di adelelmo ruggieri (da “le parole e le cose”, un sito bellissimo che vi invito a tenere d’cchio)
http://www.leparoleelecose.it/
*
Ci dovevo restare. Gli amici erano stati cordialissimi nel dirmi di raggiungerli a cena, al Centro sociale. Il 13 e 14 aprile si vota. È una tornata elettorale importante. Essere presenti di persona in un’occasione come questa è una forma di impegno necessaria. Il Centro sociale si trova nella periferia più esterna. È campagna e città insieme. Sono andato troppo presto. Allora ho iniziato a costeggiare il tendone. Quelli di plastica rinforzata, con le porte finestre ampie, trasparenti. Da fuori si vedevano le file dei tavoli. Non era arrivato nessuno. Ho preso a camminare piano, sul confine del giardino, ma intanto che il tempo passava il fatto di essere solo ha iniziato a pesarmi. Più camminavo più un sentimento di inadeguatezza mi cresceva dentro. Ho ripreso la macchina e sono tornato in città, e mi è venuta una stanchezza immane della mia persona. Ho fatto malissimo a non restare. Di lì a breve sarebbe arrivato qualcuno. E non sarebbe stato difficile vincere la timidezza della solitudine. Chi è timido facilmente si scoraggia. Ero andato troppo presto. Molto spesso, non sempre per fortuna, sarebbe un tormento perenne, timidezza ed eccesso di zelo stanno insieme. Quando sono tornato a casa mi sono messo a leggere qua e là un libro di Saul Bellow che amo molto. Si chiama Mosby’s Memories and Other Stories. In italiano lo hanno intitolato Addio alla casa gialla, il primo dei sei racconti che compongono la raccolta. Le memorie di Mosby è l’ultimo. Lo ha tradotto Paola Ojetti. Vito Amoruso dice che un filo unitario è rintracciabile in quei racconti e in quei personaggi, ed è nell’essere tutti quanti loro “l’amara radiografia di un compromesso, di una rivelazione del proprio scacco e della propria solitudine, in una svolta decisiva della loro parabola umana”.
Delle volte mi tornano alla mente particolari del tutto insignificanti della mia vita passata. In certi periodi accade più spesso del più auspicabile tornare alla mente dei particolari centrali alla tua vita. Uno di essi è questo. Stavo a Bologna a studiare. Eravamo in cinque studenti nella casa. Uno di noi se ne andò. Venne un nuovo studente che non conoscevo. Dopo che si fece conoscenza una volta gli chiesi qualcosa del tipo: “Come va?”. Era una domanda non domanda. Mi aspettavo una risposta non risposta. Lui invece prese a dirmi che stava attraversando un periodo espressionistico. “È un periodo espressionistico questo mio di ora”, così mi disse. Quella risposta stralunata mi sconcertò. Riuscii a dire soltanto: “Ami l’espressionismo?”
Il Due giugno scorso sono tornato al Centro sociale, ci sono rimasto stavolta. Volevo festeggiare. C’erano dei giovani che cantavano le loro canzoni rap. “È una cosa grossa il rap”, mi ha detto uno di loro. Ospite della serata a Calderette era Jean Leonard Touadi. Ha detto delle cose notevoli. Una l’ho tenuta a mente: nessun posto è innocuo, ma in moltissimi posti si muore di fame, in altri di liposuzione.
***
Oggi le borse sono crollate un’altra volta. Crollano in continuazione. Risalgono di mezzo punto, tutti tirano un sospiro di sollievo, e due ore dopo crollano di quattro punti. Poi, la mattina dopo, salgono di due, e il pomeriggio crollano di sei. Sono circa le diciotto. Sto andando al Centro sociale. Il solo motivo per andarci, in questo momento, sono i tre appunti trascritti sopra, così differenti tra di loro, e così distanti nel tempo. Sono passati più di tre anni.
Ecco. Sono arrivato. Il tendone è chiuso. Ci sono molti bambini che giocano. Le madri ai tavolini rotondi di cemento parlano. Ci sono due anziani che camminano e si fermano, guardano qualcosa e riprendono a camminare. Si sentono le macchine agricole sulle colline non distanti. Gli spazi del Centro sono stati destinati dalla Protezione Civile a Zona di prima accoglienza. È davvero accogliente questo posto. Hanno scelto bene. Mi sono seduto. Penso a quella benedetta frase. Credo di avere capito qualcosa. Era, a suo modo, studiata, e voleva sortire un effetto, ma il solo effetto che mi fece fu di rattristarmi per qualcosa che allora mi parve futile, oltre ogni misura. Ma non era così. La faccenda non era per niente futile, perché il nostro amico espressionistico, in quella sua frase, scambiava l’impegno dell’espressionismo con il suo contrario: l’evasione.
Sto guardando un quadro di Munch. Pare che abbia detto: “i miei quadri sono i miei diari”. Si chiama Melankol. Per vederlo basta scrivere nella mascherina di Google: “Munch Melankol”, e poi fare “Cerca immagini”. C’è un giovane che avrà la mia età di allora a Bologna. Ha la stessa espressione che sicuramente feci io, quando il nostro nuovo compagno disse quella sua frase per niente stralunata. Uno le riconosce le proprie espressioni. Le porta dentro sempre.
Il pezzo ha colori grigi come le nuvole che oggi schiacciano l’altopiano.
I particolari insignificanti della vita arano tagliando la pendenza della memoria. Adelmo Ruggirei traccia solchi dove si raccolgono le precipitazioni giornaliere. La scrittura è sempre pioggia, ma diviene letteratura solo se non è sprecata.
Un caro saluto Fabio
Hai ragione, non sprechiamo la scrittura
Adelelmo