Tre letterine dell’ultimo giorno dell’anno

1.
Ho un sospetto: le famose ansie natalizie forse non sono dovute tanto alla festa ma a una particolare esposizione della terra in questi giorni. Ci sono corpi che sentono questa furia nera dell’universo, questo fatto che siamo senza scampo, come se la terra fosse accampata sotto un viadotto ed è finito il fuoco. E questo farsi gli auguri allora ha poco a che fare con l’anno nuovo, perché se fosse per questo il primo settembre è un giorno più nuovo del primo gennaio, il primo settembre iniziano tante cose mentre il primo gennaio non comincia niente. Le persone sentono, ognuno a suo modo, questa cruna dell’ago in cui stiamo passando e da cui potremmo anche non uscire. Ci sta succedendo qualcosa che forse ha a che fare col fatto che la sofferenza umana non è più una condizione morale, una lezione da cui apprendere il futuro, ma una deserto che non vogliamo attraversare in alcun modo. Gli auguri che mi posso fare e che vi posso fare è di attraversare le giornate, poche o tante che siano, ascoltando il dolore nostro e degli altri. Non abbiamo una nicchia in cui ritirarci, siamo su una zattera dentro un oceano. Possiamo abbracciarci, tremare un poco assieme, parlare di questo nostro poco riconoscerci, di questo non saperci abbracciare e tremare un poco assieme.
 
2.
Può capitare che restiamo soli. Gli altri esistono per fare ogni tanto quello che noi facciamo in continuazione. L’altro è saltuario, facoltativo, tu sei fisso, sei infisso nel tuo essere e non hai nessun modo di uscirne se non con il morire. Allora un piccolo esercizio che potremmo fare è riconoscere la fissità dell’altro, il suo non poter cambiare, il suo non poter venire da noi: l’altro non ci può accogliere, non si può spostare, dell’altro ci può arrivare solo una folata di vento e possiamo sperare che sia un vento caldo, profumato, che non sia un giro di grandine. La vita sociale è fatta per farci dimenticare la nostra condizione di sventurati. Bisogna pensare a una vita sociale che ci dica le sventure di ognuno, che ci dica il bene di ognuno. Facciamo già in noi stessi una nuova vita sociale, ascoltiamoci prima di andare a dormire, ascoltiamoci appena svegli, e ascoltiamo le cose, il fuoco che si è spento nel camino, i piatti muti e puliti che non sanno più dirci qual’era il piatto dove abbiamo mangiato. La vita sociale dentro di noi significa sapere che possiamo evitare di ammalarci, possiamo rinviare la malattia, possiamo avere tutta la vita con pochissima malattia se passiamo il tempo a guardare, ad essere attenti. Siamo sani se ci arrendiamo alla nostra solitudine, se consideriamo che gli altri possono aiutarci veramente: io adesso so che domani mattina potrò ascoltare qualcuno, perché sto già vedendo con dolcezza la fissità delle cose: le sedie sparse nella stanza, le bottiglie di ieri sera, il rumore della stufa, le lucine di Natale che pulsano ed è un pulsare che a guardalo bene non è così banale come ti può sembrare quando hai altro da fare, quando sei impicciato con la tua vita. Arrendersi significa darsi tempo per incontrare le cose, tutte le cose. La resa è una forma altissima di amore.
 
3.
Bisogna riconoscere la propria stella. Il mio andare nei paesi non prevede compagnie e questo me lo chiedono i paesi. Quello che hanno da dirmi me lo dicono quando sono solo, quando sono nel mio panico. Il paese ti dà confidenza quando stai per morire, quando sente il tuo spavento, solo allora ti può consegnare il suo. E ti consegna anche la sua letizia immotivata, la letizia senza scampo di essere sotto la luce del sole. Una volta che hai capito la tua stella puoi solo farla brillare, tenerla pulita, pulire lo sguardo guardando le stelle degli altri, sapere che è uno sguardo che puoi gettare ogni tanto. Non è facile riconoscere la propria stella, bisogna percepirsi senza attenuazioni, senza compromessi, siamo questa cosa qui e non altro, possiamo fare quello che stiamo facendo e non altro. Il mondo si è aggrovigliato perché è uscito dalla dimensione del sacrificio, la stella non è una cosa che si compra, non è nemmeno un regalo di un libro o di una notte d’amore. La stella siamo noi che poco alla volta dobbiamo prendere posto nel mondo e viaggiare nella corriera della vita, sapendo che il viaggio non è andare in un posto ma è il tempo che passa. Sentire senza ira il tempo che passa, donarsi a chi sta con noi nella corriera, sapendo che non c’è nessuno alla guida: siamo viaggiatori allo sbando e questa è la stella di tutti, perché oltre a capire la propria stella bisogna capire la stella di tutti, la stella grande.
franco arminio

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

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