ALTRI COME NOI
il giorno in cui moriremo
il vento come sempre passerà
in mezzo a questa casa che si chiama mondo.
altri dopo di noi
saranno allegri, tristi, moribondi,
altri come noi,
ombre illuminate da un cerino,
cerini dell’ombra.
(F. Arminio)
di mauro orlando…..un ortodosso eretico e dubbioso……
Comunità è anche essere orgoglioso dei nostri sentimenti, passioni, sogni e idee e……. dei libri che ce li raccontano…….
………Una persona in modo eccezionale e non per abitudine osserva le proprie emozioni e processi mentali ed elabora il senso dell’io…autentico e profondo. Non sempre in modo consapevole mentre vive il suo io storico, sociale e personale in modo attivo.
In scienza si suole distinguere tra una consapevolezza primaria e una di ordine più elevato, cosciente e motivato: la prima è soprattutto percettiva, mentre la seconda è una nozione concettuale del proprio io. Gli animali possiedono la consapevolezza percettiva ad esempio. Ad un uomo razionale non basta saper inventare e creare spazi di discussione (piazze virtuali o reali) costruire comunità (pòlis o associazioni) ed essere solo in grado di percepirle e dotarle di senso e coerenza e neanche solo come spazio ed occasione dove meramente reagire a semplici stimoli emotivi o emozionali .
Considero la creazione di occasioni comunicative o di esercizio agonistico e la costruzione di comunità esistenziali la caratteristica fondamentale di una consapevolezza primaria ancora delle comunità primitive .Tuttavia l’uomo fa uno scatto di senso nel momento che può e sa pensare a se stesso come soggetto e oggetto di conoscenza e assieme capacità di stare assieme …..che meraviglia e che potere! Ma più di tutto può avere desiderio e piacere della vita e, in parte, la consapevolezza della morte, che nessun animale possiede.
La morte …. del mondo che inconsapevolmente ci siamo costruiti intorno, ma consapevoli che …..
” il mondo è morto molto prima, quando la logica ha preso il sopravvento in maniera strisciante e subdola sull’istinto. quando in nome della nostra presunta superiorità di specie, abbiamo iniziato ad allevare e ad uccidere, quando abbiamo deciso di costruire mura intorno alle città, insediamenti puzzolenti di merda e di piscio dove ogni spazio delimitava una solitudine, una casa abitata da altri morti che litigavano con i vicini per il confine, per le pecore, per la proprietà. la morte è un evento definitivo, e noi abbiamo bisogno solo di eventi definitivi, unici, senza scampo” (E. Martino.)
In più , e in parte, abbiamo coltivato la capacità di ricordare o vedere la propria vita come un tutto; la capacità di immaginare altre prospettive o altri stati mentali; di pensare ipoteticamente in modo soggettivo o teoricamente in modo oggettivo, di affrancarsi dal qui e ora , di sognare o sperare un futuro anche di eternità in piena libertà e senza essere costretti a una riconoscenza a qualche Dio ma non rinunciando a coltivare l’esigenza e il senso della sacralità e della religiosità ! Riusciamo anche a sospettare o distinguere tra la consapevolezza del mondo e la consapevolezza di essere consapevoli. Fino a pensare che la consapevolezza del proprio io sia una caratteristica che solo noi umani possediamo, e che sia una componente necessaria della nostra consapevolezza. ‘L’autoconsapevolezza’ è una componente determinante. Gli animali non arrossiscono. Forse perché a differenza dell’uomo non sono molto consapevoli di potersi osservare e di essere osservati…Narciso non poteva essere un animale! Altra peculiare caratteristica è che noi abbiamo la percezione e la capacità delle parole,delle cose,delle persone e del mondo nella loro profondità non solo in termini spaziali e temporali. Possiamo migliorare la superficie tecnica del nostro linguaggio e ricercare assieme la profondità delle parole, dei concetti e delle idee come scoperta di verità ( alètheia…non nascosto). Idea è parola del greco ‘eidon’…..il saper guardare in profondità.
E poi abbiamo imparato a mettere assieme parole per raccontare il nostro “io” quando ‘sente’, ‘pensa’, ‘agisce’ e a costruire sapere ‘oggettivo’ non solido, rigido ma basato su sentimento, pensiero ed azione…’soggettiva’ e …provvisoria.
E poi abbiamo la fantasia e la voglia di inventare sogni ed avventure. Henry James una volta disse che le avventure accadono solo a coloro che sono in grado di raccontarle. Il più bello degli uccelli non può raccontare la bellezza e la leggerezza del volo! Quindi, per una mente creatrice di avventure, queste ultime accadono; il mondo, in realtà, consiste in larga misura di avventure e sogni. Creiamo uno spazio interiore in cui possiamo muoverci in modo relativamente facile con l’immaginazione e il sentimento. Esiste una notevole libertà di azione… Anche se, quando si è depressi, tristi,addolorati si perde tale libera volontà e si ha la sensazione che nessuno la possieda. Esiste un bel passaggio, nelle ‘Meditazioni’ del cogitante Cartesio, in cui egli guarda fuori dalla finestra e, vedendo le persone sotto di lui, afferma: “Sembra che esse abbiano volontà e libertà di scelta, ma come posso sapere se non sono ingegnosi burattini o parti del meccanismo di un orologio?”.
La volontà è essenziale per definire o progettare un organismo e la consapevolezza per difendere la sua libertà. E poi, non solo per gioco o per necessità, quando non ci bastavano i miti che noi stessi avevamo costruito e che alcuni utilizzano con ‘malizia’ come forme di potere personale o istituzionale (Governi, Chiese …..) abbiamo cominciato a fare domande e ad abbozzare risposte umane o troppo umane, e poi metafisiche o assolute . Ma sempre tornavamo alla domanda iniziale. Questa coscienza è qualcosa che si impara o è innata?
Wittgenstein parlava di ‘ decenza’, cioè, si era esseri umani decenti solo nel pensare e definire capacità conoscitive e difetti comportamentali ed etici dell’essere umano.
Non vedo come si può dire se una cosa come questa è appresa o innata, perché la gente, a parte i ragazzi-lupo-selvaggi (da Hobbes, Rousseau a…. Trouffaut) e cose simili, subisce sin dall’inizio sempre e comunque l’influenza del mondo della cultura come espressione consapevole o indotta dell’uomo.
È difficile parlare della “natura umana” in quanto tale, perché siamo sempre sotto l’influenza della cultura. Questa è una delle ragioni per cui i ragazzi-lupo-selvaggi sono così affascinanti e strumentali: per questa idea secondo cui potremmo vedere in essi la natura umana allo stato primitivo o puro per essere autorizzati a intervenire d’autorità con la scienza o con la politica.
Altra cosa è lo stato originale che richiede la conoscenza propulsiva delle proprie radici storico-antropologiche .Più delicato e rischioso quando dalla coscienza di sé e della conoscenza delle proprie radici storico-culturali si pretende di passare alla risposta tutta politica sulla ‘identità’antropologica individuale o peggio etnico-raziale di un ‘popolo basata sulla paura e sull’egoismo.
L’’uomo occidentale dopo aver consumato sino in fondo l’ipertrofia del proprio “io” nella esperienza apicale del “moderno” con Cartesio, Kant , Hegel ha raschiato il fondo delle sue possibilità e capacità di conoscenze delle conoscenze e di senso della sua tragedia. Ci affascina e mortifica ancora l’esercizio radicale del relativismo e del nihilismo della follia di Nietzsche, nella ricerca e difesa della sua estrema libertà ‘umana, troppo umana’ che lo costringeva a tagliarsi così i ponti possibili del comunicare e autoimmunizzare gli alibi per inventare nuovi miti, riti per scongiurare le costruzioni di nuovi labirinti mentali o torri di babele sociali che, per timore e paura, alla fine ti costringono a rispolverare il bisogno dell’afono ed unico Dio dei monoteismi ideologici vecchi e nuovi.
E allora abbiamo scoperto e rivalutato i momenti e i viaggi , di fuga , di sogni, utopie fuori di noi e tentare di costruire “Comunità provvisorie” individuali e plurali in cui poter essere più autenticamente liberi e più sensibili, in cui poter esercitare anche il proprio intuito e sentimento non “in interiore homini” ma ‘in exteriore homini’ in spazi più vasti e profondi fuori di noi. Usando uno dei più antichi e naturali poteri dell’arte che è quello di rendere più grande e profonda, in modi diversi, la consapevolezza di una persona in un territorio determinato senza steccati ,’enclusures’ o peggio ‘enclavi’ etnici e riconquistando e riimparando a vivere i “piccoli paesi dalla grande vita” con una consapevolezza estetica,poetica , morale , mistica o politica e non solo sociologica ed economica.
E abbiamo recuperato una funzione leggera e liquida anche della scienza, dell’antropologia e della filosofia nel favorire forme di visioni, conoscenze, sentimenti , idee nuove insieme a una consapevolezza intellettuale più ampia e profonda. Una persona ha e vive degli stati d’animo, o degli umori, nei quali la consapevolezza sembra espandersi e farsi più comprensiva, accogliente, generosa, sensibile e anche particolareggiata, mentre in altre occasioni sembra restringersi,intristirsi, ingrigire .
E allora abbiamo azzardato a pensare che anche l’educazione, la ‘paideia’ antica e sapienziale dei greci andrebbe declinata e riconsiderata come educazione alla consapevolezza anche nella ‘poliedricità labirintica e tecnica della “modernità”, e non solo come insegnamento o creazione delle gerarchie delle varie professioni tecniche e nell’utilizzo democratico e plurale delle molteplici nuove tecniche e tecnologie informatiche. Esistono dei momenti particolarmente emotivi, densi di passioni calde e pesino di esaltazioni.
Come diceva Flaubert? “Anche la mente ha le sue erezioni”. William James pensava che le droghe, compreso l’alcool, erano mistagogiche, e certamente l’espressione “espansione di consapevolezza” che era molto in voga e abusata negli anni sessanta non più perseguibile o usabile oggi . Almeno abbiamo sperimentato la ‘immunitas’ culturalmente sana in nome e in vista della ‘comunitas’ possibile . Anche la perdita di persone care e di identità culturali e storiche del proprio territorio e il dolore e la rabbia per la superficialità,arroganza e la trascuratezza degli ‘addetti politici ai lavori’, preposti alla sua difesa, protezione e cura possono per paradosso espandere la consapevolezza per molti o pochi altri.
Noi abbiamo invitato con cortesia e gentilezza alcuni vecchi e nuovi amici a passeggiare con noi nei ‘nostri sentieri interrotti’ non solo per ‘decriptare’ eventuali ‘segnavie’ ma sopratutto per scoprire che una persona che non conosce il luogo in cui stiamo camminando può aiutare anche noi a sperimentare e scoprire (alètheia) quel luogo come fosse nuovo,immacolato,autentico. Vivendo e sperimentando nella pratica che ogni contatto umano ha il potenziale di cambiare la consapevolezza di sé proprio quando ci si imbatte in una concezione e una costruzione del mondo diverse dalla propria. Una educazione alla ‘diversità’ come stimolo di conoscenza e come promozione di cultura e identità vera.
Anche questo fa parte della esperienza che abbiamo chiamato “paesologia”. E la cultura delle montagne …il nuovo “umanesimo delle montagne” “….. dovrebbe avere come cuore pulsante la richiesta di un modello economico basato sulla decrescita e di un modello culturale basato su un nuovo umanesimo, l’umanesimo delle montagne. Non più l’uomo come ingordo produttore e consumatore, schiavo insonne nella piramide capitalista, ma essere che si muove tra le cose sapendo che siamo qui per passare il tempo e spesso per non venire a capo di nulla, siamo qui per immaginare, per emanciparci dalla nostra psiche ristretta e avara e accasarci in una mente più grande, più generosa, più accogliente: i nostri impulsi intrecciati al moto delle nuvole e al grano che cresce, al fiuto delle volpi, al richiamo dei falchi, insomma una nuova alleanza con la natura”(F. Arminio.)
“La paesologia”non ha la pretesa e lo statuto per essere una scienza eidetica o una estetica, non vuole essere un’etica e non è una dottrina prescrittiva, sacrale ed eteronoma . E’ un modo di essere individualmente autonomi nell’individuare uno stile di vita , un criterio per guardare, sentire se stessi e il mondo esterno in ‘koinonia’ e in modo più mite, leggero, profondo e generoso. E’ anche un modo di sentirsi bene tra contraddizioni e ritardi, sentire la stessa sensazione di un germoglio che sta sbocciando: questa sensazione, questa immagine biologica, metaforicamente può rappresentare l’immagine della consapevolezza e della coscienza come anima della paesologia. Non è assolutamente un’immagine meccanica e fisiologica.
Imparare a sentire che all’interno di ognuno, una cosa, un albero, un paese c’è qualcosa di simile a un’identità unica e autonoma, inaccessibile alla consapevolezza, protetta da interventi o interferenze nei modi più comuni che si possono individuare negli atteggiamenti della “paesanologia” e di tutti luoghi comuni che insidiano un recupero autentico ed originale dello stile di vita,del ‘genius loci’ in un piccolo paese per quello che è senza condannarlo in contumacia ad esser solo spugna delle influenze negative o superficiali delle enormi quantità di informazioni commerciali,sociali e politiche o luogo-rifugio protetto e difeso con mura ideologiche o confini innaturali dagli intrusi di turno. Curando maggiormente di essere più sensibili al mondo della natura nei suoi cicli e misteri senza trascurare il momento consapevole e cosciente della cultura e degli uomini.
Che si tratti del cielo stellato sopra di noi , dei boschi intriganti intorno a noi , del mondo morale dentro di noi o delle visioni o degli ascolti delle albe tra le nebbie sottili delle colline e dei tramonti infiniti sul mare , dell’ imparare il senso e il sapore delle parole di una preghiera umana o divina o la vitalità di un respiro….nel silenzio dell’aria. Sento che queste esperienze espandono comunque “ la consapevolezza” solo se possono essere declinate con gli uomini e nelle ‘pòlis’, comunità ,’koinonie’,’eterie o thiasi’ o istituzioni ,possibilmente libere, aperte e liquide che gli uomini hanno pensato e prodotte per gli uomini per sentirsi in ‘comuni’ nella individualità.
Senza modestia, però, ma con la “consapevolezza” di vivere e promuovere una vera “rivoluzione”…..” una rivoluzione che metta al centro la resa. Più che barricate si tratta di organizzare ritirate. Più che l’esposizione al mondo, quello che immagino basata su un vivere nascosto, un rimanere sui margini, sui confini. Non c’è un centro da abbattere o da conquistare, ma un orlo che sia fatto di sfilacciature riammagliate che mai prima si erano incrociate. È una rivoluzione artigianale, fatta sui gesti che ognuno sa produrre, senza slogans che valgano per tutti. Ulteriore paradosso: un movimento collettivo che esalta il dettaglio, l’eccezione, il singolare. Quando nevica nessun fiocco è simile a un altro e (la nostra rivoluzione) deve essere così: un movimento che si accende e si spegne, che avanza e si ritira, che si apre e si chiude, un movimento fatto anche di timidezze, di affanni, di ritrosie, di debolezze, di esposizione, di furie. Una rivolta concepita come sistema di depurazione, come tentativo di accogliere con lo stesso amore il rigore, il furore e la desolazione” ( F. Arminio.)
Letto d’un fiato (e in debito di fiato ogni tanto, per i salti sulle convalli e le fughe per i calanchi della filosofia classica e contemporanea). Ma il meglio rimane sempre il filosofare sul sé paesologico, sul senso di communitas e sul modo filosoficamente più eretico/ortodosso di coniugare i concetti di umanesimo delle montagne con quelli di società liquida, apertura dal sé al noi, non in astratto, ma dai doni comunitari ricevuti da tre e più anni di frequentazione fisica/intellettuale/emotiva di noi tutti, disperse truppe provvisorie d’una communitas ardua da plasmare, e nello stesso tempo sfida intrigante da perseguire, nonostante traumi e ritirate. Oltre quelle di Franco Arminio, belle e centrate le citazioni dagli scritti di Elda Martino, dove pulsa a battito intenso e accelerato il nucleo duro di quel nuovo umanesimo che tutti in qualche modo andiamo cercando e/o cerchiamo di vivere.
Ad maiora.
un bel cerino nell’ombra senza dubbio fabio nigro stasera a pratola alla presentazione di terracarne…vederlo sa di terapia disintossicante…
mauro è sempre qui, generosamente….
metto qui un brano tratto da un libro del mistico T. Merton
è un punto di vista pieno di quella tensione di chi come Merton crede nel divino.
io non sono credente, ma non posso mostrare indifferenza verso chi, come Merton, si sforza di aspirare ad un illuminazione che tiene conto, non solo di dio, ma della terrestrità….
Per diventare me stesso devo cessare di essere ciò che ho sempre pensato di voler essere, per trovare me stesso devo uscire da me stesso, per vivere devo morire.
Perché sono nato nell’egoismo e di conseguenza tutti i miei sforzi naturali per rendermi più reale e più me stesso mi rendono meno reale e meno me stesso, in quanto gravitano tutti attorno a una menzogna.
Coloro che nulla sanno di Dio e che basano tutta la vita su se stessi immaginano di poter trovare se stessi soltanto rivendicando i propri desideri, le proprie ambizioni ed i propri appetiti in una lotta con il resto del mondo. Essi cercano di diventare reali imponendosi agli altri, impossessandosi di una parte della limitata riserva dei beni creati e sottolineando così la differenza fra loro e gli altri uomini che hanno meno di loro, o non hanno nulla.
Essi possono concepire un solo modo di diventare reali: staccarsi dagli altri e innalzare una barriera di contrasto e di distinzione fra se stessi e gli altri.
Non sanno che la realtà va cercata non nella divisione ma nell’unità, perché noi siamo «membri gli uni degli altri».
L’uomo che vive diviso dagli altri non è una persona, è soltanto un individuo.
Io ho quel che tu non hai. Io sono quel che tu non sei. Io ho preso quello che tu non sei riuscito a prendere, ho afferrato quel che tu non potrai mai afferrare. Perciò tu soffri ed io sono felice, tu sei disprezzato e io sono lodato, tu muori ed io vivo: tu non sei nulla e io sono qualcosa, e tanto più sono qualcosa in quanto tu non sei nulla. Così passo la vita ad ammirare la distanza fra te e me; talvolta questo mi aiuta persino a dimenticare gli altri uomini che hanno quello che io non ho che hanno preso quello che io sono stato troppo lento a prendere, che hanno afferrato ciò che era fuori dalla mia portata, che sono lodati quanto io non posso essere lodato e che vivono della mia morte…
L’uomo che vive così, vive nella morte. Non può trovare se stesso perché è perduto; ha cessato di essere una realtà. La persona che egli crede di essere è un brutto sogno. E quando morrà si accorgerà di aver cessato di esistere da molto tempo, perché Dio, Che è infinita realtà e al Cui cospetto è l’essere di tutto ciò che esiste, gli dirà: «Non ti conosco».
E ora penso a quella malattia che è l’orgoglio spirituale. Penso a quella caratteristica irrealtà che penetra nel cuore dei santi e divora la loro santità prima che essa sia matura. Vi è qualcosa di questo verme nel cuore di tutti i religiosi. Appena hanno fatto qualcosa che sanno essere buono agli occhi di Dio, tendono a impossessarsi della sua realtà per farla propria. Essi tendono a distruggere le loro virtù reclamandone la proprietà e a rivestirsi illusoriamente di valori che appartengono a Dio. Chi può sfuggire al segreto desiderio di respirare un’atmosfera differente da quella degli altri uomini? Chi può fare cose buone senza cercar di gustare in esse la dolcezza di distinguersi dalla massa dei peccatori di questo mondo?
Questa malattia è più pericolosa quando riesce a sembrare umiltà. Quando un uomo orgoglioso pensa di essere umile, il suo caso è senza speranza.
Ecco un uomo che ha fatto molte cose che la sua natura ha trovato dure. Egli ha superato difficili prove, ha compiuto molto lavoro e, per grazia di Dio, è giunto a possedere una forza morale e uno spirito di sacrificio per cui, alla fine, fatica e sofferenza diventano facili. La sua coscienza è giustamente in pace. Ma prima che egli se ne renda conto, la pace pura di una volontà in comunione con Dio diventa la compiacenza di una volontà che ama la propria eccellenza.
Il piacere che è nel suo cuore, quando egli compie cose difficili e riesce a compierle bene, gli dice in segreto: «Io sono un santo». Al tempo stesso altri sembrano riconoscerlo diverso da loro stessi. Lo ammirano, o forse lo sfuggono — dolce omaggio di peccatori! Il piacere arde in un fuoco divoratore. Il calore di questo fuoco assomiglia molto all’amore di Dio. Lo alimentano le stesse virtù che nutrono la fiamma della carità. Egli brucia di ammirazione per se stesso e pensa: «È il fuoco dell’amore di Dio».
Pensa che il suo orgoglio sia lo Spirito Santo.
Il dolce calore del piacere diventa l’incentivo di tutte le sue opere. Il gusto che egli assapora negli atti che lo rendono ammirabile ai suoi propri occhi lo spinge a digiunare, o a pregare, o a nascondersi in solitudine, o a scrivere molti libri, o a costruire chiese e ospedali, o a fondare mille organizzazioni. E quando tutto ciò gli riesce, egli pensa che il suo senso di soddisfazione sia l’unzione dello Spirito Santo.
E la voce segreta del piacere canta nel suo cuore: «Non sum sicut caeteri homines».
Quando si è messo per questa via, non ci sono limiti al male che la sua auto‑soddisfazione può spingerlo a compiere in nome di Dio e del Suo amore, e per la Sua gloria. Egli è così soddisfatto di sé, che non può tollerare il consiglio di altri — o i comandi di un superiore. Quando qualcuno si oppone ai suoi desideri, egli congiunge umilmente le mani e sembra sottomettersi per il momento, ma in cuor suo dice: «Sono perseguitato da uomini mondani. Essi non possono comprendere chi è guidato dallo Spirito di Dio. È sempre stato così per i santi».
E sentendosi martire egli è dieci volte più ostinato di prima.
È terribile quando ad un uomo simile viene l’idea di essere un profeta o un messaggero di Dio o un uomo che abbia avuto la missione di riformare il mondo… Egli è capace di distruggere la religione e di rendere il nome di Dio odioso agli uomini.
Io devo cercare la mia identità, in un certo senso, non solo in Dio, ma anche negli altri uomini.
Io non potrò mai trovare me stesso se non mi isolo dal resto dell’umanità, come se fossi un essere di specie diversa.
(tratto da Thomas Merton, Semi di contemplazione, Garzanti, Milano 1991, pp. 45-47)
bravo antonio, bel pezzo. bisogna portare qui anche i grandi pensieri degli altri
questo non è un luogo chiuso
Ciao Mercuzio angioletto mio. In questi giorni mi sono perso un pò, e ti ho cercato. Ma tu volavi così alto che non riucio più ad acchiapparti. Sai ho venduto la mia moto del tempo ad un’altro clown. Adesso sto imparando a volare anch’io, non che mi siano spuntate le ali ma ho capito come farmele crescere. Sono ancora piccole e riesco a volare solo a basse quota però, come un gallo per capirci. Ora mi trovo in un luogo familiare. Forse sono caduto in pollaio. e Sto cercando di uscire fuori e riprendere ad ammirare il panorama. Vorrei arrivare fino al mare e provare almeno a volare con i gabbiani. Il mare come sai è il mio ambiente preferito, anche se non didegno la collina, le montagne ed i paesi. Vorrei riprendere fiato, aiutato dal respiro del mare. Quando scendi a Santa Maria? ti Aspetto! a presto , nanos
Terracarne è tutto dentro la foto comunitaria che c’è in copertina. Una comunità di porte chiuse.
Finita la lettura bisogna restituirgli il silenzio inchiodandolo ad una di quelle porte.