Il paese delle baie

Adelelmo Ruggieri

Ho trovato nella rete l’immagine di un piccolo schizzo di Scipione. È del 1929. Si trova al Museo di palazzo Ricci a Macerata. Si chiama Collepardo, Il paese delle baie. È facile trovarlo. Basta scrivere nella mascherina di Google: Collepardo. Il paese delle baie, poi cliccare su “ Cerca immagini”. Arriverà subito. Chissà dove sono andate a finire invece le sue “Carte segrete”. È un pezzo che non le vedo in giro per casa. I libri di poesia che amo è come se dentro casa camminassero a mia insaputa, una volta stanno qui, dove prima stavano quegli altri, un’altra volta quegli altri stanno al posto di quelli che, ancora prima, stavano al posto di quelli di prima ancora. Pare che tra Scipione e gli alberi durante la permanenza nel sanatorio di Arco si stabilì come una simbiosi. Ho letto una sua annotazione del 1932, l’ho trascritta: “Quando si taglia un albero avviene questo: che il nutrimento che veniva dalla terra non verrà più e l’albero morirà”. Si chiamava Gino Bonichi, era nato a Macerata 1904 e morì ad Arco di Trento nel 1933.

Certe volte, di domenica, passo il pomeriggio a guardare le strade della Croazia, della Bosnia, del Montenegro… Arrivo a Tivat, salgo verso Podgorica, la città della luce e del cielo blù… Sei fiumi la bagnano Podgorica: Moraca, Ribnica, Zeta, Sitnica, Mareza e Cijevna… Duemila anni fa alla foce dei fiumi Ribnica e Moraca sorgeva la città di Birziminium… E lì dove lo Zeta confluisce nel Moraca era Doclea… Non lontano è il Lago di Skadar… Ho raggiunto il lago di Skadar…

L’idea di creatività come atteggiamento mentale pare che venne fuori negli anni venti del novecento scorso. Ralph Waldo Emerson pensava che il potere creativo fosse tutto, poi, però, quando gli accade qualcosa di estremamente doloroso si ricredette e scrisse che “le circostanze contingenti sono la metà di questo tutto”.

Sto leggendo “Cosima” di Grazia Deledda. Vittorio Spinazzola nella sua prefazione sottolinea la singolarità del dare a un “resoconto autobiografico” una “forma romanzesca”. “Il punto – scrive – è che la scrittrice non intende effettuare una ricognizione oggettiva del mondo in cui visse bambina e adolescente. Come sempre la narratrice appare intenta a un’evocazione visionariamente sognante, in cui sono le forze degli istinti ad affrontarsi e intrecciarsi, con l’assiduità di una vicenda fatale.”

Il libro è del  ’75 ma allora non lo lessi, è intonso e ingiallito. Guardo le pagine ingiallite. È come se la carta riprendesse nemmeno il colore del legno da cui è fatta, ma delle foglie d’autunno. Poi prenderà ad infragilire e poi a farsi friabile. Intanto, a volte, non sempre, iniziano a proliferare batteri e funghi, chiazze colorate. “Cosima” termina con lei che raggiunge “la città di K***”. Appena poco prima un garzone di fioraio le ha portato “un grande mazzo di rose rosse”. Ora lei si è decisa a prendere le rose. Ma, improvvisamente, si accorge che il garzone la guarda “con occhi maliziosi” e si sente “pungere da una spina acuminata”. Poi Cosima mette le rose in un vaso e torna al balcone, e scrive: “I bambini, nella strada ancora bianca, giocavano al gioco dell’ambasciatore venuto a domandare una sposa: ed ella si sentiva trasportata nel loro cerchio, come la piccola sposa richiesta dall’ambasciatore per un misterioso grande personaggio”.

Fine



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2 pensieri riguardo “Il paese delle baie

  1. Grazie Adelelmo…….la lettura del tuo “dono” è un buon viatico per la mia giornata “pensierosa”
    spero di vederti presto
    mauro

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