Voglio far la Brigantessa

Le montagne del Lazio interno, le mie montagne, sono assediate dal cemento di famiglia: casotti per far vivere in eterno figli coi padri, famiglie con famiglie. Perpetua eredità di endogamia poco armata: ogni terremoto le butta giù.

Dell’Aquila abbiamo tremato la sorte, e di notte spesso noi sentiamo “i scisceri”, i respiri della terra prima del terremoto. Mi hanno insegnato a farmi croce sulla fronte mentre invoco Sant’Emidio che è il santo di Campoli Appennino: le più belle doline a imbuto che possiate vedere al centro di un paese. La mia terra è fatta degli orli di inghiottitoi improvvisi o delle cascate del Liri che attraversano paesi, di Isole d’acqua in mezzo alla terra.

Di notte ho sentito il lupo, e lo sparo del bracconiere. Ho visto le orme dell’orso marsicano e lo stambecco di un parco minato dalla follia della betoniera.

Sono le terre di Fontamara; io le ho viste queste terre tra un’acqua rara o troppo violenta delle alluvioni: un anno la mia casa è finita sottacqua perché il fiume non aveva ancora l’argine. In quel periodo, da qualche parte nel mondo c’era una Silicon Valley e sul suo presunto modello, piantarono a forza come grano le industrie nella mia piana.

Inutile dire che non hanno mai attecchito.

I paesi invece, quelli antichi, sono aggrappati ai clivi: Roccavivi ha un programma nel nome, Canistro la sua acqua benefica e le castagne, la val Giovenco dice tanto. E c’è la Val Comino, dell’Atina di Terracarne, con le sue cinte megalitiche di sassi montati a difesa, fino ad Arpino ed Arce, massi su massi, calcare su calcare.

Mia nonna da Cassino arrivava ad Avezzano e di notte, e vi faceva contrabbando trai fronti durante la II Grande Guerra: patate contro carne. Mia nonna mi raccontava a letto o davanti al camino, le “favole” dei Briganti: erano i giusti del popolo. Erano i suoi giusti. Mia nonna era una brigantessa, per sopravvivere ha ucciso di notte in montagna gli uomini che le volevano usare violenza e ha picchiato: non ce ne ha fatto mai mistero.

Mia nonna è morta, non sulla soglia del paese dell’inedia al sole, non in una piazza rassegnata o nel suo letto come desiderava, è morta d’un cuore stanco in ospedale.

La paesologia, io non lo sapevo, è quell’abitudine a vagare vicino casa e vagabondare dentro. E’ da adulta quando ti ricordi che a scuola ti facevano leggere Il Brigante, ma anche La mia Africa, e tu senti le montagne e le selve intorno da percorrere. E’ quando ti rechi al Santuario della Figura nella Selva di Sora, con tuo padre per la festa di famiglia, e rendi omaggio senza saperlo, ai volti dei Briganti dipinti negli ex-voto: loro sono morti lì, coi Francesi armati fino ai denti.

Sai che sono morti e neppure per una giusta causa: ma avevano la fame e l’ingiustizia dalla loro.

La paesologia non è un pellegrinaggio, non c’è un santo da cercare. C’è un vuoto tra quelli che abitavano le selve e te, è quel file cancellato tra Frà Diavolo e te. Sono le notti del fantasma di Chiavone che trascina le catene per i vicoli e che ai bambini non si racconta più. Sono i morti trucidati da una guerra civile che nessuno ha voluto chiamare per nome.

La paesologia è l’elogio all’Italia disunita, anzi l’epitaffio dei paesi indaffarati come il mio; i paesi che vogliono correre col progresso e invece sono immobili di pietra svuotati dalla vita, attaccati come una zecca al cane delle montagne.

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Piglia il bastone e tira fuori i denti (trad. siciliano)

Io sono una brigantessa della Terra di Lavoro, e questo è il mio sogno di pane.

Vivo già tra le selve di un futuro senza cemento, trai campi di grano dove i Taviani

girarono

una Guerra di Ilio fraterna e tragica.

Io sono immersa nella memoria futura che non è ancora avvenuta.

Io non mi arrendo a quello che accade invece.

Questi sono i miei denti e il mio bastone, neppure di carta è vero,

ma di potenti parole virali.

Rossana Di Poce

http://www.madonnadellafigura.it/index.php?option=com_content&view=article&id=47&Itemid=55

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