..marginalità ,smarrimento e provvisorietà come ricchezza……

” Oggi, dice Arminio, in questi paesi le porte sono chiuse, sempre chiuse. Ognuno sta dentro la propria casa, ha come unico dio il proprio utile privato, si è ritirato dalla comunità, le ha chiuso la porta in faccia, lasciandola fuori in preda ai venti. La bomba è esplosa dentro, producendo una mutazione delle anime. E quello che succede fuori scompare, sostituito dalla televisione, che ti fa abitare altrove, che ti rende cieco con un’orgia di immagini”. F. Cassano

di mauro orlando

La nostra esperienza comunitaria è stata nei vari momenti un lusinghiero e ricco incontro di persone disponibili a giocare la loro personale vita mentale e concreta nella possibile declinazione di due categorie apparentemente contrastanti ,locale e globale, che tanto ci inquietano e ci disorientano particolarmente in questa crisi finanziaria ed economica che insidia i nostri corpi e le nostre anime. Dopo vari anni ed esperienze paesologiche oggi diventa sempre più chiaro e complesso ribadire non solo la grammatica e il lessico rinnovato nella pratica culturale e sociale ma assieme la necessità di ristabilire un rapporto di tipo nuovo con una realtà meridionale sociologicamente e psicologicamente immutata in un contesto di modernizzazione “con sviluppo e senza progresso” e una mondializzazione non solo economica e finanziaria ma soprattutto antropologica e politica . La “paesologia” ormai non è solo una intuizione personale da definire e sviluppare ma si va definendo sempre più in concreto nel dibattito tra le esperienze comunitarie nazionali uno strumento conoscitivo originale e nuovo che incide non solo sugli stili di vita ma sulle identità individuali-plurali.Il contesto bibliografico di riferimento si fa sempre più definito ed esclusivo intorno alla nuova categoria di “bene comune” nel solco delle analisi  di F. Cassano in cui si fà riferimento alla “ragionevole follia dei beni comuni” come  l’acqua,l’aria ,il vento, la terra sino all’informazione e la cultura .Anche ” i poeti sono un bene comune” nella sua radicale espressione poneva un problema vero anche se complesso nella sua declinazione politica.Segnale profetico negli anni passati era stato l’assegnazione del premio Nobel per l’economia a Elinor Ostrom nel 2009 che indirizzava i suoi studi e analisi economiche  su questo tema.Gli scritti di R. Esposito,poi,  che partendo dalla categoria manniana di “impolitico” era approdato agli studi sulla “immunitas” e “communitas” e  ha finito per “mantenere viva l’attenzione  per una questione alla quale è affidato un passaggio d’epoca. “Giustamente R. Esposito sottolinea come questa sia una via da percorrere per sottrarsi alla tirannia di quella che W. Benjamin ha chiamato “la teologia economica” .(S. Rodotà). Per sottrarsi alla ossessiva  e prescittiva centralità del mercato un saggio di Luca Nirvana analizza la possibilità di contrastare una possibile  deriva politica e conoscitiva con un saggio sui “beni comuni” per “appropriarsi di beni destinati al soddisfacimento di bisogni primari e diffusi, ad una fruizione collettiva”, ridefinendo il valore di bene non solo dalla sua appartenenza o proprietà privata o pubblica ma a quello della sua possibilità, gestione ed uso.”I beni comuni sono “ a titolarità diffusa” appartengono a tutti e a nessuno ,nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive e proprietarie ” (Rodotà). Luciano Gallina ,poi , ci ricorda poi l’importanza della consoscenza,del sapere e del potere della esperienza in Rete.Problema posto all’ordine del giorno da Franco  recentemente nel Blog  che non pone solo la individuazione e la definizione di vecchi e nuovi autori o  di gestori in senso tecnico  ma  anche  come fatto partecipativo e di fruizione democratica del bene e per una maggiore definizione di un “idem sentire” , “koinè” che non mortifichi le individualità nella omologazione o in un pensiero unico e autoritario ma arricchisce la pluralità nelle differenze e nei conflitti  in un percorso personale che non ha un  inizio e fine mitici ma si costruisce nel tempo in modo occasionale  e provvisorio. “Comunità provvisorie -scrive franco- deve trovare un suo nucleo irradiante, tutto qui….se c’è questo ci si può sfrangiare in mille rivoli, si può andare e venire veleggiando ognuno coi suoi modi e tempi ma il nucleo a questo punto ci vuole.Tutto dipenderà dall’uso che ne vorremmo fare per il futuro di noi,del Blog  e dei nostri territori……Una persona che ha intenzione di vivere e pensare un territorio del sud ha la necessità di rivendicare alla base della sua ricerca una funzionalità intellettuale e esistenziale non solo di  retaggi e ricchezze culturali pregresse in modo consolatorio o di orgoglio identitario.Oggi bisogna rivendicare la categoria di “bene comune” insieme a quelli della “marginalità” e “fragilità” come un “bene comune” fatto di  capacità e possibilità di autenticità e originalità di stare e vivere contemporaneamente il mondo nel suo piccolo e nel suo grande. Si può vivere non con il vecchio schema della schizofrenia e del vittimismo  una bella esperienza emotiva e culturale a Bisaccia o Grottaminarda e il giorno dopo visitare una importante mostra alla Tate Gallery di Londra e una settimana dopo partecipare ad un convegno a Bombay sulle nuove tecnologie informatiche e il futuro delle economia mondiale.Lo spazio concettuale libero e liquido tra centro-margine-periferia si è aperto incondizionatamente e ci permette di verificare, nei fatti e non solo nella volontà, le idee ma soprattutto la nostra disponibilità e capacità di attivare volontà e strumenti per condividere “comunitariamente” anche le nostre individuali solitudini, introversioni, umori caldi e freddi, inquietudini e sogni .Non in una sorta di sopravvalutazione autoconsolatoria  con sovrappesi culturali e professionali di sé stessi che ci costringe a costruire labirinti, muri e barriere intolleranti e  non solo psicologiche per temere, rifiutare o accettare gli ‘altri’. Sapendo che stare insieme può essere anche una sofferenza ,un esercizio faticoso di ridurre frammentazioni e chiusure e alleggerire pesantezze conoscitive e rigidità dottrinarie .Per iniziare questo nuovo viaggio di prospettiva necessita anche un viaggio nelle nostre storie mentali oltre che psicologiche  costruite su un eccesso di sviluppo accumulativo di saperi-poteri e un eccesso di ‘criticismo autoreferente ’ sedimentato o ossifificato nelle nostre diaspore  migratorie. “Siamo emigrati male e spesso ritorniamo peggio”. Ci siamo costruiti intellettualmente e professionalmente con una idea di acculturazione e sapere come possibile strumento per acquisire potere e riscatto con  un diffidenza e non fiducia verso gli altri in termini sociali e politico. Cultura e sapere non è acquisire potere ma proprio una possibilità di depotenziamento ,“derobè” svestimento, di  micropoteri   e  saperi ‘pretaporter’.Con una tale idea di acquisizione di conoscenze,abilità, saperi come strumenti di possibili poteri e riscatti anche la categoria economica e sociale di ‘marginalità ’ nei piccoli e grandi paesi del sud e del nord del mondo può acquisire slancio progressivo e ideativo e riscatto individuale nella propria vita mentale e politica nei luoghi che ci è dato vivere hic et nunc ….”per rabbia o per ragione”. Dato per acquisito che la politica politicista depotenziata per motivi endogeni ed estrogeni va dunque sempre più sospettata e criticata nella sua rigidità e illiberalità costitutiva e istituzionale va analizzata  sopratutto per la sua inattualità e inadeguatezza alla grande crisi di sistema  che ci tocca vivere ‘malgrènous’. E che anche in queste circostanze   continua ad educare a coltivare pensieri corti e relazioni corte. Dobbiamo ricostruire una “società civile” di nuovo conio e funzione non seguendo i canoni e le categorie politologiche classiche e moderne che la mettono necessariamente e unicamente in rapporto o in contrasto  con la “società politica”  chiudendola in una sorta di separatezza e superiorità solo apparente o  concettuale. La differenza tra società civile e società politica sta nel fatto che  una obbliga a pensieri lunghi ,utopici e di prospettiva la seconda abitua a pensieri corti ,prammatici e  avolte regressivi ,ingessati e chiusi nelle istituzioni rifugio e castello senza ponti elevatoi. Noi abbiamo bisogno di mettere in campo con modestia e presunzione “pensieri e relazioni lunghe come ponti , sapendo però che vivere insieme agli altri e confrontarsi non è mai stato perfetto,idilliaco,edenico. Bisogna diffidare chi ci ripropone rassicuranti “paradisi perduti” e chi ci lusinga con ingannevoli utopie di comunità primigenie e  mitiche. Bisogna accettare le complessità e difficoltà nei possibili spazi di amori ,di sogni, di odi,di controversie, di rancori, di rimorsi , sempre disposti al rischio ma con “gesti eroici ed autentici” anche di intelligenze confuse ,provvisorie o smarrite  mai dogmatiche,autoritarie e prescrittive. Massima vitalità anche in possibili massime disperazioni”.
……Mi dispiace  se  io per certi versi sto curando ” una mente premoderna e prepolitica” lenta ,liquida e la più leggera possibile e che  in certe discussioni preconcette mi sento estraneo e fuori luogo.Invece mi sono sentito a mio agio nello spirito comunitario a Cairano ed oltre , in certe serate a Bisaccia, ad Aquilonia , agli scambi di idee meditate  a Grottaminarda fino ai conviviali incontri a  Caposele nelle nostre estati irpine e in tante altre occasioni che mi piace ricordare e voglia di ripetere………

Mauro Orlando

Rispondi

Scopri di più da Casa della Paesologia

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading