Raccontare il futuro dell’umanità

metto qui un mio pezzo uscito oggi su il manifesto.

saluti a tutti

da franco arminio
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Come si fa a parlare oggi di comunismo e di sinistra senza pensare alla rete, senza fare riferimento al fatto che la rivoluzione non l’ha fatta la sinistra e non l’ha fatta il comunismo ma la sta facendo la rete? Al posto dello spazio e del tempo ci sono i luoghi e nei luoghi e per i luoghi bisogno costruire prospettive specifiche, non astrazioni buone per tutti.
Il capitalismo è una società irreale. Il problema degli anticapitalisti, e dunque di chi fa il Manifesto, è quello di non essere irreali. Parlare di classi in una condizione post-comunitaria e perfino post-sociale, ci condanna a non capire molto dell’epoca che stiamo vivendo. E fare una lunga analisi dello stato delle cose ignorando il ruolo della rete significa che stiamo facendo solo la manutenzione delle nostre passioni senza capire le passioni degli altri.
Il Manifesto deve fare il suo lavoro considerando che prima c’erano gli individui che facevano parte di un sistema. Adesso quasi ogni individuo ha il suo sistema. Siamo nell’epoca dell’autismo corale. La cifra del mondo non è la crisi, ma la malattia. La scena non è dominata dal conflitto ma da un’agonia ciarliera.
Il Manifesto deve aiutare a costruire comunità, deve perseguire l’estremismo di mettere fine al dominio dell’economia sulla società. Gli interessi dei ricchi sono diversi dagli interessi del pianeta. Bisogna costringere i padroni dell’economia a tener conto non solo degli interessi di tutta la popolazione, dunque di tutti gli umani, ma anche di ciò che umano non è, per esempio gli animali e le piante. Il problema non è avere più salario, più servizi. Il problema è avere ancora un mondo, un mondo che sia per tutti e di tutti.
Le società basate sulla crescita sono spiritualmente finite. La sfida dei prossimi secoli è stare al mondo senza il miraggio della crescita. Si può fare un nuovo tipo di vita economica e sociale solo se riconosciamo che il mondo delle industrie e la vita economica e sociale che produce è un mondo morto, che produce solo morte. La crisi in corso non è altro che un gigantesco funerale senza salma e senza cimitero.
Si esce dalla crisi con la democrazia non con la crescita. Rivitalizzare la politica proprio mentre la si combatte. Essere allo stesso tempo infermieri e sentinelle della politica, controllori e assistenti, questo è il compito a mio pare di un giornale come Il manifesto.
Difendere non solo interessi economici, ma diritti. Per esempio il diritto di un paese a non avere sul suo territorio un inceneritore o una discarica o un tunnel.
Le persone, le comunità provvisorie in cui si organizzano, sono molto più centrali dei sindacalisti e dei politici nel gioco della post-società. Le persone possono difendere i diritti del tutto prima ancore che i diritti di tutti. L’esempio di Taranto è lampante. I sindacalisti e i politici lì avevano accettato un’industria killer che adesso pare insostenibile. La nuova società la formeranno non i partiti e i sindacalisti, la formeranno gli individui convinti e appassionati, quelli che amano la vita, quelli che soffrono, quelli che accarezzano i cani, quelli che camminano per guardare i paesaggi, quelli che leggono i libri, quelli che aiutano a rialzarsi chi cade.
Non abbiamo bisogno di liberismo e neppure di riformismo. Non bisogna conservare e neppure aggiustare, bisogna costruire un oggetto nuovo. Ci vuole meno tempo di quel che si pensa. L’oggetto nuovo non si costruisce con un piano, non matura dentro le istituzioni, dentro le grandi organizzazioni internazionali. L’oggetto nuovo lo costruisce chi sta ai margini della scena, chi tenacemente osserva il mondo esterno e il mondo interno, chi accoglie lo sconcerto di essere al mondo, chi dà gloria alle cose belle che ancora ci sono al mondo.
Ammirare oggi è il primo gesto politico, ammirare è la più vera e più grande forma di contestazione all’esistente. Ammirare è un’obiezione serena, è una rivoluzione che mette il mondo dei camerieri con le spalle al muro e dà spazio agli spiriti grandi che ancora ci sono. Il mondo è morto, ma tra gli uomini e le donne ci sono ancora esseri mirabili. Il compito del Manifesto è riconoscerli e farli riconoscere. Non sono gli affiliati la nostra speranza, ma gli estrosi, i solitari, i bizzarri, in una parola quelli che sanno meglio interpretare quest’epoca che è solitaria e bizzarra.
Il Manifesto non può “vendere” il racconto su ciò che deve essere la sinistra o il comunismo, ma un nuovo racconto sul futuro dell’umanità, tenendo conto che al mondo non esiste solo l’umanità.

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

7 pensieri riguardo “Raccontare il futuro dell’umanità

  1. …. il “daimon” che perseguita Franco ha colpito ancora!….abbiamone cura con gioia e segni di affetto……dire che “mi piace” è semplicemente riduttivo….mi piacerebbe discuterne approfonditamente per punti……è possibile che noi “percettivi meditativi” troviamo questo “tempo e spazio” per parlarne ????????

  2. grazie mauro. sarebbe bello se qualcuno ascoltasse questo pezzo. a volte veniamo riconosciuti come scrittori proprio per essere più ascoltati.

  3. volevo dire per “non essere più ascoltati”.
    comunque su questi argomenti elda ha detto cose più forti e chiare.

    1. rimango sempre ammirata davanti ad uno scritto di Arminio, Ma poi mi vengono tante domande che nascono da perplessità. vorrei capire meglio;forse ho dei grandi limiti ed oltre la poesia che scovo in ogni rigo,rimane in me un senso di vaghezza che mi disorienta. La decrescita avrà pure dei buoni presupposti,ma certo non sana gli squilibri che permangono. A meno che non vogliamo aspirare ad una società bucolica, il solo sguardo nuovo non risana.Un manifesto diventa un proclama se ammalia i cuori e non spinge ad agire al di là dell’ammirazione.Se è vero che il mondo è malato,è pur vero che lo siamo tutti perchè pochi “sani” ai margini del sistema,se non si ancorano a progetti chiari,rimangono meravigliose creature visionarie che credono di avere gli anticorpi,restando come monadi,legati alla propria bolla in cui lievitano sogni e passioni che pur contano,ma che non contribuiscono a cambiare la fame,il disagio,la lotta fra chi ha e chi non ha,senza dare risposte a chi nelle tasche ha soltanto la propria disperazione.
      ritengo che i diritti siano senza priorità,nel senso che le priorità toccano a tutti;se su un territorio c’è gente senza lavoro(perchè non si parla di disoccupati??),si va a difendere il territorio e pure il lavoro. Il problema consiste nella capacità di non farli confliggere fra loro.Le narrazioni sulla politica,rimangono quello che sono: narrazioni! Quando Arminio scriverà un libro in cui il messaggio del mutamento che auspica si coglie,le sue narrazioni,la sua letteratura avranno il pregio di aver saputo raccontare il futuro perchè ha saputo declinarcelo pagina per pagina,,trasfigurando la realtà,andandone oltre,pur restandoci dentro
      Se poi scinde i piani,quello letterario e quello sociale,facendo lo scrittore e il promotore di eventi( che non è cosa malevole),deve capire che può spiazzare,alimentando dicotomie che mi fanno avere nostalgia di quell’uomo che preso da malinconia,girovagava fra i paesi,facendocene cogliere l’animo.

      1. rimango … ritengo … rilascia … lasciati … abbandona la nostalgia … si potrebbe facilmente trasformare in rimpianto

  4. Sento mia la lettura di Franco, anche se parto da storie e luochi diversi. Taranto è il paradigma della nostra crisi di codici, prima ancora che di corpi e di danari. Dentro e sull’Ilva si scontrano tre parole-valori tipicamente di sinistra: il lavoro – l’ambiente – la giustizia. Questo dimostra che non siamo più in grado di “leggere” questa nuova realtà. Restano i bisogni tangibili, se non ci fossero questi, cadremmo nell’indistinto e nel cinismo: ancora oggi c’è la salute e la malattia; la fame e l’opulenza; il diritto e il sopruso. Facciamo un gioco: se il comunismo non fosse mai stato sperimentato nella storia; se ci fosse una classe di “rivoluzionari” testimoni con la loro vita di una concreta volontà di cambiamento, saremmo lo stesso disorientati di fronte alla crisi? Dico di no. Oggi mancano idee e uomini. Solo la sofferenza di milioni di esseri umani resta, antica, antichissima.
    Pasquale Vitagliano

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