L’ospedale di Bisaccia alle dieci di sera. Il portiere, la piccola televisione accesa, l’infermiere, il tracciato, il medico che risponde a un altro medico che gli chiede di portare un paziente. Portalo, gli dice, ma è come se lo portassi a casa mia. Qui non abbiamo niente.
Passeggiata notturna senza pensieri, giusto per scolare il giorno, quella goccia che non cade mai, che rimane attaccata al fondo. Noi siamo il fondo di noi stessi, nient’altro. Quello che affiora è sempre un gioco, un equivoco.
Mattina nel letto, le voci del computer, un bosco senza lupi, i bosco è fuori, è nel paese subito dietro la piazza, verso via Santa Croce, le porte sfondate, il materasso per terra, le ragnatele. Dentro e fuori le case lo stesso cielo, un sapore di nebbia senza la nebbia, un ospedale senza medici, una frana che non si muove.
Domani riparto, ho un luogo da cui partire, è un paese che posso nascondere dentro un dente bucato, un paese fuori da ogni abbraccio, da ogni miraggio. Un luogo ormai fuori dalla vita e dalla morte. Una desolazione che deperisce.
armin
non ho luoghi dove arrivare.Sono assenti le strade sulla mappa del cuore;resto impigliata su mattonelle di ragnatele.Non fuggo: rimango sulle pietre e vorrei prato d’erba per i miei piedi.Passeggio di notte sui pensieri e faccio sogni di castelli distrutti.Cado su frane che smottano.Non piango la mia morte
ovunque io sia
sono sempre nello stesso posto
al riparo
nel mio sogno nascosto
quel luogo del futuro
non ancora proposto
quel punto del bosco
dove ancora non mi sono risposto
è sull’orlo che si vive. me lo hai insegnato tu.
il sei dicembre ,poi ti mando la locandina.