iamo sempre andati dagli altri a lavorare, ma non abbiamo an cora imparato a rispettare chi viene a lavorare da noi. La gran parte delle donne immigrate in Italia non arriva in una città o in un paese, ma semplicemente in una casa dove c’è una persona che non abbiamo più tempo e voglia di assistere. Queste donne vengono per lavorare nell’unica fabbrica efficiente che abbiamo, la fabbrica del l’agonia. La civiltà contadina non era particolarmente efficace nel ga rantire beni materiali, ma assicurava almeno una buona gestione del la morte e della malattia. Intorno al letto di un sofferente c’era sem pre animazione. Era un fatto normale. Si faceva per gli altri quello che gli altri avrebbero fatto per noi. Adesso le donne dell’Est sono le cu stodi di un crepuscolo solitario. E quando la persona assistita muore si ritrovano disoccupate, devono ricominciare in un’altra casa, in un’al tra agonia. Mi è capitato qualche tempo fa di vedere una badante coi bagagli sul marciapiede. La persona che aveva accudito era stata sep pellita da poche ore e già i familiari le avevano dato il benservito. Di scutevano dell’ultimo stipendio: lei lo chiedeva per intero, i familiari del morto glielo avevano accordato scalando i dodici giorni che man cavano alla fine del mese. Forse queste donne non scrivono le lettere commosse e commoventi che scrivevano i nostri emigranti. Usano il telefonino e non resta traccia dei loro umori. Non sappiamo come ci vedono, come vedono le nostre piazze vuote, le nostre case grandi sen za libri e senza pianoforte. Queste donne scendono ogni giorno nelle miniere della malattia, ma non c’è niente da scavare e da riportare in superficie.
Sarebbe il caso di coinvolgerle nella nostra vita prima ancora che nella nostra morte. Un coinvolgimento collettivo, pubblico, politico. E invece al massimo le usiamo come ripiego per l’infelicità sessuale. Insomma, queste donne non sono qui per contribuire alla costruzio ne di una società come accadeva a noi in Svizzera o altrove, ma per oc cuparsi dei nostri corpi. Corpi morenti o corpi astinenti, comunque corpi afflitti, soli, sformati. Uno scapolo irpino che lavora in campa gna non ha nessuna possibilità con le ragazze del suo paese. Uno che odora di stalla non ha nessun sex appeal per queste fanciulle che osten tano pose televisive e aspirazioni illusorie. Ormai sono tanti quelli che nelle nostre campagne hanno una moglie rumena o albanese. E non è un tradimento al motto moglie e buoi dei paesi tuoi. In fondo per i nostri ultimi contadini le vere straniere sono le fanciulle del posto, quelle che usano il loro corpo per mandare in giro i vestiti e gli occhiali da sole e il telefonino.
Viviamo in una situazione sconvolgente e la cosa più sconvolgente è che questa situazione non sconvolge nessuno. Tutto è relegato in una dimensione ineluttabilmente privata. Noi siamo emigrati per fare piaz ze e palazzi. Lavoravamo in spazi pubblici, costruivamo un mondo. Adesso il vero centro dell’immigrazione che ospitiamo è il letto. Pia ghe da decubito o masturbazioni, poco importa. Non abbiamo da pro porre altro che questi corpi senza destino. Allora i veri stranieri, i veri sbandati siamo noi. Basta guardare le facce nostre e quelle degli immi grati, uomini o donne che siano. Basta guardarli le poche volte che cam miniamo affiancati. In realtà temiamo il confronto. Loro si muovono a piedi, sono le uniche persone che non hanno automobili. Hanno pol pacci forti, schiene dritte. Hanno volti in cui ancora spira quell’inde finibile senso dell’umano che sembra svanito dal nostro sguardo.
Ci sarebbe bisogno di una trasfusione collettiva di spiritualità. Far scendere il loro sangue nelle nostre vene. E invece l’unica cosa che acca de è il nostro lasciar cadere poche e avare monetine nelle loro tasche.
da oratorio bizantino, ediesse
sono frequenti
i lutti invisibili
delle badanti
pazienti
con i loro pazienti
a volte cadenti
li perdono
e si infrangono affetti
recenti
premure di orienti
vicini e distanti
i cuori delle badanti
sono già provenienti
da amori recisi
separati ed infranti
sono qui
e accompagnano lente
i loro nuovi parenti
verso casa
o alla spesa
molto spesso
piangenti
alla loro ultima meta
CARO ARMINIO
hai scritto un distillato di verità difficili da inghiottire.
Ciao Beti Piotto