una nota di pasquale innarella

L’Italia di oggi se si hanno le capacità si capisce allo stesso modo a Roma e a Rocchetta o qualsiasi altre città o paese.
L’Italia di oggi si comprende in modo chiaro da qualsiasi parte la si guarda, non dobbiamo mai dimenticare che le cose che vede e sente il paesologo Franco Arminio è un aspetto o una parte del problema, proviamo a vedere l’intero come se fosse un giano bifronte in cui viviamo tutti, una parte del giano sono i grandi agglomerati urbani delle città dove posso assicurarvi si fanno gli stessi discorsi però visti dall’altra parte.

La scelta politica fatta negli ultimi 50 anni circa di concentrare le persone nelle grandi città per meglio organizzarle e indirizzarle alla vita delle fabbriche e della grande industria da qualche anno non regge più e mal si concilia con la decrescita economica ormai iniziata che nessuna banca per potente che sia non riuscirà a fermare ovviamente per gli interessi dei grandi capitali e certamente si continuerà in modo più o meno veloce nella decrescita dei beni materiali e economici.

E’ vero nel futuro avremo meno soldi ma avremo anche meno ansie da acquisti e questa vista dall’altro punto di vista è solo che un bene, per molti motivi, meno consumo del territorio, meno palazzi abusivi, ecc. ecc. un po’ meno di tutto.

Tutta questa situazione non è altro che un preludio ad una nuova vita che sarà certamente lontana dalle grandi città, luoghi che oggi sono luoghi di sfrenate competizione e bulimico consumismo, si compete a chi è più ricco a chi ha l’amante più bella, si compete per chi ha le amicizie più influenti, chi ha la casa più bella e più in centro perché vale più soldi ecc. ecc. se volete posso continuare l’elenco.
E questa vita di competizione vista dagli occhi di uno come mè che non partecipa per innata incapacità ad essere competitivo è arrivata alla fine.

Infatti se con un grosso sforzo riuscite a depurate i vostri occhi dalla quotidiana comunicazione televisiva vi dico che la maggiore povertà economica è proprio nelle grandi città,
Vi racconto la mia giornata di ieri sabato.
Ieri pomeriggio mi sono trovato con il regista Carlo Lizzani, e altre persone del centro culturale Morandi con tutta la mia Banda di bambini e ragazzi a suonare ai palazzoni di Viale Giorgio Morandi, appena arrivato nella parte esterna non c’è nulla di particolare solo dei palazzoni grandissimi e orrendi come tantissimi altri, ma nel suo interno ho visto la vita di molte persone che ci abitano a vi assicuro che è molto peggio delle favelas sudamericane, ho trovato una inenarrabile povertà, che comprende tutta la persona, povertà economica, povertà culturale, povertà nei volti e nella secchezza scheletrica delle persone che abitavano nei sottoscala o nei sottotetti di luoghi improbabili, con i bandoni di metallo per tetti, io so per certo che di questi luoghi di vita a Roma ce ne sono molti e migliaia di persone vivono in questo modo, che la povertà non è altro che una cosa che si moltiplica per tutto e fa vivere le persone come cani randagi.
Ecco io sono sempre più convinto e queste visioni me lo confermano che la vita nelle grandi città sia oltre il collasso ed è in via di smantellamento.

Sé i piccoli paesi sapranno scrollarsi da dosso le piccole invidie, i livori verso gli altri ed altre cose poco piacevoli che hanno e che permettono a qualcuno di definirli cimiteri senza croci potrebbero essere la soluzione di vita sana che tutti vanno cercando dato che comunque oggi le città sono dei formicai senza vita per dirla in maniera forte come il signore di Rochetta.

I problemi veri delle grandi città oggi sono l’altro volto del giano bifronte.
Io penso che il futuro è nei paesi e non può esserci partenza migliore per la nuova vita dei paesi che partire dalla cultura e dalla poesia, se ci pensate bene la poesia (in tutte le sue forme non toglietemi la musica per favore) l’arte e la cultura è l’unica cosa che manca a tutti e in tutta l’italia da nord a sud e da città ai paesi, non lasciatevi incantare dagli sbrilluccichii della città che utlizza alcuni aspetti della cultura, ovviamente quelli che più fanno comodo ai pochi che comandano per mettere in vetrina il meglio che spesso è anche irraggiungibile ai più, come dobbiamo stare attenti ai facili entusiasmi ed ai repentini cambi di umore delle persone che vivono nei paesi, dove spesso o quasi sempre la cultura è vista solo in modo accademico e lontana, e se non sé visto in televisione non è vero, comunque in tutti e due i casi la televisione fa di tutto per tenere lontano dalla cultura vera i ragazzi e tutti noi.
Infatti carissimo Franco la medicina che serve a tè serve anche a tutti noi e si chiama vivere insieme e condividere il bello che si hà sia nella parte esteriore e paesistica sia nella parte interiore e personale, basta con i rancorosi, gli invidiosi, i livorosi quelli che parlano male degli altri, quelli che hanno sempre qualcosa di negativo da dire, quelli che qualsiasi cosa si fa non puoi assolutamente sbagliare altrimenti sono taglia e cuci per sei mesi almeno, ecco il pregio della città ti permette di sbagliare e sbagliare e chi sbaglia vuol die che si è mosso che ha tentato un percorso mentre chi sa solo tagliare in modo negativo è una persona che non azzarda nemmeno un percorso di conseguenza non cometterà nessun errore di sicuro. Ecco da dove viene il livore dall’invidia e purtroppo i paesi ne sono ricchi di questo. Se sapranno liberarsi di questi atteggiamenti e diventeranno accoglienti il futuro sarà dei piccoli paesi.
Posso assicurarti che la tua pratica della poesia che tù chiami paesologia oggi è indispensabile a tutti compreso coloro che non lo sanno.
Per quanto riguarda il pomeriggio trascorso posso solo dirti che vorrei tanto trascorrere un pomeriggio ad ascoltare altri seduto su una panchina, anzi ne ho una grande necessità.

La ricchezza del futuro, ma io penso che lo sia già oggi, è il tempo di cui dispone una persona da dedicare a quello che vuole e desidera, quindi chi puoi trascorrere un pomeriggio seduto su una panchina in piazza ad ascoltare le persone è ricchissimo.

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

4 pensieri riguardo “una nota di pasquale innarella

  1. a.s. pasquale, sei una persona straordinaria

    franco, la traccia n.7 dell’ultimo cd di pasquale (meraviglia!) – “donne delle tembe” se non ricordo male – facciamone da oggi l’inno della paesologia, dell’irpinia d’oriente, dell’italia del sud, di quella del nord, delle panchine, del grano, del futuro…

  2. Caro Pasquale,

    come si fa a non essere d’accordo con quanto scrivi? Io lo sono, ma proprio in tutto.

    A Franco Arminio il merito d’aver dato – attraverso la sua inconfondibile voce poetica e scrittura – che va sotto il nome di paesologia- forza mobilitante a tutto ciò.

    Tuttavia il problema sorge quando ci si pone sul piano del “come” costruire una “pratica”, una organizzazione, una struttura, insomma una “prassi” della decrescita e del “tempo liberato”, in città e nei paesi.

    Al momento del “dunque” c’è sempre un sé, un ma, un rinvio, un equivoco, un malinteso, un “non detto” che tutto rimanda e paralizza e ci si ritrova sempre a celebrare gli stessi temi (d’accordo, repetita iuvant) e le stesse manifestazioni che hanno, invariabilmente, lo stesso attore e protagonista.

    E non ci sarebbe nulla di male se ciò fosse chiaro da subito e ne conseguisse la struttura e la prassi adeguata.

    Bada, tutti abbiamo contribuito con entusiasmo alla riuscita di moltissime iniziative.

    Ma quando si è trattato di dare corpo e continuità a una struttura di rete, che fosse il portato di più voci, di più “culture politiche”, di più protagonisti, che stessero insieme in modo diverso dalle tradizionali logiche di competizione e scontro, e che stessero insieme – bada- proprio in nome della visione e della poetica paesologica, la cosa è andata sempre sfarinandosi.

    Non è il caso, qui e ora, di fare l’elenco delle tante occasioni mancate, del perché e dei percome o di trovare “capri espiatori”, tuttavia – e credimi – non si può semplificare , riducendo tutto alla solita invidia e al solito rancore. Troppo banale, troppo inverosimile, troppo fuorviante.

    Io non ho ricette in tasca né “visioni globali” da imporre agli altri né guardo alla realtà con “occhiali ideologici” sicché se la realtà non coincide con quegli occhiali (come dice paolo bruschi) dico che è la realtà ad aver torto. Ne è prova il tuo stesso intervento, che testimonia che oltre me e te vi sono migliaia, milioni di persone frammentate in questo caos di mondo a “sentirla” in tal modo, anche se la pensano con diverse sfumature.

    Semplificando e per concludere: io non ho quella ricetta.

    Ad ogni buon conto, ove mai si trattasse di lavorare ( e di entusiasmarsi) per una rete collettiva e orizzontale che prova a vivere per realizzare qualità della decrescita, tempo liberato, qualità del tempo liberato, un minimo vitale e dignitoso per tutti, lotta alla povertà (con altri misuratori della “povertà”), che sia capace di pensare e proporre una riforma radicale dell’attuale organizzazione dello Stato e delle “forme” della politica, con una pratica e una strategia democratica , non violenta e soprattutto non strumentale, a misura di comunità e territori… beh io ci sto e continuerò a starci.

    Per tutto il resto, non ci sto più. Non ho più l’età e ho già abbondantemente dato.

    Con stima e senza rancore, si capisce.

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