“C’è chi sente il dolore del Mondo e chi, invece, quel mondo lo occupa con le proprie strategie e le proprie costruzioni egotiche, c’è chi si lamenta della solitudine e, poi, non sa chinarsi a fare una carezza a un cane, c’è chi rivendica ruoli e titoli e, in nome di ciò, passa sul Mondo come si passerebbe su un campo di papaveri e di grano, calpestando, ignorando, distruggendo”.
elda martino
“ Se uno ,con la parte migliore del suo occhio, che noi chiamiamo pupilla, guarda la parte migliore dell’occhio dell’altro, vede se stesso” Platone.
L’amicizia è ancora un sentimento fondativo ed essenziale della esperienza esistenziale e culturale della Comunità provvisoria?E’ dissolta,nascosta o momentaneamente accantonata per i tempi migliori? Forse siamo vittime inconsapevoli degli ultimi sviluppi tecnologici delle società di massa che incollandoci davanti a un computer a consumare le nostre bulimie affettive per esorcizzare la solitudine,lo sradicamento , il silenzio,le offese e le amnesie delle identità. Sempre più l’amicizia non praticata diventa difficile,impraticabile nello schema e nella funzione della ‘fiction’.La pratica praticata intorno a noi delle conoscenze utili e degli scambi di favori che aiutano le relazioni ipocrite e convenzionali che possono diventare vantaggiose…..non ci aiuta .La nostra grammatica sentimentale e sociale ci obbliga oggi a ragionare al ‘singolare’ o al ‘plurale’.Nel singolare coniughiamo la solitudine dell’anima che progetta e vagheggia mondi ideali o ancestrali, eden e paradisi perduti, radici nobili che la società ha corrotto ,dimenticato o deviate,ideazioni e sogni che non possono essere declinate in pubblico o nei rapporti comunitari. Al singolare possiamo vivere il dolore e il morire con dignità e autenticità e al massimo ci permette di avere il coraggio di esporci nelle nostre piccole comunità. Al plurale siamo costretti sempre a dare prova di sano realismo, apertura,tolleranza e pluralismo, di stare ai fatti, di controllare le emozioni, le rabbie, i sogni ,le speranze, a dare risposte agli altri e contenere e controllare le domande per essere accettati,riconosciuti,identificati e in qualche caso applauditi. L’amicizia può permettersi di coniugare il singolare al plurale ….e non è un gioco di parola. I nostri antenati greci ( spero di non offendere altre convinzioni) avevano in uso il ‘duale’ come forma verbale che esprimesse la valenza simbolica del linguaggio quando doveva esprimere i momenti e i furori sentimentali dell’innamoramento come “stato nascente” in cui non si riesce a pensare a se stessi senza l’altro. L’amicizia comunitaria come l’amore abita e vive al duale rifiutando l’anonimato e l’ipocrisia nel pubblico e la solitudine e l’afonia in privato. Ecco perché la scelta comunitaria e paesologica e altruista e rivoluzionaria e l’amicizia in più ci permette di comprendere tutte le eccedenze di senso che in pubblico potrebbero apparire come segni di follia ,di idealismo,romanticismo ma in privato una possibilità di ascolto accogliente e generoso delle nostre intime verità e sentimenti. Per questo anche nella Comunità provvisoria si possono auspicare molte amicizie che possono corrispondere alle sfaccettature delle nostre anime che non possono essere svelate alla legittimità di custodire intimi segreti che altri segretamente custodiscono. Le nostre azioni pubbliche e comunitarie non devono necessariamente cercare consenso, conforto o confidenze ma sviluppare la necessità di alterità e apertura nei ritmi intimi della propria anima che non hanno voglia perdersi nella solitudine dolorosa o nei rumori assordanti e omologanti del mondo. Per questo io sono per sviluppare e non mortificare nella nostra esperienza comunitaria il sentimento e lo stato dell’amicizia per derimere e combattere la falsa alternativa tra l’anonimato o l’adeguamento nel pubblico e la solitudine dolorosa o gloriosa nel privato. Nelle caotiche e anonime società del nord e nell’isolamento delle società dei piccoli paesi e delle colline l’esperienza politica deve sempre più ricreare,favorire o promuovere primaditutto l’incontro a tu per tu con quello sconosciuto che ciascuno di noi è diventato per se stesso e vedere in un amico lo sguardo accogliente che ci invita a fare un viaggio assieme per scoprire le proprie radici per poter continuare i propri racconti personali ad altri a cui hanno mortificato la coscienza , vietato le storie ma sopratutto gli hanno tolto le parole per raccontarle e continuare a viverle amichevolmente e politicamente insieme agli altri.
mauro orlando
“Anche l’antropocentrismo è una sorta di campanilismo.” diceva Hofmannsthal nel suo ” Libro degli amici”, appunto.
Ma fuor di citazione, caro Mauro, mi sento vicino a ciò che hai scritto. Vorrei solo aggiungere una cosa : noto spesso una tendenza ad idealizzare troppo gli amici, questa cosa fa spesso cadere chi idealizza nella delusione. Il problema però non è la delusione in se, che il “saggio” troverebbe preziosa in quanto mi fa conoscere l’altro per ciò che è (almeno in parte), ma il fatto che molti appena delusi scappano, rivolgendo le proprie energie ad altre idealizzazioni. Conclusione : se non si è capaci di vivere la delusione non ci potrà mai essere amicizia.
un caro saluto
Grazie.
mi sia permesso constatare che in questo blog, dopo un inizio in cui ne erano stati con pudore lontani, sono tornati a stagnare i soliti anonimi con nomignoli strani, al solo scopo di infastidire e sporcare anche questo spazio,da poco creato con ben altre speranze
non vedo sporcizia sul blog , Sergio. ciaoo
Manco io ci trovo sporco, anzi: tutt’altro.