Luigi Cazzato
E’ Taranto una città che, posta in un sito singolarissimo, potrebbe essere stupenda: invece è squallida. Squallida con quel sole, con quel mare di raso, con quelle coste lontane e il Mar piccolo che quasi sembra un Mar di Marmara più piccolo. Squallida con quella luce radiante, insinuante, maliarda… No, non sono le parole di chi scrive. Sono le parole di un commovente e commosso pellegrino di Puglia arrivato a Taranto sugli sgoccioli degli anni Cinquanta. Sì, gli anni Cinquanta, quando il progresso pesante, pesantissimo, dell’industria metallurgica non era ancora arrivato con i suoi falsi idoli, il suo falso movimento. Ma già allora a Cesare Brandi, il grande critico d’arte toscano, Taranto appariva squallida nonostante il suo sole radiante, il suo mare vellutato poiché “ben servita dai militari, dai preti e dagli architetti”. Dopo arrivarono altri “servitori”, i grandi servitori del Nord e dello Sviluppo, e fecero quello che è sotto gli occhi del mondo e dentro i polmoni di chi ci vive o lavora.
Ad agosto scorso anch’io, che non sono tarantino, mi sono improvvisato pellegrino di questi luoghi. Ero col mio bambino, quindi decisi per prima cosa di visitare gli antichi “guerrieri” del Museo Nazionale Archeologico, poi di fare un giro nella città vecchia. E’ stata un’emozione trovare Orazio fra le colonne doriche, mostrare la magia del ponte girevole al bambino e posare lo sguardo sull’incredibile vista del castello aragonese con sullo sfondo il mare, blu maestoso. Solo allora ho capito cosa intendesse dire Brandi con “sito singolarissimo”. Ce n’è uno pari in tutto il Mediterraneo?
Quindi ci addentrammo nel dedalo della città vecchia. La famigerata città che, al pari di altre città vecchie pugliesi, è stata per tanto tempo (tutt’ora?) una sorta di periferia malfamata nel cuore della propria storia. Non vi ho trovato ovviamente “visi di bambini venuti alla luce per modo di dire, di donnette anemiche, tisiche … senz’anima con occhi loschi … con quella vergogna del guardare che non li abbandona”. No, non siamo per fortuna negli anni Venti, quando Tommaso Fiore scriveva lettere all’amico intellettuale piemontese sulle formiche di Puglia. Ma balconi e balconcini che si danno la mano, sì, ci sono ancora e premono gli uni sugli altri in strade buie e strette, fra vecchissimi palazzi rugginosi di cemento moderno e seducenti per i fregi antichi. C’è molto da fare, da restaurare: grazie ad un’astuzia della storia molto non è stato guastato dalla furia modernizzante. Infine eccoci al bel pasticcio del Duomo, come ebbe a dire Brandi, e alla sorprendente doppia scalinata della Chiesa di San Domenico. Ma faceva caldo e il bambino era stanco di fare il visitatore “colto”. Quindi ci siamo fermati, lungo la strada che dalla città porta a Capo San Vito, su una piccola spiaggetta inaspettata, protetta dall’abbraccio di due muri di pietra e minacciata dalle ciminiere all’orizzonte. Era così povera che la molta gente (operai dell’Ilva?) oltre a qualche ombrellone aveva a disposizione solo un chiosco che vendeva solo bibite: birra Dreher e Coca Cola, e forse gelati. Dopo il bagno, via! verso Manduria, le sue mura e la sua fonte pliniana.
Basterebbe questo forse a far venire a Taranto il turista sapiente che ancora apprezza centri storici che non sono finta e scintillante vetrina ma vita vissuta e “vera”, di panni stesi ad asciugare e ragazzi che schiamazzano, ahimé almeno quanto i loro motorini. Potrebbe far venire qui chi apprezza spiagge povere ma libere.
Niente idillio però. Niente illusione di Arcadia, come ammoniva Fiore. Ma nemmeno speranza tramutata in incubo all’aria aperta, ovvero chiusa da un inquinamento che ai suoi tempi non si poteva prefigurare tanto micidiale. Allora, la speranza di una vita civile veniva rinviata a mezzo secolo dopo e legata alle cave di tufo, alla cura dell’ulivo, all’industria del pomodoro. Tutte cose dimenticate dalla città rurale, tutte sacrificate sull’altare del dio progresso, in preda alla nevrosi dello sviluppo senza fine, che da un lato dà la vita e dall’altro la toglie. Finita l’era della “colonizzazione” della Cassa del Mezzogiorno, presuntuosamente mi vien da dire che Taranto potrà ritornare la “molle Tarentum” solo quando saprà emanciparsi dall’altra oscura città, le cui tenaglie solo l’altezza satellitare di Google Earth può far vedere implacabili. Solo l’esodo dal vetusto mito del decollo industriale sembra salvarla.
Non si tratta di nostalgia di un passato idilliaco che non c’è mai stato e che tanti Grand tourists in fuga dalla moderna Europa del nord hanno invano cercato sulle sponde del Galeso. Piuttosto è nostalgia di un futuro diverso che non è ancora arrivato. Forse dobbiamo solo voltarci indietro per immaginarlo. Tanti turisti sapienti lo aspettano. Lo aspetta anche quel bambino che faceva il bagno beato in quella baietta squallida, come solo le baie di Taranto sanno essere.
Mi ci ritrovo in moltissime cose. Per averle vissute ,” sentite”, nel lontano 1976, nei due mesi (10 Aprile-10 giugno) di scuola di specializzazione telex dell’Aeronautica Militare, nel Mar Piccolo, dov’ero militare di leva.
Mi ci ritrovo in moltissime cose. Per averle vissute ,” sentite”, nel lontano 1976, nei due mesi (10 Aprile-10 giugno) di scuola di specializzazione telex dell’Aeronautica Militare, nel Mar Piccolo, dov’ero militare di leva.
Ho (Ri) visto Taranto con gli occhi del turista. Non è solo il titolo di un libro, che non sono riuscita mai a pubblicare sulla nostra graziosa città, ma è l’esperienza che viviamo attraverso scritti di chi passa da qui e apprezza Taranto, come solo un “cultore” può fare.
Ho (Ri) visto Taranto con gli occhi del turista. Non è solo il titolo di un libro, che non sono riuscita mai a pubblicare sulla nostra graziosa città, ma è l’esperienza che viviamo attraverso scritti di chi passa da qui e apprezza Taranto, come solo un “cultore” può fare.
Sentiamo, tutti i “tarantini”, nostalgia per quello che non fu e amarezza per quello che è stato. Impazienza per quello che è e che potrà essere?
Sentiamo, tutti i “tarantini”, nostalgia per quello che non fu e amarezza per quello che è stato. Impazienza per quello che è e che potrà essere?
la sistematica opera di deportazione dei ceti popolari dai centri storici italiani, coattiva come per la costruzione di alloggi comunali in periferia nel post terremoto napoletano, o attuata con forme di costrizione occulta, per favorirne la museificazione a cielo aperto, a vantaggio dei ceti abbienti, di turisti, di uffici, etc, la cosidetta gentrification, è un attacco definitivo all’anima degli italiani, è la morte civile
la sistematica opera di deportazione dei ceti popolari dai centri storici italiani, coattiva come per la costruzione di alloggi comunali in periferia nel post terremoto napoletano, o attuata con forme di costrizione occulta, per favorirne la museificazione a cielo aperto, a vantaggio dei ceti abbienti, di turisti, di uffici, etc, la cosidetta gentrification, è un attacco definitivo all’anima degli italiani, è la morte civile