North End, South Start

di Luca Sessa

Un cuore di entroterra Sud in un’aria guascona, fisica, morena, di proprietà fortificata dal navigare e elegante, ammorbidita in una giacca jeans vellutata, sciarpetta lunga annodata di seta blu, pantalone rosato, occhiali marcati e dolcemente strabici. Ti sente e ti parla. Ti porge quello che può, ti chiede il giusto; se alla fine gli fai il complimento sulla giacca ti mostra la marca. Paolo Di Giovanni è fioritura di quelle riconoscibili umanità vissute e superstiti che ancora conferiscono vita palpabile ai blocchi di mattoni rossi e nord-europei del North End, il quartiere dove si annidarono gli italiani del Sud quando iniziarono a emigrare a Boston, vicino alle banchine dove le navi li scaricavano. Paolo è della penultima generazione di arrivi, e parecchio fiume Charles è scorso da quando arrivarono i primi. Ora i sud-italiani che vanno a vivere a Boston ci vanno per un’opportunità di ricerca o lavoro intellettualizzata. Ora al North End i sud-italiani sono relativamente pochi, un terzo del quartiere; ma nei decenni l’hanno vissuto intensamente, al punto da conquistarsi una toponomastica alternativa, da dominio localissimo, che si sovrappone, con cartelli circoscrizionali di altro colore e stella, a quella irlandesissima ufficiale e verde. Girando il quartiere, solo ogni tanto trovi qualche faccia un po’ scavata, ma rimangono i nomi meridionali delle insegne di ogni attività commerciale o professionale – dalla fiera dell’alimentazione impiastricciata che il quartiere è stato per marketing costretto a diventare, agli agenti immobiliari, ai medici, alle lavanderie, ai forni. Anzalone domina a ogni incrocio, Carmelina è un ristorante di design e alluminio satinato come questo nome non riuscirebbe a essere da nessuna parte in Italia. Chissà da quale Irpinia veniva il signor Polcari che al North End fondó la prima pizzeria della catena Regina con le semplici nozioni del mondo che si portava in dote e permettendo quindi l’esistenza, nel solo mercato americano, di una promiscua, innovatrice e propria pizza giambotta.

Molti di quei sud-italiani o loro discendenti hanno cambiato quartiere di residenza, per casa e prato americani più grandi in un sobborgo, ma parecchi non hanno trasferito la sede della propria attività. Gaetano da vicino Enna era dapprima emigrato a Torino, ma un errore fortunato lo portò a fare barbe e capelli al North End. “Là ero un terrone, qua tengo il mio lavoro”. E così quanto lui portava, una semplice maniera di essere, congiungendosi al portato di tutti i lavoratori come lui, conferitori senza particolari spinte altruistiche, è potuto fiorire in un colore collettivo proprio, distinto, difficile da vedere in Italia geografica, dove per comodità o pigrizia questi caratteri vengono rapidamente liquidati come folkloristici, arretrati o semplicemente americani, irrilevanti. Con orgoglio di padre l’insegna del negozio recita “Rocco e Gaetano – Barberia Italia”, e un attimo separa Rocco e l’amico che lo accompagna, entrambi nati in America, dal semi-nudo per mostrarmi loro sponte i tatuaggi Trinacria con “Sicilia Indipendente”.

C’è un’idea sostanzialmente federativa in cui ciascuno può effettivamente essere. C’è un divenire individuale che incosciamente si compone in un divenire collettivo e proprietario. Paolo Di Giovanni per le scuole venne coi suoi a abitare da Montefalcione a Avellino, di fronte all’armeria Capaldo, ma aveva proiettili per oltre i tre anni di liceo artistico. Per spararli dovette emigrare dal sé verso Modena, Firenze, e altre interitalianità, incluso quella svizzera, a guadagnare e alla fine tenere una posizione da giornalista che gli pare bella ancora, ma un permesso di lavoro scaduto lo rimpatriò fra gli irpini del Massachussets agli inizi degli ’80. Si sposò con una montefalcionese emigrata quindici anni prima, il padre Massimino era andato a portare quel poco di sapienza sulle compatibilità e componibilità di ingredienti che nei retroterra dei porti sud tieni in naturale eredità ricevuta e non sai manco che la tieni, e che fra gli anglosassoni ti fa grande. Paolo si legò alla sedia e non volle tornare per i primi cinque anni. Si voleva fare forte, temeva che, fatta una traversata di ritorno, non ne avrebbe più fatta un’altra a marcindietro.

Massimino un grande forse lo era, e un benvolente verso la comunità allargata cui sentiva di appartenere. La festa principale dei suoi compaesani era per Sant’Antonio di Padova, e se la portarono al North End quando ci emigrarono più di un secolo fa. La Società Sant’Antonio di Padova da Montefalcione vi fu fondata nel 1919 per radunare i compaesani intorno alla loro comunità e al loro santo, e alla festa che gli dedicavano. Gliela dedicano ancora, sempre più grande e più americana: un evento nell’estate della città. Massimino D’Amore, e poi il figlio Paolo/Paul, aprirono il ristorante affianco alla Società, e ne presero le redini. Il paese se lo misero vicino casa.

Chi emigra lo fa verso luoghi dove si può ricongiungere con i propri non tanto per i vantaggi nell’inserimento nel nuovo mondo e nel lavoro, quanto perché quando finisce l’orario di lavoro c’è un mondo che capisce e condivide, pure nei diverbi, come la può pensare, a che ora mangiare la domenica, con che cosa accoppiare un sugo di pummarole. La seconda generazione cambierà pelle, e la prima pure forse l’andrà mutando col procedere, ma non ci sta nel mondo una cosa che rimanga uguale a se stessa, e la mutazione di quanto lasciato dietro è stata con molta probabilità maggiormente feroce e subita, solo illusoriamente autonoma, se autentica era la mancanza di proprietà che aveva indotto a partire.

Paolo aveva passato 18 anni con suo padre, ma, fin’a che è morto di cancro straziante, ne aveva passati 22 con Massimino, mi dice con le parole e gli occhi. Chi dal sud emigra, cerca un’altra famiglia. Emigri dalla mancanza di opportunità ereditata, ma non da come la maniera in cui sei stato costruito ti allucca che vorresti essere. Chi dal Sud emigra cerca comunque di riarrotondare la propria solitudine. E questo mentre ogni giorno ci sta qualcuno a Sud che cerca di smarcarsi da questa pesantezza blocco delle opportunità personali, correndo verso un traguardo che gli dicono di maggiore punteggio.

Fece venire la sua famiglia per il suo matrimonio americano, Montefalcione di Boston quel giorno era mezza americana e mezza irpina, e quindi tre quarti irpina. La felicità fu troppo strana e veloce per essere gustata, ci mise due anni a organizzare allora il primo ritorno assoluto a Montefalcione. Il suo amico grossista di pesce gli imballò un polistirolone di ghiaccio e aragoste al limite della trasportabilità sui nastri bagagli dell’aeroporto, e al paese la festa venne da Marte. Avevano sentito nominare in televisione le aragoste, ma chi le aveva mai viste, e mangiate poi. Li lasciò dopo il doppio stordimento, ma ora, nei 30 anni di Ammerica, ci va quando vuole. Ogni tanto, vorrebbe tenere qualche elastico per bloccare le tenaglie che gli pizzicano in petto. Come un pace-maker di gomma per un cuore che è dovuto andare a esplodere altrove.

7 pensieri riguardo “North End, South Start

  1. “Ogni tanto, vorrebbe tenere qualche elastico per bloccare le tenaglie che gli pizzicano in petto. Come un pace-maker di gomma per un cuore che è dovuto andare a esplodere altrove.” …. ebbene credo proprio che questa chiusura abbia innescato l’ordigno: giustizia è fatta! Si può solo sperare di esplodere quando in petto hai una vita passata in tensione tra la vita che immagini avresti potuto vivere e la vita che nonostante il vuoto, hai vissuto.
    Bel pezzo, bravo Luca.
    Maria.

  2. Vorrei farvi una domanda, per sud voi cosa intendete?
    Viaggiando su e giù per l’Italia personalmente ho verificato che il sud inizia a sud di Salerno, dove finiscono le comunicazioni con il mondo. E si allarga nella campania interna, per poi toccare puglia e basilicata e infine scende fino in calabria e in siclia. Pertanto mi sentirei di escludere Napoli e Salerno dal sud, e ovviamente anche Abruzzo e Molise.

  3. In effetti ci sta Sergio, ma io essendo appassioanto di geografia avevo individuato un’altra zona comprendente Napoli e Roma insieme. Due aree urbane affini e limitrofe che stanno andando ad integrarsi pian piano. Per spiegarmi meglio puoi vedere questo link : http://www.romaneapolis.it/

    1. Insomma secondo questa visione Napoli e Caserta entreranno a far parte del Lazio nel giro di pochi anni

  4. interessante luigi, del resto all’epoca di augusto c’era la regione unita “latium et campania”

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