io non voglio languire in questa sonnolenza,
voglio crepare e far crepare la mia ansia,
voglio uscire dal mondo senza uccidermi
e senza morire, voglio uscire adesso,
adesso che è quasi mezzanotte,
e non c’è nessuno al mondo,
tutti uccisi dal sonno e dalla televisione,
sono l’ultimo che è rimasto in questo paese,
non c’è nessun altro,
non ci sono nemmeno i morti al cimitero,
non ci sono gli alberi e le panchine,
non ci sono nemmeno i muri delle case
e le nuvole e i fanali delle macchine,
sono rimasto talmente solo
che fuori di me l’universo
è più leggero di un ago
e questa ago è il mio cavallo, il mio aereo,
la mia nave, il tappeto volante
con cui voglio viaggiare.
franco arminio
Caro Franco,
la poesia è bellissima e l’ho spedita a te mie amici di Berlino a cui ti ho fatto conoscere……mi farebbe piacere se riprendessi i contatti con Franco Sepe per presentare il tuo ultimo libro a Berlino e che una sera facessi una lettura nella mia LOCANDA…..
Un abbraccio
….ci verrò anch’io prima o poi nella tua locanda a Berlino, per servire birra e vino, nanos.
è molto bello il tappeto magico-volante
bella poesia, leggendola ho pensato a elda martino (che saluto affettuosamente)
Le tue parole ancora una volta ha messo spalle al muro le mie paure e e mie ansie di identità carnali non mentali. La nostra identità è sì una seconda pelle e la cultura è sì l’orizzonte di senso in cui fiduciosamente ci muoviamo senza farci fin troppe domande, ma anche che essa è un vestito che può essere cambiato e la nostra cultura è un orizzonte che può mutare. Quello che conta è non perdere il centro in se stessi. Il senso del “viaggio” con “cavalli,navi o tappeti volanti” ci permette di continuare a vivere o sopravvivere nel deserto della storia che avanza con i potenti mezzi della “modernità biologica e tecnologica” cercando di scoprire “i difficili segnavie o tracce ” tra le precarie e mutabili rotte dei carovanieri viandanti dei deserti nella storia o nelle storie. In una realtà come le nostre che non ha più strade segnate,definitive e sicure ( se ne vedi una è sicuramente o possibilmente un “miraggio”,l’uomo è sempre più un nomade o un viandante che è sicuro solo di stare in quel posto in quel preciso momento e scrivere i propri sentimenti come traccia per gli altri. Il suo è movimento puntuale , da un punto a quello immediatamente successivo .Il problema è non farsi prendere dalle vertigini della desertificazione e dello spazio liscio degli orizzonti lunghi o dalla paura della solitudine.
Corrispondenze strane. Quel senso di morte che si rifiuta. L’ago su cui siamo costretti a danzare. Ci incontreremo sui nostri tappeti sfilacciati, tra le nuvole e la luna piena. “[…] non c’è nessuno al mondo” solo perché stiamo provando a volare.
Oppure, un giorno, saremo noi a riempire quei cimiteri, felici comunque, perché saremo di nuovo terra.
l’ego nella cruna dell’ago.
voglio ribadire a me stesso …….questo Blog mi piace sempre più…un bell’incotro tra anime semplici,complesse, pensierose ,poetiche …..grazie!
Concordo con Mauro, anche a me questo blog piace tantissimo, e anche se scrivo pochissimo, se non sono poetico come tutti voi, leggendovi mi sento in pace con me stesso, mi sento bene, respiro l’aria di questo bellissimo blog e mi sento migliore.
E Franco è il mio cavallo, il mio aereo, la mia nave, il mio tappeto volante……….
ciao franco, un saluto su questo “amichevole” tappeto volante
Leggendo e rileggendo questa poesia , mi è tornata in mente una citazione di uno scrittore spagnolo , Jaime Gil de Biedma , citato da Enrique Vila-Matas in un suo bello e fortunato libro : “…la mia poesia rappresenta – senza che io lo sapessi – un tentativo di inventarmi un identità; una volta inventata , e accettata, non mi capita più di mettermi completamente in gioco in ogni poesia , che è ciò che prima mi appassionava .L’altra, che è stato tutto uno sbaglio: io credevo di voler essere un poeta , ma in realtà volevo essere una poesia …” .
Questo “voler essere una poesia” è qualcosa che i versi di Franco mi suggeriscono …
caro antonio
questo è un commento esemplare
non siamo poeti, siamo la poesia che abbiamo scritto
il bacio che abbiamo dato
l’imbroglio a cui siamo mancati