Transumanza….in viaggio su due piedi.

Le pecore non hanno mai goduto di grande considerazione, mentre il gregge, a parte l’eccezione della metafora evangelica, è sempre stato termine spregiativo, sinonimo di pavida sottomissione. E le cose sono decisamente peggiorate da quando lo stesso lupo, che pure non aveva una buona letteratura, grazie agli ecologisti ha cessato di far la parte del cattivo. «Anche in una regione da sempre legata alla civiltà delle pecore come l’Abruzzo – osserva Pierluigi Imperiale, direttore dei servizi veterinari dell’Asl dell’Aquila – non si trovano peluches di agnelli e pecore per far giocare i bambini come negli altri paesi europei. È solo un indizio di una grave rimozione. Ci dimentichiamo dell’economia pastorale che qui è stata l’attività predominante fino agli anni Cinquanta. Perché si crede così di voltare le spalle a un emblema di povertà».
«In realtà è un pregiudizio che colpisce le radici della nostra cultura – rammenta il dottor Imperiale – perché l’allevamento delle pecore è stato per secoli una fonte di grandi ricchezze. Lo testimoniano le numerose chiese dell’Aquila e i palazzi della ricostruzione barocca a inizio Settecento, dopo l’ennesimo terremoto, favorita da un’apposita, lungimirante esenzione fiscale sugli ovini. Palazzi splendidi fino all’ultimo sisma del 6 aprile 2009. La stessa famosa basilica di Collemaggio, rimasta ora senza cupola, fu pagata dai lanaioli che rifornivano di panni pregiati la Firenze del rinascimento. Nei periodi più prosperi della pastorizia sui pascoli delle montagne abruzzesi vivevano più di tre milioni di capi. Ma solo d’estate, perché sulle soglie dell’autunno le greggi migravano verso la pianura e il mare per svernare nell’entroterra di Foggia. Era la civiltà della transumanza, l’allevamento pendolare e stagionale tra pianura e montagna che ha caratterizzato per secoli l’economia del l’Italia centro-meridionale». Una volta a scuola si studiava I pastori del pescarese Gabriele d’Annunzio che in pochi versi ricapitola usanze millenarie: «Settembre, andiamo. È tempo di migrare. / Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori / lascian gli stazzi e vanno verso il mare / … / E vanno pel tratturo antico al piano, / quasi per un erbal fiume silente, / su le vestigia degli antichi padri».
L’immediato dopoguerra ha segnato una svolta nella transumanza. Negli anni Cinquanta sono state attrezzate carrozze ferroviarie, ma presto è subentrato il trasporto su camion, mentre l’allevamento ovino è crollato. Oggi sulle pecore vivono tra Abruzzo, Molise e Puglie circa duemila famiglie, con una media di trecento capi ciascuna allevati per il latte, i formaggi e la carne. Non più per la lana che, come in un mondo capovolto, oggi è diventata una merce che non ripaga il costo della tosatura e spesso letteralmente un rifiuto.
Ma restano i tratturi, le antiche vie della transumanza che collegano l’Appennino alla piana di Foggia. Il dottor Imperiale, fedele alla sua vocazione di «ultimo veterinario condotto del Gran Sasso», perché ha cominciato a curare pecore, vacche e cavalli quando la sua professione nella comunità agropastorale incarnava un’autorità morale di riferimento, è anche l’animatore di un gruppo di lavoro che da una dozzina d’anni opera per rimettere in uso il tratturo L’Aquila-Foggia, chiamato nelle antiche carte Tratturo Magno. Il grande tratturo lungo 244 chilometri, il più importante del reticolo che collega i pascoli montani con quelli invernali è in abbandono ma resta fortunatamente di proprietà demaniale. Era un tempo una specie di autostrada d’erba che si snodava a perdita d’occhio su e giù per valli e colline perché le antiche leggi aragonesi imponevano fosse largo 111 metri. L’unità di misura originale è ignota, ma la larghezza di fatto risulta quella, così ampia per garantire il pascolo alle greggi in transito di migliaia di pecore senza danneggiare le colture attraversate.
La rinascita del Tratturo Magno secondo Imperiale, il nucleo dei suoi collaboratori e la pattuglia di pastori che aderiscono entusiasti, non potrà avvenire con progetti finanziati dall’alto. I convegni e gli stanziamenti si sono risolti finora in sperperi di denaro pubblico. L’antico tratturo dei pastori potrà risorgere se diventa un percorso di trekking a tappe che mette in moto dal basso un’attività agrituristica spontanea lungo il cammino, con l’adesione locale delle scuole e dei tanti comuni che attraversa.
Per questo dal 2007, il 29 settembre festa di San Michele arcangelo, patrono delle grotte e delle sorgenti, parte dalla basilica di Collemaggio un plotone di camminatori con un gregge di rappresentanza, alcuni pastori e i loro cani, per ripercorrere in nove tappe l’antica via delle pecore, sognando un Camino di Santiago nostrano. Imperiale e i suoi compagni hanno pubblicato nel 2008 con la Regione Abruzzo la Prima guida del Tratturo Magno, con cartografia dettagliata faticosamente ricostruita con apparecchi Gps da Stefano Renzoni e Assieh Latifi. Anche dopo il terremoto, nel 2009 e 2010, hanno continuato a ripercorrere il trekking con nuovi volontari, passando anche dalle rovine di Onna e ora si apprestano a ripartire la mattina del 29 settembre da Collemaggio. Chi vuole può aggregarsi scrivendo a tratturomagno@gmail.com. Bastano scarpe da marcia, uno zainetto, sacco a pelo leggero e materassino per dormire sul pavimento nelle chiese o nelle antiche masserie come i boy-scout. E i pastori di una volta.
Pietro Crivellaro

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