaci. Il poeta capace compie un artificio veramente prodigioso: commovendo il lettore, sollecitandogli le capacità percettive, traduce la non-verità dell’opinione, in cui anche la poesia consiste, in verità della percezione. La poesia, come altre arti, traccia la memoria. È l’arte di mantenere (mnéme) in relazione con la percezione ciò che esce dalla percezione stessa.

Cartoline dai morti è una delle opere di Arminio in questo senso esemplare.Consiglio a tutti di leggerla.A“La luna e i calanchi” dell’agosto scorso, Rocco Papaleo ha letto in un vicolo suggestivo di Aliano questo centinaio circa di poesie brevissime in un’interpretazione sottilmente ironica strepitosa.Il poeta fa direai morti la loro morte. Ci fa percepire, come fosse possibile, l’impossibile esperienza della morte.

Per concludere ne leggo una di due righe,scelta non del tutto a caso:

Io quelli che non hanno paura della morte non
li ho mai capiti e adesso li capisco ancora meno.[3]

Se così stanno le cose, Franco e molti altri non mi possono capire. Ma io – che non mi ritengo ipocondriaco –mi “vanto” di capirli un po’ tutti …

 

[1]F. Arminio, Verso la paesologia, in N. Flora, E. Crucianelli, I borghi dell’uomo. Strategie e progetti di ri/attivazione, LetteraVentidue 2013, pp. 22-23.

[2]F. Arminio, Geografia commossa dell’Italia interna, Bruno Mondadori 2013, p. 90-91

[3]F. Arminio, Cartoline dai morti, Gransasso Nottetempo 2010, p. 90

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

Una opinione su "Geografia commossa dell’Italia interna"

  1. = Lioni, 16 Luglio 2014, ore 13:05 =
    Amici,
    avevo letto il post qualche giorno fa e mi ero riservato una rilettura meditata.
    Ne ho colto il pregio nella farcitura argomentativa-esplicativa.
    Sono dense e illuminanti le correlazioni evidenziate e, al tempo stesso, stimolanti.
    Leggere con attenzione permette di interiorizzare concetti e di riscoprire molti assunti riposti
    in noi, ma, ahimè, troppo spesso non visitati ed ordinati.
    Scopo della letteratura e della poesia è questo indagare percettivamente il mondo,
    io nostro “io” inquieto e rendere noi stessi come dimostrazione del “sé” avendo cura degli altri.
    Chi scrive poesia lo sa bene, chi scrive dopo aver letto come lo fa Francesco Ventura trova una
    energia fluida che mescola sensibilità trovando luce per le risposte al tempo concitato del presente e,
    soprattutto, ancoraggi tra anime pensanti…
    Grazie di cuore a Francesco, a tutti i lettori del blog:-)!
    Un grande abbraccio, arrivederci ad Aliano 2014,Gaetano

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