poveri fessi

di pasquale vitagliano

I panni sporchi si lavano in famiglia. Ma si stendono in terrazza. Fa niente che sotto c’è Piazza Cavour, e sopra, di fianco la Torre dell’orologio. Nei giorni di sole, quando la roba può asciugare prima, il milite ignoto se li ritrova di fronte: camicie e canottiere, pantaloni e mutandine, lenzuola e tovaglie. E coloratissime, più di una bandiera della pace.
Questo scatto fotografico, senza volerlo, è il simbolo più loquace della nostra comunità: antica e austera come la torre normanna, ma in brache di tela. Questa è Terlizzi, la città di Nichi Vendola, sintesi perfetta delle virtù e dei vizi italiani. Generosa ma individualista. Ospitale ma litigiosa. Patria del “tengo famiglia”, culla dei furbi e pena dei fessi. Una città dove una sedia di vimini sulla strada può servire ancora per impedire che si parcheggi davanti all’uscio del pianterreno. Dove qualcuno si disegna in autonomia il simbolo del passo-carrabile, mentre un altro, incazzato, scrive sulla saracinesca del garage: Ma non lo vedete che ho pagato il passo-carrabile? Questa è la città dove per fare un’iniziativa culturale devi pagare la tassa di occupazione di suolo pubblico, mentre un bar, una pizzeria, o qualsiasi altro può impossessarsi di un intero marciapiede, chiudere una strada o privatizzare un’area. Che ci fosse la movida terlizzese almeno si andrebbe avanti. Ed invece, da un lato c’è l’happy hours, dall’altro, invece, vendono in un localetto le cime di zucchine. Che se si ferma la signora per la spesa col suo Suv, stiamo freschi, il traffico diventa peggio che a Bari. Le strade sono sporche, per anni restano senza segnaletica, ad eccezion fatta per le cacche di cane da passeggio. Le villette sono in stato di abbandono. I quartieri di periferia sono assediati dalla sterpaglia. Corso Dante da essere un boulevard, è diventato un orto. Se uno cerca, sotto qualche albero gli potrebbe capitare di trovare una cicoria. Questa è Terlizzi, una città con la pista ciclabile, ma senza biciclette; una città che procede alla velocità dei pedoni, ma senza marciapiedi; una città soffocata dal traffico eppure immobile; senza parcheggi, salvo per i privilegiati di Largo Regina Margherita (gli unici in tutta la città ad avere un parcheggio riservato dal Comune). Terlizzi, infatti, è proprio un paese senza sosta, che gira a vuoto, come in una inguaribile coazione a ripetere i propri difetti e i propri vizi. E’ una città ricolma di risorse nascoste, eppure dominata dalla piazza dove ciascuno, come per l’Italia del pallone, pretende di sapere come vadano le cose, e poi con altrettanta sicumera pretende si spiegarti perché le cose sono andate in modo opposto.
Ricchezza privata e povertà pubbliche. Questa città è così da anni, forse da decenni. Non l’ha cambiata l’era del centro-destra, non l’ha cambiata l’era del centro-sinistra. Terlizzi è uguale a se stessa, uguale ai propri cittadini e uguale a chi l’ha governata. Vogliosa di cambiare. Ma non troppo. Fino ad un certo punto. E perché? Perché, sai?, io tengo famiglia. Terlizzi è andata avanti come una famosa contrada di Terlizzi, prima di campagna, poi urbana, sempre più abitata. Rimasta sterrata per tanti anni. Poi, finalmente, decidono di asfaltarla, se non che il politico di turno, che abita in una contrada più vicina, cancella dal programma la prima e inserisce la sua. Ma finalmente, cambia la politica, cambia la musica. Arriva l’asfalto anche se con ritardo. Adesso ci vuole acqua e luce. Gli abitanti della contrada raccolgono le firme: sono tanti e pagano le tasse come tutti. Ma se luce e acqua mancano anche in zone centrali del paese, rispondono al comune. Anche in questo caso bisogna aspettare il politico di turno. E’ bastato che vi sia andato ad abitare. E’ stata una fortuna. Ma non per tutti. Per quelli che abitano fino all’altezza della sua villa. Per gli altri. Nulla. Al palo. E la villa del politico non si trova proprio all’inizio della strada.
Terlizzi e l’Italia sono così. Nessuno si senta escluso. Nessuno si senta offeso. Ne ho avuto conferma occupandomi della questione della stipula degli atti che trasformano il diritto di superficie in diritto di proprietà per centinaia di cittadini abitanti nei quartieri di “167”. “Come è possibile che ci voglia così tanto tempo”, si lamentano in molti. Mi interesso, scrivo, chiedo. “Gli atti da fare sono tanti e non ci sono impiegati per fare questo lavoro”. Che fare? Propongo di sollevare una vertenza pubblica a tutela di interessi diffusi. Ma no! Che vertenza! Meglio non sollevare polveroni. Tengo famiglia. So a chi rivolgermi. Così ti chiamano subito. In fondo, se non ti dai da fare da solo, come pretendi di risolvere i tuoi problemi?
Se penso a come uscirne fuori, c’è da avere sconforto, anche se non mancano segnali autentici di rinnovamento delle nostre condizioni di vita. Certo la politica non è più sufficiente a dare risposte, almeno se intesa e agita in forme tradizionali e idee superate. Mi viene piuttosto in mente Signori e signore buonanotte, un vecchio film di Pietro Germi degli anni ’60 che raccontava un’Italia ottimista e in crescita, eppure non diversa da quella che conosciamo oggi. “Ma se la festa dura da mezza-sera a tutta-sera, io, fuffi, cosa mi metto un abito da mezza-sera o uno da tutta-sera?”. Restiamo ancora l’Italia di allora, solo e per intera concentrata sulle nostre “feste”, dallo scudetto agli europei, dalla sagra di quartiere alla festa patronale, alle quali partecipano tutti, ora servi, ora servitori, in giro di valzer, oggi vinti, domani vincitori. Tutti a festeggiare. Salvo gli esclusi. Sempre gli stessi. Poveri fessi.

Pasquale Vitagliano



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Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

3 pensieri riguardo “poveri fessi

  1. Condivido in pieno il quadro della cultura dominante amministrataiva dei nostri Comuni . I cittadini non hanno strumenti ed autorità presso cui rivolgersi per ottenere giustizia contro l’uso discrezionale e ricattatorio del potere.Sono autorizzati dalla legge positiva(corrente) ad essere irresponsabili delle loro azioni senza l’obbligo di motivazione.Ecco perchè non siamo considerati cittadini e le città non è dei legittimi cittadini. Nei Comuni e in genere nelle Pubbliche amministrazioni non hai diritto nemmeno ad una risposta motivata(spesso nemmeno ad una risposta) se non ti rivolgi ad un consigliere o ad un amministratore, di cui assumere l’attegiamento di cliente. Povera Democrazia e poveri noi! Qualche anno fà fu inserita una norma nella legge finanziaria ,dal governo Prodi, che prevedeva l’obbligo del responsabile del procedimento di prendere atto delle osservazioni del cittadino su una decisione assunta dall’ufficio e qualora si fosse andato in giudizio rispondeva personalmente delle eventuali condanne per spese e danni conseguenti; ciò responsabilizzò i dirigenti pubblici e emarginò le funzioni degli intermediari politici. L’anno successivo tale norma fu eliminata.

  2. vorrei comentare, ma la carenza di ossigeno in questa città bollente che é torino, mi impedisce qualsiasi ragionamento decente… grazie per questi bellissimi articoli.

  3. Ho letto l’articolo bello mi e’ piaciuto molto…ho letto tra le righe quello che pensava mio Padre di Terlizzi…la gente…..sempre la gente….tengo famiglia……anche mio Padre aveva famiglia …..ha rotto le scatole a tutti ….non si lasciava intimorire….ma loro sono stati piu’ forti.
    PS: sono bloccata con facebook posso leggere e vedere tutto ma non posso commentare altrimenti lo avrei fatto molto volentieri da li…..Ciao 🙂

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