metto qui una recensione su terracarne uscita ieri sul corriere della sera, edizione pugliese. il mio prossimo passaggio pugliese sarà il sedici nel brindisino per la presentazione del libro collettivo “montagne”. il 18 sarò a gravina, dove ci sono cose assolutamente meravigliose.
Bandiera bianca
Elio Paoloni
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Franco Arminio, fondatore e amministratore unico della paesologia (una via di mezzo tra l’etnologia e la poesia) continua a refertare dall’Irpinia d’Oriente: Terracarne (Mondadori, pagg. 353, € 18) sembra seguire il solco di altri suoi libri ma se nel primo, Viaggio nel cratere (Sironi 2003), il reporter si teneva scrupolosamente sullo sfondo, qui l’autore, già più visibile nei testi successivi, è subito in primo piano con le sue vicende e i suoi umori, senza temere l’aforisma o il lirismo (il lirismo asciutto di questo poeta, prosaico anche nel vertiginoso). L’ambito geografico è inoltre più vasto: non più solo Irpinia d’Oriente ma Puglia, Campania, Abruzzo, anche se Arminio si guarda bene dal trasformarsi in un ricognitore dell’eccezionale, dell’inaudito, del memorabile: il paesologo, che non è un sociologo, o un passatista, o un idolatra della cultura locale, visita i paesi perché è “un modo di rendersi conto della incompiutezza perenne della vita”; si muove verso il residuo, lo sgraziato, il non visto. Verso il minimo, il minore. Ma nel regno dello sconforto si possono anche ritrovare senso e speranza: senso perché “il mondo ha più senso dov’è più vuoto”; speranza perché Arminio, non più solo flaneur della desolazione, individua e valorizza nei paesi atteggiamenti ‘virtuosi’. Non è facile dire in cosa consista questa virtù. Più una postura, a ogni modo, che un programma, un piano edilizio, un criterio amministrativo: un Sud che “si dispone a giocare con l’assurdità della vita, con la sua instabilità costitutiva”.
Nei primi capitoli ci si imbatte in qualcosa di più di una dichiarazione di poetica: un vero manifesto, quello della Resa. “Non ci si arrende solo rispetto all’idea di inseguire il mito dello sviluppo, ci si arrende all’idea di essere qualcuno o qualcosa”. Come i downshifter, gente che ha fatto un passo indietro nella professione, nella vita, Arminio trova che questo tempo “in cui non ci sono promesse credibili” sia una grazia. Vuole raccontare uno sfinimento che contiene “cinismo e nobiltà, lietezza e malumore”. Potrebbe sembrare un atteggiamento vile, dannoso, un ripiegamento nell’abulia secolare che perpetua l’arretratezza meridionale. Ma non è così: la decrescita può essere una conquista. Rifiutare la lotta per qualcosa cui non riconosciamo valore (la crescita, i beni, i servizi) è un atto di coraggio, di indipendenza, che non è né rivolta né ribellione: è solo una resistenza intima. “Adesso siamo assonnati e stanchi e in questa stanchezza possiamo solo prenderci cura di chi ci capisce e di chi capiamo. Non è tempo di stare con tutti, non è tempo di fare ogni cosa. Possiamo solo fare poche cose, dobbiamo ridurre i nostri impegni, sgravare il carico che portiamo addosso. Dobbiamo lasciare un po’ di vuoto nelle nostre giornate, dobbiamo lasciare che tra un impegno e l’altro non ci sia niente”.
Arminio percorre i suoi luoghi per ‘vedere’. E ‘vedere’ davvero vuol dire amare. “Osservare il mondo come una forma di preghiera”. Già, come ogni intellettuale che si rispetti il nostro si considera avulso dal sacro; appartiene alla folta schiera di coloro che, se mai si riconoscono una religiosità, la arginano immediatamente, diligentemente, con l’aggettivo “laica”. Ma in Terracarne trovi passi scandalosi: “nei più nascosti luoghi, nei nidi del silenzio e della luce, qualcosa ancora si protende verso di noi, come se fosse consapevole del suo non potersi mostrare”; “amare quel che c’è, la pioggia quando cade, il sole quando splende, amare le cose che si ripetono… riconoscere che tutto ciò che abbiamo si riceve, e c’è solo da ringraziare”;
“in alcuni giorni, in alcuni minuti, c’è un attimo di bene che vaga per il mondo: è il caso di riconoscerlo e nominarlo”. Nominare il bene: puo’ esserci proposito migliore per uno scrittore? Ricordarsi di ricordarlo ai noiristi radicali.
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